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Mafia, finti pentiti messinesi ricostituiscono il proprio clan

redazione web

Mafia, finti pentiti messinesi ricostituiscono il proprio clan

venerdì 20 Dicembre 2019

Indagine della Dda peloritana e della Polizia di Stato su cinque ex collaboratori di giustizia che, espiata la pena, con le armi, avevano ripreso il controllo del territorio dedicandosi al traffico di droga e alle estorsioni. In tutto quattordici le misure cautelari

Sono tornati a Messina, hanno ricostruito la propria cosca, si sono armati e hanno ripreso il controllo del territorio dedicandosi agli affari illeciti di sempre: estorsioni e traffico di droga. Scoperti dalla Polizia, oggi sono stati arrestati cinque ex pentiti della mafia messinese.
L’inchiesta è stata condotta dalla Squadra mobile e coordinata dalla Dda di Messina, guidata da Maurizio de Lucia.

L’inchiesta, che ha portato in tutto a quattordici misure cautelari – tredici in carcere e una di arresti domiciliari – è nata un anno fa quando la Polizia ha scoperto che un gruppo di ex pentiti messinesi, protagonisti di spicco dei clan negli anni ’80 e ’90, erano tornati in città dopo aver espiato la pena e aver concluso il percorso di collaborazione con gli inquirenti.

Tutti i nomi dei quattordici arrestati

Sono quattordici le persone arrestate nell’ambito di un’ampia operazione antimafia, denominata “Predominio”, condotta dalla Squadra Mobile e coordinata dalla locale Dda nei confronti di una organizzazione mafiosa dedita all’estorsione ed al traffico di droga per lo più operante nel quartiere di “Giostra”.

Gli arrestati – alcune delle misure cautelari sono state notificate in carcere – sono gli ex pentiti Nicola Galletta, Pasquale Pietropaolo, Salvatore Bonaffini, Gaetano Barbera. In cella anche Cosimo Maceli, factotum di Galletta e Vincenzo Barbera, fratello di Gaetano.

Sono tutti accusati di associazione mafiosa.

Al quinto ex collaboratore di giustizia arrestato, Antonino Stracuzzi, viene contestato invece solo il reato di detenzione di armi aggravato dalla mafia.

Galletta, Bonaffini, Pietropaolo e Maceli rispondono anche di associazione finalizzata al narcotraffico.

Stesso reato è contestato a Orazio Bellissima, che teneva i rapporti con i fornitori di droga, anche lui finito in cella. Arrestati anche personaggi della malavita locale come Giuseppe Cutè, Angelo Arrigo, Alberto Alleruzzo, Michele Alleruzzo, Stellario Brigandì e Giovanni Ieni, quest’ultimo ai domiciliari: a loro vengono contestati diversi episodi di spaccio di sostanze stupefacenti.

Nicola Galletta figura chiave di tutta la vicenda

Il personaggio chiave dell’inchiesta coordinata della Dda di Messina è l’ex pentito Nicola Galletta, killer del clan di Giostra, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Letterio Rizzo, boss ucciso nel 1991.

Mafioso dello stesso clan, Rizzo fu eliminato nel corso della guerra scoppiata all’interno della cosca. Galletta ha scontato anche una condanna a 18 anni per mafia. E’ stato recluso al 41 bis per anni. Nell’ultimo periodo era in detenzione domiciliare.

Le indagini hanno confermato, anche attraverso il collegamento tra diversi procedimenti penali, l’ipotesi di una riorganizzazione sul territorio di Messina di alcuni ex collaboratori di giustizia, che avrebbero ripristinato i contatti con la criminalità organizzata di provenienza, muovendosi in un’ottica di nuovo controllo del territorio in contrasto con i gruppi tradizionali.

L’inchiesta nata da attentati a familiari di due arrestati

L’inchiesta è nata dagli attentati subiti dai familiari di due delle persone finite in carcere oggi insieme agli ex collaboratori di giustizia, i fratelli Arrigo, avvenuti il 29 aprile 2016 e il 25 gennaio 2017.

Indagando sugli agguati sono emersi i rapporti tra tre ex pentiti Nicola Galletta, Pasquale Pietropaolo e Salvatore Bonaffini. Tutti e tre, ultimato il percorso di collaborazione con la giustizia, erano tornati a Messina.

Dalle indagini è emerso subito il ruolo di spicco di Galletta che insieme a Barbera aveva creato una cellula criminale mafiosa di cui facevano parte anche Vincenzo Barbera, fratello di Gaetano, Pietropaolo, Bonaffini e un altro pregiudicato, Cosimo Maceli.

Le riunioni in un ristorante nel centro di Messina

Le investigazioni, avviate nel luglio 2018 e protrattesi sino al marzo del 2019, si sono avvalse di intercettazioni telefoniche e ambientali, servizi sul territorio, dell’analisi di tabulati e di riscontri ad alcune dichiarazioni di collaboratori di giustizia.

Il clan si riuniva in un ristorante del centro della città dove si pianificava la riconquista del potere anche attraverso la gestione delle estorsioni e il traffico degli stupefacenti.

Il gruppo criminale poteva contare sulla disponibilità di diverse armi.

Una delle estorsioni scoperte riguarda il titolare di un’associazione sportiva e culturale messinese, costretto a versare parte della propria liquidazione e minacciato perché lasciasse la carica.

Ma il core business dell’organizzazione criminale era rappresentato dal traffico delle sostanze stupefacenti.

De Lucia, pene gravi per chi torna a delinquere

“Tra gli arrestati di oggi ci sono componenti di spicco della criminalità messinese che avevano ruoli importanti a cavallo degli anni ’80 e dell’inizio anni ’90, e che dopo una collaborazione con lo Stato avevano ripreso a delinquere riprendendo i contatti con il territorio”. Così il procuratore Maurizio De Lucia in conferenza stampa nella Questura di Messina dopo l’operazione ‘Predominio’.

“Grazie alle indagini siamo riusciti a comprendere l’intenzione di queste persone a riorganizzarsi ai vertici delle organizzazioni criminali – ha detto il procuratore – Ricordo che per chi dopo un periodo di collaborazione con lo Stato torna a delinquere ci sono pene gravi tra cui la revisione dei processi dove ha ottenuto dei benefici. Bisogna tuttavia riflettere su alcuni aspetti di natura legislativa che riguardano il ruolo di collaboratore di giustizia. Gli arrestati non avevano trovato grandi problemi a ritornare ai vertici nell’organizzazione o ad allearsi con altre persone per gestire varie attività sul territorio”.

Per il questore Vito Calvino “lo spaccato che emerge da questa indagine è quello della modalità di imposizione di controllo del territorio con azioni ‘tradizionali’ per la criminalità come l’estorsione, lo spaccio di droga e possesso di armi e siamo intervenuti subito per evitare delitti più gravi”.

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