Lima, “La Società italiana è stata incapace di produrre il cambiamento sperato” - QdS

Lima, “La Società italiana è stata incapace di produrre il cambiamento sperato”

Giuseppe Lazzaro Danzuso

Lima, “La Società italiana è stata incapace di produrre il cambiamento sperato”

mercoledì 16 Febbraio 2022

"L’illusione degli italiani è quella di essere un popolo di brave persone governato male, ma scordano che in democrazia è il popolo a comandare"

“L’illusione degli italiani è quella di essere un popolo di brave persone governato male, ma scordano che in democrazia è il popolo a comandare. E questo dobbiamo tenerlo a mente analizzando, a distanza di trent’anni, Mani pulite e ciò che avvenne dopo”. Da qui parte il ragionamento di Felice Lima, 61 anni, palermitano, magistrato oggi alla Procura Generale di Messina ma che negli anni Novanta, a Catania, da pm aveva condotto alcune tra le più importanti inchieste sulle commistioni tra politica, massoneria e mafia. Anche lui, ai tempi di Mani pulite, era divenuto un simbolo: un magistrato deciso a battersi per un cambiamento culturale, tanto che, per esempio, invitava pubblicamente i commercianti a denunciare chi imponeva loro il pizzo.

“Gli italiani – spiega – credono che tutto dipenderà da chi vincerà le elezioni: un secondo per mettere una croce su un foglio ed è tutto fatto. Invece è un problema di regole che vanno rispettate. E a farle rispettare non può essere l’Autorità, poliziotto o giudice che sia, ma il Cittadino, protagonista attivo della vita sociale. Se ci ammaliamo perché beviamo acqua dalle pozzanghere, come potremmo dare la responsabilità al nostro medico: siamo sani perché curiamo la nostra salute. Ecco, ignorando la legalità è come se bevessimo acqua dalle pozzanghere. Dobbiamo riprenderci il ruolo di Cittadini consapevoli, ma purtroppo oggi in Italia moltissime persone si sono confinate nel ruolo di elettori-consumatori e non riescono a uscirne. E in questo, paradossalmente, i tanti strumenti di comunicazione di massa che abbiamo alla fine non aiutano”.

Il magistrato puntualizza di non voler demonizzare le piattaforme “che sono un poderoso strumento di democrazia per chi vuol condividere idee”. “Il problema – sottolinea – è però che quasi sempre si riducono a uno sfogatoio. E poiché c’è chi crede che indignarsi su Facebook sia l’equivalente delle manifestazioni di piazza, dell’impegno dei comitati formati dalla Società civile, ecco che le battaglie di un tempo scompaiono, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti”.

“Inoltre – aggiunge – occorre combattere il manicheismo e rispettare quella complessità che è fondamentale per risolvere davvero i problemi. Anche se siamo nell’epoca delle app e dei tutorial, è molto pericoloso condurre oltre la soglia consentita il mito della semplificazione, giungendo alla mistificazione”.

Lima cita due esempi clamorosi di “potere del Cittadino”: Mark Harper, ministro dell’Immigrazione britannico costretto a lasciare, nel 2014, dopo la scoperta che la sua colf non aveva contratto, e Franziska Giffey, ministro tedesca della Famiglia, dimessasi nel 2019 perché sospettata di aver copiato un pezzetto della tesi di dottorato. “Si trattava di fatti – spiega – che probabilmente non avrebbero portato a un processo, perché non costituivano reato o erano prescritti. Ma i e i ministri si dimisero perché sapevano che i cittadini non avrebbero consentito che non lo facessero. Perché in quei Paesi, senza far questione chi sia meglio o peggio, è radicata una cultura della collettività. In Italia, invece, l’unica manifestazione plateale di dissenso che ricordi si registrò, e lo dico senza esprimere alcun giudizio sulla vicenda, quando, in piena Tangentopoli, davanti al San Raphael, una pioggia di monetine cadde su Bettino Craxi, uno degli uomini più potenti d’Italia”.

Il fatto è che il nostro Paese, “per una serie di ragioni diverse, ignora il ruolo delle regole nel sistema sociale”. Così, secondo Lima, il consumatore-elettore “incarica l’uomo della provvidenza di turno di risolvere tutti i problemi”. “Con un comportamento infantile – spiega – ci scarichiamo così delle nostre responsabilità. E poiché la classe dirigente è espressione della popolazione italiana, in questi tempi d’estrema semplificazione, in cui tutto è bianco o nero, far politica non è più riflettere, pianificare, studiare, avere una visione. È dichiarare, dichiarare, dichiarare. Ogni partito ha un proprio imbonitore che racconta al popolo ciò che gli sarà dato, sempre sotto forma di slogan e soprattutto senza spiegare come saranno ottenuti quei risultati. E quando poi le promesse non saranno mantenute, basterà dare la colpa agli altri”.

Per uscire da questa situazione che appare senza sbocco, secondo Lima occorre un percorso lungo e complesso, “che passa da uno sforzo collettivo, non politico ma culturale, e che riguarda ogni categoria”. Un processo che consenta a tutti i cittadini, a prescindere dal grado d’istruzione, di comprendere quanto si vivrebbe bene in una Società senza condoni e privilegi, senza leggi ad personas, senza che alcune aziende, evadendo le tasse o non mettendo in regola i dipendenti, mettano fuori mercato le altre. Un’Italia in cui i Cittadini siano capaci di far valere i propri diritti, di denunciare senza voltarsi dall’altra parte, di puntare l’indice contro chiunque violi le regole, sia rimproverando chi getta in terra una cartaccia, sia scendendo in piazza contro i potenti. Perché “un sistema di questo tipo inquina tutto”.

“Fisiologicamente – afferma il magistrato – in ogni sistema ci sono deviazioni, ma gli imbrogli dovrebbero essere una patologia rara. Il compito di una Società è mantenere lo scostamento entro limiti ragionevoli in maniera tale che il sistema continui a funzionare”.

“Mani pulite – ricorda Lima – sotto il profilo giudiziario ha funzionato. Il problema è che, poi, la Società italiana non è riuscita a produrre quel cambiamento che si sarebbe auspicato attraverso un percorso culturale che non è mai partito. In questo ci sono responsabilità serissime della classe dirigente, a cominciare anche da quella Magistratura che, a fronte di vicende come i casi Saguto e Palamara, da un lato, nella sostanza, ha fatto come se nulla fosse e, dall’altro, inspiegabilmente s’indigna per la perdita di credibilità della categoria. Intanto la Politica, invece di guardare avanti, di avere un progetto, non avendo una cultura del servizio si è preoccupata soltanto di sé, facendo in modo che chi si macchiava di corruzione e concussione allora e veniva punito, oggi possa farlo in maniera adeguata ai tempi. Così si è passati dalla tangente in contanti dentro la busta alla consulenza, mentre il Paese è in un’emergenza permanente”.

“Se concordiamo sul fatto – conclude – che qualunque realtà evolve e che bisogna gestirla se non vogliamo esser travolti dalle conseguenze, bisogna che tutti, Politica e Magistratura, ma anche la Stampa, l’Università, le Professioni, l’Imprenditoria, i Sindacati, lancino delle idee per farci diventare finalmente un Paese normale”.

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