L’esodo di 500 mila dipendenti pubblici - QdS

L’esodo di 500 mila dipendenti pubblici

Carlo Alberto Tregua

L’esodo di 500 mila dipendenti pubblici

sabato 18 Maggio 2019

Inutili le piante organiche

Un grido d’allarme è arrivato dal Forum della Pa, secondo il quale nel prossimo triennio lasceranno il pubblico impiego 500 mila dirigenti, funzionari e dipendenti.
Non sappiamo se esso sia motivato, perché nella Pubblica amministrazione di tutti i livelli non è mai stato redatto il Piano aziendale, all’interno del quale vengono determinati i reali fabbisogni di risorse umane e finanziarie. è vero che ci sono le stantie piante organiche, ma esse non sono mai state aggiornate e comunque non in fase con i fabbisogni odierni.
Gli stessi sono determinati da qualifica, competenza, capacità di risolvere i problemi. Si capisce come un personale pubblico che viaggia verso i 60 anni – di cui più della metà non ha la laurea, non ha appreso i moderni sistemi digitali e non ha neanche la voglia di apprenderli – sia la causa principale della disfunzione burocratica che blocca la crescita.
La burocrazia non funzionante e non digitalizzata è la causa prima della corruzione e dell’evasione fiscale.

I sindacati del pubblico impiego si sono messi in moto per chiedere che vengano banditi i concorsi per rimpiazzare i pensionandi. Ma senza la redazione del Piano aziendale, struttura per struttura, è impossibile bandire tali concorsi perché farebbero riferimento a mansioni che non esistono più.
L’attuale ministro alla funzione pubblica, avvocato Giulia Bongiorno, sta preparando un ddl di riforma della Pubblica amministrazione, ma da notizie di corridoio non sembra che tale ddl contenga il Piano aziendale e con esso la determinazione, ripetiamo, dei fabbisogni di risorse umane e finanziarie.
Siamo alle solite: il Governo del cosiddetto cambiamento continua ad andare sulla vecchia strada che non consente l’ammodernamento del sistema pubblico e con esso la facilitazione delle attività economiche che dovrebbero essere trainate e non frenate.
Due sono i principali valori che andrebbero immessi nella riforma, ma di cui non troviamo traccia: il Merito e la Responsabilità. Invece, si avverte il mantenimento di un appiattimento verso il basso delle attività pubbliche con la conseguenza che non lieviterà la qualità degli stessi.
Il non dimenticato magistrato Paolo Borsellino, quando riceveva lo stipendio si poneva la domanda: “Me lo sono meritato?”. Altro che l’aveva meritato! Ma quanti sono i dipendenti pubblici e parapubblici, oggi intorno ai 4 milioni, che si pongono la stessa domanda? Borsellino era forse uno stupido a interrogarsi? Non lo crediamo, certamente era una mosca bianca.
Conosciamo decine e forse centinaia di dipendenti e funzionari pubblici. Raramente da qualcuno di essi abbiamo sentito porsi la domanda su riferita, mentre tutto scorre come se nulla fosse, indipendentemente dai risultati che ognuno di essi consegue, tanto lo stipendio è assicurato puntualmente ogni fine mese.
I concorsi servono per selezionare i più meritevoli, i candidati più preparati. Ma spesso gli stessi concorsi non sono aggiornati in base alle moderne tecniche di organizzazione, basate sulla digitalizzazione. Conseguentemente essi non sono idonei a selezionare il personale che serve veramente perché è in condizione di lavorare con profitto.

La Questione della burocrazia, che poniamo da decenni, è principale rispetto ad altre, seppure importanti, come la Questione morale e Questione meridionale, non perché è avulsa da esse, ma perché è si intrinseca con le altre due.
Non vi è dubbio che dirigenti, funzionari e dipendenti pubblici dovrebbero improntare la loro azione in base ad una linea di virtù morali che escludono ogni compromesso corruttorio e che intervengono per eliminare in radice quando la corruzione cerca di intrufolarsi nei meandri burocratici.
Solo quei cittadini che lavorano nella Pubblica amministrazione, dotati di forti principi morali, sono in condizione di fare per intero il loro dovere e di servire i cittadini. Essi possono respingere tutti i tentativi di coloro che chiedono favori.
Ecco, è la cultura del favore che va debellata e sostituita, sempre e comunque, con la cultura del dovere e del rispetto verso se stessi e le istituzioni.

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