Coronavirus, la seconda ondata costa nove miliardi di euro alle famiglie - QdS

Coronavirus, la seconda ondata costa nove miliardi di euro alle famiglie

Nino Sunseri

Coronavirus, la seconda ondata costa nove miliardi di euro alle famiglie

mercoledì 04 Novembre 2020

A scattare la fotografia degli effetti economici del Covid in questo periodo è il Mef. Il costo nei primi tre mesi della pandemia è stato di 27,8 mld che il Governo ha cercato di arginare con aiuti per 15,4 miliardi

PALERMO – Quanto costa la seconda ondata del Covid? I conti ovviamente sono in via di elaborazione. Tuttavia una prima indicazione di larga massima indica una perdita di reddito di circa 9 miliardi in termini di reddito per singoli e famiglie.

A scattare una fotografia degli effetti economici è il Ministero dell’Economia e delle Finanze nell’analisi “L’impatto del Covid-19 e degli interventi del Governo sulla situazione socio-economica delle famiglie italiane nei primi tre mesi della pandemia”.

Il costo dei tre mesi è stato di 27,8 miliardi che il governo ha cercato di arginare con aiuti per 15,4 miliardi. I 12,4 miliardi che mancano (poco più di quattro miliardi al mese), rappresentano l’effettivo impoverimento delle famiglie italiane provocate dalla pandemia.

Ed è di queste cifre che il Governo deve tener conto nel momento in cui si prepara a varare un altro blocco dell’attività. Il prolungamento della cassa integrazione fino al 31 marzo (insieme al blocco dei licenziamenti) non è privo di conseguenze. Come si legge nello studio: “Le risorse messe in campo per arginare gli effetti economici del lockdown hanno evitato il rischio di povertà per quasi 302mila nuove persone, anche se una famiglia su dieci resta sul filo del rasoio”.

Le nuove restrizioni rappresentano, in questo senso, una nuova prova. Come dimostrano i dati dello studio Mef, il prezzo del Covid in termini di perdita di reddito per singoli individui e famiglie è destinato a salire, anche se il governo ha preparato un ulteriore pacchetto di aiuti con il Decreto Ristori, approvato 27 ottobre in Consiglio dei Ministri. Il pacchetto è lo stesso dei precedenti decreti a cominciare dalla platea di lavoratori interessati pari a 8,2 milioni. I contributi a fondo perduto sono andati a beneficio del 25% dei lavoratori autonomi con un importo medio ricevuto pari a di 1.240 euro.

La cassa integrazione ha coinvolto il 31% dei lavoratori dipendenti con un assegno medio di 993 euro al mese, solo uno su quattro ha superato i 1.200 euro. Anche il bonus affitto per i canoni di locazione per immobili a uso non abitativo è stato utilizzato dal 31% dei lavoratori autonomi. Infine l’indennità Covid: il bonus 600 euro a marzo e aprile ha avuto una portata totale di 4,7 miliardi di euro e il bonus 1.000 euro professionisti di maggio pari a 349 milioni di euro.

Le misure, alcune già potenziate in prima battuta dal Decreto Agosto, entreranno a far parte del pacchetto di aiuti del Decreto Ristori, che deve fare da contrappeso alle disposizioni del Dpcm del 24 ottobre che ha imposto un semi lockdown. Rispetto alla prima esperienza, gli aiuti saranno più selettivi: mirati, cioè, a tutti coloro che direttamente sono interessati dal nuovo stop.

Ma la realtà dimostra che bonus, contributi, cassa integrazione servono a tamponare ma non a compensare le perdite. Proprio questa ragione le chiusure dovranno essere calibrate per evitare effetti indesiderati.

Il Rapporto Censis-Confimprese “Il valore sociale dei consumi” stima che una seconda ondata di restrizioni potrebbe portare un crollo dei consumi complessivo di 229 miliardi da qui a fine anno (-19,5% in ragione d’anno) Contemporaneamente sarebbero a rischio 5 milioni di posti di lavoro. Nel periodo delle feste natalizie, restrizioni paragonabili al lockdown di primavera farebbero sfumare 25 miliardi di euro di spesa delle famiglie.

Con il Covid, avverte lo studio, i consumatori sono diventati più sfuggenti e infedeli: 18 milioni hanno modificato i propri comportamenti di acquisto, cambiando negozi o brand di riferimento, gestendo diversamente la spesa, cambiando i criteri di scelta dei luoghi di acquisto. La metà degli italiani, conclude lo studio, è disposta ad accettare i rigori della seconda ondata solo perchè convinta che a breve arriverà una cura risolutiva o il vaccino. Lo dicono soprattutto i residenti del Sud (il 55,2% rispetto alla media nazionale del 49,7%) e gli anziani (il 53,5%).

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