Il ritorno dei marchi delle auto “italiane” - QdS

Il ritorno dei marchi delle auto “italiane”

Carlo Alberto Tregua

Il ritorno dei marchi delle auto “italiane”

martedì 28 Novembre 2023

Stellantis ormai francese

Il gruppo Fiat, a suo tempo, trasferì la sede ad Amsterdam perché in Olanda le condizioni fiscali per le società di capitale sono più vantaggiose di quelle italiane.
Quello che vi diciamo riguarda una delle macroscopiche differenze all’interno dell’Unione europea dei Ventisette, che ne fa un insieme di Stati, ma non un organismo equilibrato cui tutti partecipano.

Ciò accade perché qualunque legge dell’Unione, chiamata Regolamento, deve avere unanimità o maggioranze qualificate; qualunque Direttiva approvata dalle due “Camere”, Parlamento e Consiglio dell’Unione europea, deve essere approvata anch’essa all’unanimità o con maggioranza qualificata. Entrambe, per diventare cogenti, devono essere recepite dagli Stati membri entro due anni e se il termine non viene rispettato, non accade nulla, mettendo nel limbo le direttive non recepite perché non convengono.

Questa breve descrizione del funzionamento europeo segue la discrasia dei diversi trattamenti societari e fiscali, per cui le imprese vanno nel Paese ove trovano convenienza.

Il gruppo Fiat ha ritenuto di fondersi con il gruppo francese Citroën-Peugeot pur entrando in una posizione di minoranza, ma questa fusione ha portato ai soci una plusvalenza di circa quattordici miliardi.
Da quando è avvenuta la citata fusione, Stellantis ha cominciato a depotenziare gli stabilimenti italiani perché va da sé che essendo una multinazionale, fa produrre i propri modelli ove vi sono le condizioni di mercato più favorevoli. Fra queste, il costo della vita, il costo della manodopera, l’energia e, a prescindere da tutto ciò, un’amministrazione leggera e puntuale.

Il mercato mondiale dell’automobile sta attraversando un periodo di “riflessione” perché i costruttori hanno capito che continuando a produrre nuovi modelli con motori termici il ricambio si sarebbe rallentato e forse fermato. Dal che è partita una campagna a livello mondiale per sostituire tali auto con quelle a motori elettrici, che hanno bisogno di batterie potenti.
Si è subito manifestata la deficienza di produzione di tali batterie, nonché il loro smaltimento, che oggi costituiscono il collo di bottiglia per il prodotto finito.

Stellantis – entro cui è incorporata l’ex Fiat – continua a tirare fuori gloriosi marchi del passato per tentare di rinverdirne e lanciare le nuove auto sull’onda dell’antica gloria. Fra esse, sono stati ripescati due marchi: “Topolino” e “600”. Vediamoli.
La “Topolino” non è altro che la piccola Ami della Citroën, cioè un prodotto di famiglia che viene venduto sul mercato a 7.600 euro, guidabile anche dai minori.
Perché ve la citiamo? Perché la “Topolino” non è prodotta in nessuno stabilimento italiano, bensì in Marocco. Quindi si tratta di un’auto francese prodotta in quello Stato africano: di italiano non ha niente a parte il marchio. Costa 9.600 euro.

La seconda nuova vettura lanciata con il marchio “600” non è altro che una variazione di carrozzeria nella già esistente “500x”, che di italiano ha solamente il nome perché viene prodotta in Polonia.
Si dirà: ai consumatori o alle consumatrici interessa solo la bontà dei prodotti. Già questo punto è discutibile perché molte persone vogliono conoscere l’origine della produzione dei beni e servizi, le condizioni in cui sono prodotti e così via. In più non possiamo dimenticare il glorioso passato della Fiat, che ora non c’è più. Un asset perduto per l’Italia.

A proposito di motori, vi sono altre annotazioni che vorremo farvi.
Si continua a parlare di auto e moto come italiane. Si citano le super car Lamborghini e le super moto Ducati e Aprilia. È vero, sono state glorie del passato motoristico italiano, ma ora, pur mantenendo le stesse denominazioni, sono di proprietà dei tedeschi, entrambe acquistate da Audi.
Si dirà che nel mercato internazionale ormai molti marchi italiani di prestigio sono di proprietà di fondi di investimento o di gruppi esteri. È vero. Accade nella moda, come negli elettrodomestici, negli alcolici e in altri campi. È anche vero che gruppi italiani hanno comprato marchi esteri – per esempio Luxottica ha comprato la catena Ray-ban – ma il rapporto non è bilanciato.
L’analisi che precede non emette valutazioni, ma rappresenta uno scenario sottoposto alla vostra validazione.

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