Inflazione e rialzo dei tassi di interesse: visti da Sud fanno ancora più paura - QdS

Inflazione e rialzo dei tassi di interesse: visti da Sud fanno ancora più paura

redazione

Inflazione e rialzo dei tassi di interesse: visti da Sud fanno ancora più paura

Amedeo Barbagallo, Vito Manca e Patrizia Penna  |
martedì 04 Luglio 2023

Petrella (Istituto Friedman): “Famiglie e imprese massacrate”. Ma la strada dei rialzi è l’unica percorribile. Al QdS l’intervento di Anna Valvo, ordinario di Diritto dell’Unione europea (Unict)

Il rischio è che combattere l’inflazione, come la Banca centrale europea sta facendo attraverso una politica di progressivo rialzo dei tassi di interesse, comporti danni collaterali serissimi: la recessione e il blocco degli investimenti. Un rischio paventato da molti, incluso l’Istituto “Milton Friedman” e il suo Advisor e responsabile per lo Sviluppo della Sicilia Ninni Petrella: “Ritengo – ha detto Petrella al QdS – che la politica dei tassi di interesse della Bce sia rischiosa. L’unico effetto che può portare è di massacrare ulteriormente i risparmiatori, i consumatori e le piccole imprese, aggravando la difficile situazione attuale. Ritengo che la presidente Christine Lagarde avrebbe dovuto immaginare un’alternativa per combattere l’inflazione. Ha deciso di portare i tassi d’interesse ai massimi dal 2001, rispettivamente al 4% per le operazioni di rifinanziamento principali, al 4,25% per le operazioni di rifinanziamento marginale e al 3,5% per i depositi. Si può facilmente intuire quanto questa scelta sia rigida e inflessibile”.

Veniamo da un decennio di tassi negativi e andare oltre un 3% rischia sicuramente di mettere in crisi il sistema, soprattutto di quelle aree, come il Mezzogiorno per l’appunto, dove il tessuto economico appare più fragile e quindi più vulnerabile: mutui più onerosi per le famiglie e prestiti più “salati” per le imprese rischiano di avere un impatto durissimo sulle zone più svantaggiate del nostro Paese.

La Banca centrale europea, tuttavia, al momento non intende cambiare rotta anche perché, e noi ne siamo convinti, la strada dei rialzi è l’unica percorribile.
Anche il presidente della Bundesbank Joachim Nagel nel corso di una conferenza a Francoforte ieri è tornato a difendere le scelte della Bce: “È fondamentale riportare l’inflazione al 2%” e ha aggiunto che bisognerà “mantenere questo livello di tassi di interesse per un periodo di tempo più lungo”.
Il numero uno della Bundesbank ha ammesso che “è innegabile” che la stretta monetaria freni l’economia. Tuttavia, “per ripristinare la stabilità dei prezzi, la domanda e l’offerta devono equilibrarsi. È senza dubbio impopolare, ma è proprio per questo che esistono le banche centrali indipendenti”.
Non la pensa così Petrella: “Non posso non rifarmi a quanto sostenuto dal professor Milton Friedman – ci spiega – Sappiamo bene che l’inflazione non è altro che l’aumento dei prezzi che, da un punto di vista della salute pubblica, si potrebbe definire come una sorta di malattia del sistema economico e sociale. In questa chiave è possibile fare il paragone con una persona dedita all’uso di alcool. Una cosa è bere un bicchiere ogni tanto, un’altra è la perdita del controllo. Una soluzione potrebbe essere l’incremento della quantità di moneta in circolazione ad un tasso equivalente a quello dell’aumento del reddito reale del sistema economico. Se il PIL aumenta di X %, la moneta in circolazione dovrebbe essere aumentata dello stesso X %. Ovviamente tutto ciò dovrà essere rigorosamente controllato al fine di ottenere un naturale equilibrio”.

Al netto delle ipotesi sugli scenari che si delineano per l’Europa e sulle soluzioni possibili da mettere in atto per spegnere la fiammata inflazionistica che ci accompagnerà certamente per tutto il 2024, i dati Istat pubblicati ieri confermano che nel 2022 il Prodotto interno lordo, misurato in volume, è aumentato a livello nazionale del 3,7%. Le stime preliminari indicano che la crescita ha interessato in misura più significativa le regioni del Nord-est e del Centro rispetto a quelle del Nord-Ovest e del Mezzogiorno.
L’area del Nord-est ha fatto registrare la performance migliore, con un aumento del Pil pari al 4,2%, seguita dal Centro, dove l’aumento è stato del 4,1%. A fronte di una crescita meno elevata nel Sud (+3,5%) e nel Nord-ovest (+3,1%).

Numeri incoraggianti ma fino ad un certo punto. Sappiamo tutti che l’Italia deve fare i conti con criticità ancora irrisolte come quelle che riguardano il mondo del lavoro.
“Sinceramente non credo che il mercato del lavoro non funzioni – dice Petrella – e che il nostro sia peggiore rispetto a quello degli altri Stati europei. Certo, negli anni i governi non hanno favorito il lavoro e l’occupazione. Se parliamo di Pubblica Amministrazione abbiamo visto oltre un decennio di blocchi di assunzioni e un invecchiamento globale della popolazione lavorativa nazionale. Se parliamo di privato, invece, sappiamo bene quanto le imprese abbiano subito le crisi degli ultimi anni. Però posso dire che guardando gli ultimi dati di quest’anno, relativi all’occupazione, l’indice è assolutamente positivo. Non è in crisi il sistema capitalistico ma l’ingerenza dello Stato nell’economia italiana. Appare utile rivedere il sistema delle politiche del lavoro lasciando all’iniziativa privata la capacità di autoregolarsi nel meccanismo di incrocio domanda e offerta, restando allo Stato solo la scelta del sistema di incentivi per promuovere le condizioni infrastrutturali e per favorire gli insediamenti produttivi”.

Il sistema dei bonus è più politico che economico? “E sicuramente politico – chiosa il responsabile siciliano dell’Istituto Friedman – ed utilizzato soprattutto per accaparrarsi elettorato. Per quanto mi riguarda è giusto in parte. È giusto nella misura in cui realmente può divenire uno strumento economico reale”.

“Mes? L’Italia fa bene a tenere il punto su ratifica perché pone condizioni rigorose”

Al QdS l’intervento di Anna Valvo, ordinario di Diritto dell’Unione europea (Unict)

Anna Valvo
Anna Valvo

A tenere banco nelle ultime settimane è la questione del “Fondo salva Stati”, il discusso Mes, meccanismo istituito nel 2012 dai membri dell’eurozona ma che l’Italia non ha ancora ratificato. Si tratta di un’organizzazione finanziaria, posta al di fuori dello spazio giuridico dell’Unione, rivolta a garantire la stabilità economica degli Stati con una situazione interna complicata tramite un prestito di denaro.
Il tempo per la discussione stringe, perché il nostro è l’unico Paese che manca all’appello. Mentre le opposizioni ultraeuropeiste pressano, il Governo prende tempo, facendo slittare l’iter parlamentare. E in politica prendere tempo è sinonimo di debolezza. Lo sa bene Giorgia Meloni, l’ex sovranista passata da Bannon alla Von der Leyen, che ha il difficile compito di tenere salda una coalizione con sensibilità diverse sul tema. Coalizione che – vedi Salvini – cerca il momento giusto per rosicchiare consensi alla leader indiscussa.

Per comprendere al meglio le dinamiche della situazione il QdS si è rivolto alla prof.ssa Anna Valvo, ordinario di Diritto dell’Unione Europea presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Catania, che ci ricorda come il dibattito non sia incentrato sull’approvazione o meno del Mes, bensì sulla ratifica delle modifiche al trattato.

“L’Italia fa benissimo a ‘tenere il punto’ e a non ratificare le modifiche al trattato”, sottolinea Valvo, “perché l’obiettivo del Mes è quello di ‘mobilizzare risorse finanziarie e fornire un sostegno alla stabilità, secondo condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto’ là dove per ‘condizioni rigorose’ si intende che alla concessione del prestito ricevuto gli Stati devono attuare una pluralità di riforme non tanto adeguate alle reali esigenze del Paese e dei suoi cittadini ma adeguate alle richieste della Commissione europea, della Bce (e del Fmi)”.

“Le condizioni che devono essere rispettate dallo Stato – prosegue l’ordinario – sono definite in un ‘Memorandum d’intesa’ e se lo Stato non attua le riforme che si è impegnato ad attuare, viene sospesa la linea di credito. Le riforme cui può essere obbligato lo Stato possono essere le più svariate e possono andare dal sistema pensionistico, alla riforma del lavoro, della giustizia e via discorrendo”.
“La cosa sconcertante è che gli Stati membri del Mes sono comunque obbligati a versare le quote di capitale sottoscritto e potrebbe essere proprio il versamento della detta quota a determinare la necessità degli aiuti”.

Il Mes, tuttavia, riporta alla mente ricordi drammatici per la nostra storia: “Si pensi alla Grecia e alle sofferenze cui è stato sottoposto il popolo greco al quale l’Unione europea dovrebbe delle scuse”, è il monito dell’esperta.
Il dibattito alla fine potrebbe indebolire la leadership Meloni, “considerato che larga parte del partito di maggioranza relativa (FdI, ndr) è tendenzialmente contrario alla ratifica”.

Secondo la prof.ssa Valvo, che si lascia andare a un laconico “purtroppo”, “anche l’Italia ratificherà le modifiche al trattato”. Con buona pace di chi ha cavalcato la campagna elettorale sull’onda del sovranismo, arrivando dove neanche Mario Draghi era riuscito.

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