Il Terzo Polo è andato all'Equatore - QdS

Il Terzo Polo è andato all’Equatore

Antonino Lo Re

Il Terzo Polo è andato all’Equatore

Giovanni Pizzo  |
mercoledì 12 Aprile 2023

Pare, sembra, forse, che il Terzo Polo sia finito prima di cominciare. Fa talmente caldo da quelle parti che pare l’equatore

Pare, sembra, forse, che il Terzo Polo sia finito prima di cominciare. Fa talmente caldo da quelle parti che pare l’equatore. Alla vigilia di un congresso fondativo, parolona grossa, tra le due componenti c’è solo voglia di lasciarsi.

“Questo matrimonio non s’ha da fare”, è il motto manzoniano, che oggi ha dato fuoco ad attacchi reciproci. Diciamocela tutta, quest’accoppiata era stata un’invenzione renziana, una mossa spudoratamente tattica, per scavallare le politiche, dopodiché lui, Matteo, non aveva nessuna intenzione di mettere su un partito da consegnare ad un altro narciso come Calenda.

Per il senatore di Rignano, che a differenza di Calenda mangia pane e politica dai tempi dei boy scout, non c’è nessun motivo per legarsi le mani in un tempo così fluido a diversi anni, formalmente, dalle prossime politiche. Ma ci sono le elezioni europee qualcuno dirà. Importanti, ma un rimedio si trova per far eleggere candidati affidabili e rappresentativi. Il problema sono le prossime politiche, ed un centro che una creatura bizzarra e biforcuta come il Terzo Polo non può occupare.

A differenza di Calenda, Matteo Renzi sa quanto è difficile mettere su una rappresentanza territoriale, tant’è vero che i pochi eletti nelle regioni e nei comuni sono quasi tutti suoi, più che di Azione. Calenda più che Azione dovrebbe chiamare il suo partito Opinione, visto che ne ha una su tutto, mentre difettano le gambe. E le idee senza gambe hanno vita difficile. Calenda non si può lamentare di una indisponibilità di Renzi. Senza di lui, dopo aver fatto di tutto per affossare il centrosinistra, non aveva dove andare. Renzi sa di non poter oggi, del diman non c’è certezza, condurre un’area politica, ma certamente non ritiene

Carlo Calenda all’altezza, e non gli si può dare gran torto. Calenda è un comunicatore, gode, per non aver ancora dimostrato nulla in forma apicale, di una certa opinione, ha un linguaggio populista, seppur proveniente dai Parioli, con un suo pubblico. Ma quando bisogna convincere classi dirigenti, territori politici, quando bisogna scegliere un candidato ne azzecca poche. Renzi è l’opposto, sa fare pane con la farina che ha, spesso altrui. Lui è come il Gordon Gekko di Wall Street, lui sa che è l’avidità che muove il mondo, e lui è avido di politica, la droga del consenso.

Soltanto che essendo dotato di innate abilità tecniche sa giocare anche da rifinitore, da kingmaker. Lo ha fatto due volte con Mattarella, lo ha fatto con Draghi, e se c’erano le condizioni lo avrebbe fatto pure con Casini. Però ha vinto molte coppe ma non lo scudetto. È più uomo da Champions, da qui l’ossessione per lo standing internazionale. Il suo scudetto è vincere le nazionali, e capisce che Calenda non ce la farebbe, oltre a non dargli affidabilità di tenuta. Pertanto si sgancia, la mossa del Riformista è diabolica, può fare arbitro e giocatore, in questo caso prendendo spunto dai detestati juventini. Ora che con questa mossa ha di fatto messo in campo un arrocco, si sgancia da Carlo il pacioso fumantino, che si trova con un niente in mano, a parte qualche talk dove poter dare del cretino a chiunque.

Calenda può essere un buon ministro ma Premier si nasce,  si è predestinati a fare il numero 1. Lui in Ferrari era il secondo, idem in Confindustria, al governo arrivava se va bene sesto, dopo Renzi, Boschi, Gentiloni, Padoan e Alfano. Inoltre se la Guidi non avesse avuto un incidente lui non sarebbe mai asceso allo Sviluppo Economico, il suo trampolino di lancio.

Il Terzo  Polo sembra, pare, risulta, al capolinea. Ma lo spazio al centro, rifugiatosi in gran massa per carenza di offerta chiara nell’astensione, sta diventando enorme. E Renzi lo sa, ma non ha fretta, quella fa i gattini ciechi.

Così è se vi pare.

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