Intervista alla scrittrice Chiara Valerio: “Siamo diventati gli addestratori della macchina” - QdS

Intervista alla scrittrice Chiara Valerio: “Siamo diventati gli addestratori della macchina”

redazione

Intervista alla scrittrice Chiara Valerio: “Siamo diventati gli addestratori della macchina”

Roberto Greco  |
martedì 20 Giugno 2023

Chiara Valerio: “Chat GPT ci rivela la straordinaria inadeguatezza dei nostri modelli culturali”

Chiara Valerio ha conseguito la laurea e il dottorato in Matematica all’Università degli Studi di Napoli Federico II, sul tema del calcolo delle probabilità. Scrittrice e saggista italiana, opera nel mondo della comunicazione ad ampio raggio. Nel suo ultimo libro, che s’intitola “La tecnologia è religione”, si parla del nostro rapporto con la tecnologia e del potere del linguaggio. QdS l’ha intervistata a proposito dell’intelligenza artificiale di tipo generativo.

Quando si parla di ChatGPT si parla, essenzialmente, di intelligenza artificiale generativa. Si tratta di una tecnologia che sembra la porta d’accesso a un nuovo modello di democrazia digitale, quella in cui tutti possono avere accesso a strumenti senza la benché minima conoscenza e, quindi, senza nessuna capacità di riscontro e critica. E’ forse questo uno dei rischi maggiori che stiamo correndo?
“La cosa che davvero m’interessa di ChatGPT, delle intelligenze artificiali generative, è il modo nuovo in cui ci pongono nei confronti delle macchine. Non siamo più noi a verificare l’esattezza delle nostre azioni o delle nostre conoscenze. Non è come cercare una data su Wikipedia o verificare la ricetta della parmigiana di melanzane o su un video tutorial come si cambia una ruota perché siamo noi che correggiamo gli sproloqui di ChatGPT su Shakespeare o Woolf o altro. Siamo diventati gli addestratori della macchina. ChatGPT è un tamagotchi collettivo. Dopodiché crea un problema di gerarchia delle informazioni. Ma questo problema c’era prima di ChatGPT che, semplicemente, lo amplifica. Dunque ChatGPT ci rivela la straordinaria inadeguatezza dei nostri modelli culturali”.

Anche per la tecnologia, come per altri temi sociali, sembra che si profili, in prospettiva, una sorta di lacerazione sociale tra chi grida al “miracolo” e chi alla “catastrofe”. Il titolo del suo ultimo libro è “La tecnologia è religione”. Forse perché anche nei confronti della tecnologia è richiesto di compiere “atti di fede”?
“Non ho voluto definire la tecnologia come una religione e non credo che lo sia. Penso che la tecnologia senza scienza addomestichi a non chiedersi quali siano i rapporti di causa ed effetto. E perduti i rapporti di causa effetto tutto è magico e tutto è religioso. Strutturalmente le macchine assonano a riti magici o religiosi perché, proprio come la magia o la religione, si fondano su ripetizioni alle quali attribuiamo il nome di liturgie o incantesimi”.

Siamo forse in presenza di una nuova “droga” che può creare dipendenza e che, a seguito dell’assuefazione, può portare a un annullamento della propria volontà?
“Ci si può drogare con tutto. Anche con la tecnologia. Anche con i social. D’altronde se la realtà o la quotidianità è il luogo dove si vive di stenti, si soffre e si muore, si può preferire andare altrove in un mondo dove in apparenza morte, malattia e dolore non ci sono. Se tuttavia si legge il Barlaam e Ioasaf, la storia del Buddha Bizantino, si capisce bene che non si può resistere a lungo in luoghi senza dolore, malattia e morte”.

Libero arbitrio, responsabilità, emotività e, più in generale, il cosiddetto “human touch” rischiano di essere sostituiti dagli sviluppi dell’intelligenza artificiale generativa?
“L’intelligenza artificiale generativa è un’altra forma d’intelligenza umana. Avendo una possibilità di accumulare più memoria di un singolo individuo, potrebbe avere più immaginazione di un singolo individuo. Ma credo sia l’occasione di pensarsi di nuovo come comunità e non come singolo. Sa, ho studiato troppo a lungo matematica per non essere più curiosa che preoccupata. Anche quando vado incontro al baratro”.

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