L’economia della conoscenza - QdS

L’economia della conoscenza

Marco Vitale

L’economia della conoscenza

mercoledì 22 Novembre 2023

L’economia della conoscenza non è dunque una cosa nuova dei nostri giorni

L’economista e saggista Peter Ferdinand Drucker, sin dal 1968, ha provato a farci capire le radici profonde della differenza tra le industrie anteriori al 1850 e le nuove industrie nascenti:

“(…) nell’”età eroica delle invenzioni”, cioè nei sessanta o settant’anni precedenti la prima guerra mondiale, gli inventori con formazione scientifica universitaria erano notevoli soltanto per la loro quasi totale assenza. Nelle nuove industrie nascenti, si impone una nuova realtà economica, in cui la conoscenza è divenuta la risorsa economica principale. L’acquisizione sistematica della conoscenza, cioè l’istruzione formale organizzata, ha sostituito l’esperienza – acquistata tradizionalmente attraverso la pratica – nel ruolo fondamentale per capacità e prestazioni produttive. Infine, queste nuove industrie differiscono dall’industria moderna tradizionale, in quanto esse impiegheranno principalmente lavoratori specializzati più che lavoratori manuali. Il computer-programming, ad esempio, con le sue immense opportunità d’impiego, è un lavoro semi-specializzato; per diventare programmatori di calcolatori non si ha bisogno che dell’aritmetica della scuola secondaria, di tre mesi di corso specializzato e di sei mesi di pratica. Ma se l’abilità richiesta non è successivamente elevata, essa è tuttavia basata sulla conoscenza più che sull’esperienza manuale. Lo stesso vale per le altre opportunità di lavoro che le nuove industrie andranno via via creando; tra i nuovi impieghi, alcuni saranno altamente specializzati come, ad esempio, molti dei lavori creati per lo sfruttamento degli oceani, altri richiederanno una specializzazione minore; tutti avranno comunque la conoscenza come base di partenza e la preparazione ad ognuno di essi non sarà un corso di apprendistato, ma di studio. La produttività del lavoratore dipenderà dalla sua abilità a realizzare concetti, idee, teorie – cioè, cose apprese in un’aula scolastica – più che a svolgere funzioni manuali acquisite attraverso l’esperienza. Non bisogna sopravvalutare l’influenza delle nuove industrie con le loro nuove tecnologie. La navigazione a vapore, dopo tutto , cominciò a sostituire sugli oceani vascelli e velieri solo dopo il 1860, quando cioè le nuove tecnologie dell’energia elettrica e del motore a combustione interna cominciavano a sostituire la macchina a vapore diventando le moderne fonti di energia. Ma le nuove industrie rappresentano un cambiamento qualitativo più che quantitativo: esse sono diverse nella loro struttura, nelle loro basi di conoscenza e nella loro struttura sociologica. Esse non sono quindi un semplice passo in avanti sulla via del progresso, ma rappresentano piuttosto una discontinuità altrettanto grande quanto quella delle industrie che sorsero tra il 1860 il 1914. Esse non potranno quindi ricondurre alle politiche attuali, sia commerciali che di governo, che più o meno sono le stesse. Esse esigono attitudini nuove sia da parte dell’uomo politico che dell’imprenditore; con delle politiche nuove le tecnologie e le nuove industrie richiederanno l’abbandono di usi, pratiche ed abitudini profondamente radicati nella società industriale moderna”.

Anche l’economia della conoscenza non è dunque una cosa nuova dei nostri giorni ma è uno sviluppo del quale siamo consapevoli da almeno cinquant’anni, e sul quale possiamo già contare su una letteratura importante, di autori contemporanei non solo americani ma anche italiani.

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