La lezione dell’Isola di Pasqua - QdS

La lezione dell’Isola di Pasqua

redazione

La lezione dell’Isola di Pasqua

Stefano Modena  |
venerdì 29 Marzo 2024

La storia dell’Isola di Pasqua presenta inquietanti analogie, su scala locale, con quelle del mondo attuale

L’Isola di Pasqua è uno dei posti più remoti e isolati del mondo. Le coste del Cile distano più di 3.500 chilometri, le isole Pitacarin oltre 2.000. Nonostante ciò, è stato dimostrato che i primi abitanti, di origine polinesiana, sbarcarono intorno all’anno 1.000, trovando un luogo paradisiaco, coperto di palme con una temperatura di circa 21 gradi tutto l’anno.

Per oltre due secoli la popolazione rimase costante, ma con successivi sbarchi aumentò fino a raggiungere le 20.000 unità. L’isola è universalmente conosciuta per i “moai”, i grandi monoliti scavati nella pietra. Una volta scolpite, le statue venivano trasportate utilizzando i tronchi di palma come rulli sui quali farle rotolare. L’intensa attività di disboscamento portò a guerre e carestie che decimarono la popolazione. Secondo alcuni studiosi alla distruzione della foresta possono aver contribuito anche i ratti arrivati con i primi abitanti, che si moltiplicarono in assenza di predatori, e si cibavano dei semi di palma.

Quando il navigatore olandese Jakob Roggeveen sbarcò sull’isola la domenica di Pasqua 1722, i Rapa Nui erano circa 3.000, e di alberi di alto fusto non c’erano più. Le malattie portate dagli europei causarono l’estinzione di questa civiltà alla fine dell’Ottocento.

La storia dell’Isola di Pasqua presenta inquietanti analogie, su scala locale, con quelle del mondo attuale. Non solo per quanto riguarda la perdita delle risorse forestali in tutta la fascia tropicale, ma anche per l’uso intensivo delle risorse minerarie, agricole, ittiche, nonché degli effetti nefasti dei cambiamenti climatici sulla fauna. Si potrebbe pensare che, nonostante la loro capacità di navigazione i polinesiani fossero ignoranti e inconsapevoli delle conseguenze dei danni che la loro attività provocava all’ambiente. Adesso le cose sono diverse, è chiaro a tutti – scienziati, cittadini e governati di tutto il mondo – ma i segni di inversione della tendenza distruttiva in corso sono ancora troppo pochi e troppo lenti.

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