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Lo stupore sociale

Antonino Lo Re

Lo stupore sociale

Giovanni Pizzo  |
martedì 05 Dicembre 2023

Il presidente degli industriali ha ammesso di aver pagato il pizzo, non occasionalmente, ma per vent’anni, come fosse un mutuo, o più semplicemente una polizza assicurativa

C’è uno strano stupore, a Catania, ma potrebbe essere pure a Palermo. Il presidente degli industriali ha ammesso di aver pagato il pizzo, non occasionalmente, ma per vent’anni, come fosse un mutuo, o più semplicemente una polizza assicurativa. D’altra parte ne pagava parecchie polizze, con tutti quei camion, questa con le altre. Si è dimesso da presidente, anche se dichiara che non pagava lui, ma suo fratello. Cosa che può interessare la sfera dei procedimenti eventuali sul piano penale, ma non sul piano sostanziale.

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Eppure Confindustria ha un chiaro regolamento che prevede l’espulsione per gli iscritti che pagano il racket. E perché, sapendo questa cosa che va avanti da decenni, si è candidato alla presidenza? Per senso di impunità? O perché magari così fan molti, forse tanti, e lo scandalo, lo stupore, della vicenda assume contorni d’ipocrisia. Fa specie che nulla cambi, nonostante un movimentismo antiracket che va avanti dagli stessi anni in cui l’azienda in questione invece pagava, per mettersi a posto, non la coscienza evidentemente. Un imprenditore a Catania si può ribellare all’estorsione mafiosa? E se si, perché non lo fa?

Di Martino non era un piccolo artigiano o commerciante, aveva relazioni e strumenti. Bisognerebbe chiederselo. Il processo Montante sta andando verso un epilogo di prescrizioni, ed è paradigmatico di quanta ipocrisia c’è stata in questi anni in cui il mondo dell’impresa contro la mafia era assurto a leader. Poi i processi dicono altro, al di là di condanne e prescrizioni, e a Catania nel 2023, trent’anni dopo le stragi, dopo la ribellione civile susseguente, il pizzo si paga come prima come sempre.

Questo vuol dire cosa? Come si fa ad uscire da tutto questo? Certo non c’è stato un grande ricambio generazionale, ma non è solo la generazione a difenderci dalla cultura mafiosa. E nemmeno gli innumerevoli convegni sull’etica.

Ci vogliono esempi positivi, persone che possano rappresentare un altro modo di pensare l’impresa, soprattutto il suo ruolo sociale, com’è scritto in Costituzione. Se l’impresa e solo di chi la possiede, la difende accettando qualunque compromesso, se è un bene sociale, utile ad un territorio, al mondo del lavoro, forse trova chi la difende da realtà di sopraffazioni in altro modo. Il problema oggi non è la dignità del sistema imprenditoriale, mail principio associativo. A che serve un’associazione se non difende i propri soci da nemici esterni che la vogliono aggredire? Per questo erano nate le corporazioni artigiane nel 400 fiorentino, non certo per pagare il pizzo a guelfi e ghibellini.

Così è se vi pare

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