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La mafia non molla la presa sui Comuni siciliani. I provvedimenti di scioglimento sono in aumento

Valeria Arena

La mafia non molla la presa sui Comuni siciliani. I provvedimenti di scioglimento sono in aumento

venerdì 17 Gennaio 2020

La criminalità organizzata continua ad allungare la propria ombra sulle istituzioni locali e sugli amministratori. Nel 2019 sono stati sette i Comuni isolani commissariati, due in più rispetto al 2018 e ben cinque in più rispetto al 2017. Parla Luca Fiordelmondo, collaboratore dell'Osservatorio parlamentare di Avviso pubblico

PALERMO – Continua a crescere il numero di Amministrazioni comunali siciliane sciolte per infiltrazioni della criminalità organizzata. È quanto si evince dall’ultimo report di Avviso pubblico, l’associazione di Enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie, relativo allo scorso anno.

Da gennaio a dicembre 2019, infatti, sono stati sette i Comuni isolani commissariati, due in più rispetto al 2018 e ben cinque in più rispetto al 2017: Pachino (Siracusa), San Cataldo (Caltanissetta), Mistretta (Messina), San Cipirello (Palermo), Torretta (Palermo), già al secondo scioglimento, Mezzojuso (Palermo) e Misterbianco (Catania), tra le prime amministrazioni sciolte nel 1991, anno di entrata in vigore della legge che disciplina l’istituto, e non nuova ai commissariamenti.

Su ciò che ha riguardato il Municipio etneo occorre poi fare una breve parentesi. Il commissariamento, infatti, è stato duramente contestato dal sindaco Antonino Di Guardo, che dal 1988 a oggi ha ricoperto il ruolo di primo cittadino ben cinque volte, e in tal senso ha presentato un ricorso al Tar per opporsi alla decisione del ministero dell’Interno.

Tornando al rapporto di Avviso pubblico, sono stati 21 gli Enti comunali sciolti per infiltrazioni della criminalità organizzata e 26 i decreti di proroga di precedenti scioglimenti registrati lo scorso anno: numeri perfettamente in linea con il 2018, conclusosi con 23 provvedimenti, e con il 2017, fermo a 21. Si tratta del settimo anno in cui viene superata la soglia dei venti scioglimenti e, considerando anche le proroghe, siamo davanti alla cifra più rilevante di questi ultimi 29 anni. Dal 2017 a oggi, infatti, la quantità dei provvedimenti ha raggiunto i livelli registrati nei primi anni Novanta, storicamente e tristemente ricordati per le grandi stragi di mafia e per Tangentopoli.

Ancora una volta gli scioglimenti riguardano soltanto Sud Italia. A guidare la classifica troviamo non a caso la Calabria, con otto provvedimenti nel 2019, seguita dalla Sicilia (sette), la Puglia (tre), la Campania (due) e la Basilicata.

Primato confermato anche nel lungo periodo. Dal 1991 a oggi sono stati infatti 119 i commissariamenti registrati in Calabria, 109 in Campania, 82 in Sicilia, 18 in Puglia e 12 nel resto delle regioni italiane. A questo punto appare scontato constatare come i territori maggiormente colpiti siano proprio quelli in cui le organizzazioni criminali di tipo mafioso sono nate e hanno messo radici. Per queste strutture, infatti, continua a essere pratica consuetudinaria controllare le amministrazioni locali.

Non a caso, uno dei principali problemi di questi territori continua a essere il commissarimento plurimo. Numerosi Enti locali hanno dovuto fare i conti nel corso di questi 29 anni con più di un provvedimento di scioglimento. In Sicilia spiccano Altavilla Milicia (Palermo), Bagheria (Palermo), Caccamo (Palermo), Campobello di Mazara (Trapani), Cerda (Palermo), Mascali (Catania), Misilmeri (Palermo), sciolto tre volte, Niscemi (Caltanissetta), Riesi (Caltanissetta), San Giovanni La Punta (Catania), Scicli (Ragusa), con un provvedimento poi annullato, Torretta (Palermo), Villabate (Palermo) e Misterbianco (Catania).

Nell’Isola, inoltre, degli 82 decreti di scioglimento registrati, di cui tre annullati, 35 hanno interessato la sola provincia di Palermo: una cifra enorme se si considera che Catania e Agrigento, che occupano seconda e terza posizione, sono ferme rispettivamente a 12 e 9. La maggior parte di questi provvedimenti, in ogni caso si colloca tra il 1992 e il 1993.


Intervista a Luca Fiordelmondo, collaboratore Osservatorio parlamentare di Avviso pubblico

Luca-Fiordelmondo

Per comprendere meglio le dinamiche relative al fenomeno abbiamo sentito Luca Fiordelmondo, collaboratore dell’Osservatorio parlamentare di Avviso pubblico e tra gli autori del resoconto realizzato dall’osservatorio.

Anche quest’anno i decreti riguardano soltanto il Sud Italia. Da una lettura superficiale dei dati, sembrerebbe che l’ingerenza della criminalità organizzata nelle Amministrazioni locali sia un problema tutto meridionale, eppure sappiamo che non è così: sappiamo che le mafie hanno esteso i propri confini e che si sono radicate anche al Centro-Nord. Come dovremmo quindi leggere queste cifre?
“In realtà ci sono diverse possibili interpretazioni. Diciamo che nelle regioni a tradizionale insediamento mafioso risulta più facile riconoscere l’ingerenza di questo tipo di criminalità e di conseguenza l’attività viene più facilmente repressa; laddove invece si esce dal contesto in cui le mafie tradizionalmente si insediano, ci sono tutta una serie di altri elementi che contribuiscono a rendere meno semplice l’individuazione del fenomeno, anche dove sia particolarmente palese. Al Centro-Nord, infatti, non sempre si è in grado, politicamente parlando, di riconoscere il fenomeno come tale. Questa però è una delle possibili interpretazioni. Ci sono poi tutta una serie di elementi che rendono difficili le analisi di questo tema. Al Nord, per esempio, per le Prefetture potrebbe essere più difficoltoso capire se effettivamente esiste un’ingerenza mafiosa nei Comuni e, inoltre, non è detto che il crimine organizzato abbia la forza di condizionare gli Enti locali. Ci sono ricerche che definiscono ingiustificato un numero così esiguo di scioglimenti nel Centro-Nord, dove è stato anche attestato a livello giudiziario che il fenomeno mafioso si è radicato, ma effettivamente non è detto che laddove è presente la mafia, ci sia poi un condizionamento delle Amministrazioni locali. Cioè, è possibile ci sia un Comune sano in contesto socio-economico deviato, com’è possibile anche il contrario. Diciamo che il fenomeno è complesso, generalizzare non aiuta. Bisognerebbe valutare caso per caso”.

È possibile che al Nord, per questioni storiche e socio-economiche, si sia più restii a utilizzare questo strumento rispetto al Sud, effettivamente abituato a questo tipo di pratiche?
“Sì, effettivamente è un’osservazione che da molti viene sollevata e io non mi sento di escluderla, ma non riesco neanche a sposarla in pieno perché bisognerebbe capire di cosa si sta parlando nel caso concreto. Penso per esempio al caso di Roma: si è parlato molto della possibilità del Governo nazionale di sciogliere la capitale del Paese adducendo questa motivazione. Si è poi deciso di sciogliere un solo Municipio, pur affiancando un altro tipo di commissariamento all’Amministrazione centrale. Dire, però, che non si è sciolto il Comune per non accettare il fatto che ci siano ingerenze è una lettura un po’ forte, che non mi sento di avallare. Anche quello che sta uscendo fuori dal processo di Mafia Capitale ci fa rendere conto di quanto sia difficile inquadrare il fenomeno mafioso, soprattutto quando si è fuori dal contesto di nascita, perché può assumere forme e modalità diverse difficili da identificare effettivamente come mafiose”.

Un’altra questione spinosa riguarda invece i commissarimenti plurimi. Al Sud e in Sicilia ci sono Comuni che nel corso di questi 29 anni sono stati sciolti più volte. È lecito pensare che in determinati contesti neanche questo strumento sia in grado di cambiare le cose?
“Anche in questo caso la verità sta nel mezzo. Non è immaginabile che una singola legge, di per sé sola, riesca a rimettere ordine un contesto sociale altamente condizionato da logiche mafiose. È necessario che ci sia un aiuto anche da parte della comunità locale. La legge può non essere perfetta, ed evidentemente non lo è, tanto che attualmente ci sono tante proposte di legge di riforma della stessa e noi di Avviso pubblico abbiamo anche partecipato a un’audizione presso la prima commissione Affari costituzionali della Camera per commentare le proposte avanzate allo scopo di migliorare la normativa attuale, che appunto è perfettibile. Certo è che in un determinato contesto sociale che ripropone sempre gli stessi soggetti politici come amministratori locali, è impensabile credere che una legge da sola possa cambiare le cose. Dovrebbero essere i cittadini a rendersene conto. Prendiamo il caso di Misterbianco: nella relazione del ministro dell’Interno allegata allo scioglimento, si legge ‘il prefetto stigmatizza la continuità che ha caratterizzato nel tempo la conduzione dell’istituzione locale, atteso che l’attuale primo cittadino è al suo quinto mandato e ha rivestito la medesima carica per un totale di 18 anni dal 1988 a oggi e ben 15 consiglieri su 22 eletti lo scorso anno erano presenti anche della consigliatura precedente’. Dovrebbe quindi esserci più attenzione da parte della cittadinanza.

Quindi, laddove questo strumento non risulti efficace, cosa bisognerebbe fare per risanare determinati contesti?
“Quello che è auspicabile è investire sulla cultura della legalità a lungo termine e in maniera significativa e che il Governo centrale aiuti le Amministrazioni locali in questa direzione. Oltre il 10% dei Comuni commissariati poi sono in dissesto, per cui non hanno neanche le risorse economiche per effettuare campagne e iniziative di questo tipo. Spesso il problema finanziario è legato o addirittura è causa della facilità di infiltrazione dell’organizzazione criminale”.

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