Il siciliano che sta salvando le barriere coralline - QdS

Il siciliano che sta salvando le barriere coralline

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Il siciliano che sta salvando le barriere coralline

Roberto Greco  |
sabato 05 Agosto 2023

Intervista a Marco Contardi, primo autore di uno studio incentrato sulle proprietà “curative” della curcumina, condotto in sinergia tra l’Istituto di tecnologia di Genova e l’Università Milano-Bicocca.

L’allarme era scoppiato già diversi anni fa: se non saranno adottate serie misure per combattere la crisi climatica e l’acidificazione degli oceani, entro trent’anni scompariranno tutte le barriere coralline esistenti. Si tratta del processo di sbiancamento, una reazione che priva questi piccoli polipi di tutte le sostanze necessarie alla sopravvivenza. Il problema, evidenziato anche dall’Australian Academy of Science, risiede nel fatto che al giorno d’oggi gli aumenti di temperatura sono talmente repentini da poter causare direttamente la morte del corallo, durante un processo di sbiancamento. Uno dei principali motivi è lo stress causato dall’aumento della temperatura a seguito dei cambiamenti climatici.

Il fenomeno dello sbiancamento è riferito a tutte le barriere coralline tropicali che, sviluppandosi fino a pochi metri sotto la superficie dell’acqua, risentono di più di eventuali variazioni ambientali. I coralli, in queste aree, sono in grado si riprodursi ad una temperatura minima di 20°C mentre l’optimum per la sopravvivenza si aggira intorno ad i 25-28°C e, a temperature superiori, ossia dai 31°C ai 35°C, si inizia ad osservare il fenomeno di sbiancamento. Oggi, però, sembra che tale fenomeno possa essere “curato” attraverso una sostanza naturale derivata dalla curcuma.

Interviene al QdS Marco Contardi, capo progetto di una rivoluzionaria ed ecologica soluzione che può mettere fine a questo fenomeno. Siciliano di origini, Contardi è il primo autore dello studio condotto in sinergia tra l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova e l’Università di Milano-Bicocca.

Professore, qual è stato lo spunto che vi ha portato ad affrontare questo problema e a cercarne una soluzione?

“Tutto è nato nella parte finale del mio dottorato di ricerca presso l’IIT e grazie all’incontro con il dottor Simone Montano e il professor Paolo Galli, incontro avvenuto grazie alla mia responsabile, la dottoressa Athanassia Athanassiou. Dopo esserci conosciuti dal punto di vista scientifico, abbiamo cominciato a scoprire le nostre affinità come quella di curare le malattie dei coralli. Potremmo dire che tutto nasce dall’incontro tra un chimico e tecnologo farmaceutico, io, e due
biologi marini, loro”.

Quanto sono importanti, per l’habitat marino, le barriere coralline?

“Le barriere coralline, è stato stimato, hanno un valore di circa 1,5 trilioni di dollari, dal punto di vista economico ma in realtà dal punto di vista ambientale hanno un valore incalcolabile. Innanzitutto perché hanno l’effetto positivo di difesa della costa. Senza di loro le isole Maldive non esisterebbero perché le barriere sono in grado di contrastare l’erosione dell’oceano. Inoltre sono una risorsa fondamentale per la produzione di cibo e medicine oltre che per il comparto turistico. La loro importanza è altresì strategica perché sono considerate il più grande biodiverso ecosistema del pianeta assieme alla foresta fluviale in Sudamerica”.

Il fenomeno principale dello sbiancamento è imputabile al cambiamento climatico, nello specifico all’innalzamento delle temperature dell’oceano…

“Sì. Una delle cause principali è proprio l’innalzamento della temperatura. Stiamo parlando, ovviamente, dei coralli tropicali. Questo innalzamento, per fare un paragone ben comprensibile, è come se nell’uomo, la cui temperatura corporea media è intorno ai 36-37°, la temperatura si assestasse intorno ai 42°. L’effetto sulle barriere è su larga scala perché questo innalzamento interessa moltissimi chilometri di barriera corallina. Proprio in questo momento il fenomeno sta interessando le barriere collarine della costa della Florida”.

La soluzione, secondo il vostro studio, è la curcumina, un estratto della curcuma, una spezia ampiamente utilizzata nella medicina tradizionale indiana e cinese. Da dove è nato l’indirizzo che ha portato in questa direzione?

“Ho studiato chimica e tecnologia farmaceutica all’Università di Palermo e scrissi la mia tesi di laurea proprio sui derivati strutturali della curcumina. Durante la mia carriera scientifica l’ho utilizzata spesso in ambito biomedicale perché ha importanti effetti antiinfiammatori e antiossidanti. Circa tre anni, ho partecipato a un workshop in cui si trattava di coralli e mi sono reso conto che parte degli schemi del c.d. coral bleaching erano presenti nell’essere umano, quali la risposta all’innalzamento della temperatura, all’infiammazione o all’ossidazione. Da lì è nata una semplice domanda: perché non utilizzare la curcumina che ha il vantaggio di essere un prodotto naturale, quindi senza impatto ambientale, è un prodotto a basso costo e, inoltre, è colorata e quindi si sarebbe potuto capire facilmente il suo posizionamento sul corallo. Da lì è partita l’idea che in questi anni si è trasformata in uno studio che oggi è verificato”. A questo proposito, la sperimentazione è stata realizzata presso l’Acquario di Genova. Com’è andata? Come avete reagito al raggiungimento del risultato positivo? “Il raggiungimento del risultato? Le faccio un esempio… ha presente gli attimi che precedono il goal che farà vincere la partita e quelli immediatamente successivi alla sua realizzazione? Ecco, un sentimento analogo che partedallo stress che ha preceduto questo momento e la felicità di aver raggiunto il risultato, quello di vedere un effetto positivo sui coralli trattati e a quelli non trattati, che non sono sopravvissuti allo stress termico. Soprattutto perché, e questo era uno degli obiettivi iniziali, produrre un rimedio che può andare sott’acqua, che già di per sé non è assolutamente banale”.

Dopo la pubblicazione dello studio su “ACS Applied Materials and Interfaces”, possiamo pensare che da oggi possano partire le prime applicazioni formali?

“Questo è il punto di partenza. Ora stiamo affrontando le tematiche relative al poter pensare ad una applicazione su larga scala e, a questo proposito, stiamo attuando dei test alle Maldive, dove il gruppo di ricerca del professor Galli e del dottor Montana, ha un centro di ricerca che si chiama MaRhe (Marine Research and High Education, ndr) Center che è sull’isola Maghoodoo, nell’atollo di Faafu. Lì,
dove c’è la barriera corallina, stiamo testando i nostri materiali e contiamo, nei prossimi sei-otto mesi, di realizzare una nuova pubblicazione per illustrare i risultati ottenuti su larga scala”.

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