Il potere della mafia nel catanese raccontato dal pentito

Dalla festa patronale alle estorsioni, il potere della mafia nel catanese raccontato dal pentito

Antonino Lo Re

Dalla festa patronale alle estorsioni, il potere della mafia nel catanese raccontato dal pentito

Simone Olivelli  |
giovedì 14 Settembre 2023

I dettagli dell'inchiesta che ieri ha portato all'arresto di 13 persone ritenute legate a doppio filo al clan Toscano-Tomasello-Mazzaglia

“Minacce? Non c’era bisogno di questo. Essendo di Biancavilla, conosco bene l’andamento malavitoso”. Persa tra le oltre ottocento pagine di ordinanza di custodia cautelare, c’è una frase che ricorre più volte. A pronunciarla sono alcuni commercianti. Operano in settori diversi – c’è chi vende farina, chi mattoni e cemento – ma sono tutti legati dallo stesso destino: sentirsi costretti a pagare il pizzo. Tutt’altro che nuovo nella letteratura criminale che interessa la Sicilia da una parte all’altra dell’isola, è forse questo il dato più significativo dell’inchiesta che ieri ha portato all’arresto di 13 persone ritenute legate a doppio filo al clan Toscano-Tomasello-Mazzaglia, ramificazione a Biancavilla della famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano. Trascritta nei verbali raccolti dai carabinieri, la frase, che segue alla domanda “è stato mai minacciato per pagare?”, suona serafica. Come a voler sottolineare l’ovvietà della dazione, l’assenza di alternativa. Uno stato di rassegnazione che, in altre occasioni sempre, ha portato gli inquirenti a stigmatizzare il comportamento delle vittime ma che, ancora oggi, trova il più delle volte risposta in un’altra frase anch’essa per niente nuova: “Per paura non ho denunciato”.

Le feste comandate del clan

Tra poco più di venti giorni a Biancavilla sarà festa. Devoti e non omaggeranno san Placido, patrono del paese. Un’occasione, così come accade in tutta la Sicilia, per riunirsi all’insegna delle tradizioni. Quella portata avanti dal clan mafioso prevedeva la raccolta del pizzo in giro per le strade che nel giro di poche settimane avrebbero visto sfilare la statua del santo. Stando infatti a quanto ricostruito dagli inquirenti, sulla scorta anche delle dichiarazioni di più collaboratori di giustizia, San Placido sarebbe stata una delle tre festività – le altre erano Natale e Pasqua – in cui la cosca si sarebbe mossa per raccogliere denaro da destinare alla cassa comune e, in particolare, al sostentamento delle famiglie dei detenuti.

Al vertice dei Toscano-Tomasello-Mazzaglia, negli ultimi anni ci sarebbe stato Pippo Mancari, boss ergastolano che, dal 2009, grazie a indulto e riduzioni di pena, godeva della liberazione condizionale. La leadership di Mancari, detto u pipi, sarebbe stata riconosciuta dagli altri esponenti della cosca a cavallo tra 2017 e 2018, e dopo diversi anni in cui a Biancavilla si erano succeduti gli agguati e le lotte intestine per la gestione del potere.

Ciò non toglie che anche Mancari non sarebbe stato esente da lamentele. Alcuni sodali, in disparte e lontano dalle orecchie del boss, si sarebbero mostrati critici nei confronti del capomafia che, a loro dire, avrebbe riservato trattamenti di favore ad alcuni dei commercianti destinatari delle estorsioni. “Parla tu con Pippo e gli dici: ‘Me ne sono andato là, che devo fare e come mi devo comportare?’. Dopo di che mi dai la risposta”, è la frase pronunciata da una delle potenziali vittime all’emissario del clan.

Il tariffario della cosca

Per qualcuno che riusciva a far valere una qualche forma di amicizia con il boss, la maggior parte era costretta a pagare. Un assoggettamento alla forza mafiosa che quasi mai sarebbe passato da vere e proprie intimidazioni. Al netto di un biglietto con il classico invito “trovati un amico”, il resto delle dazioni sarebbero avvenute senza bisogno di entrare nei dettagli. Di preciso, invece, c’erano i soldi da sborsare: un commerciante di farine avrebbe pagato da cento a trecento euro a volta, mentre un rivenditore di materiali per l’edilizia anche cinquecento euro. Quest’ultimo, inoltre, ha raccontato di avere ceduto merce per 15mila euro a un uomo del clan impegnato nella ristrutturazione della casa e di non essere mai stato pagato. “Non ho mai insistito per il pagamento”, ha detto il titolare ai carabinieri, spiegando che con il passare del tempo “ho fatto finta di niente”.
Tra le estorsioni ricostruite dagli inquirenti c’è anche un commerciante specializzato nella vendita di attrezzi e prodotti per l’agricoltura e un gommista. Per entrambi, l’accordo unilaterale prevedeva il pagamento di cinquecento euro a tranche.

Biglietti gratis e panini con il sovrapprezzo

In occasione dei festeggiamenti per san Placido, il gruppo criminale avrebbe massimizzato i profitti imponendo il pizzo anche a quanti affittavano gli stand per l’area eno-gastronomica e chi invece si occupava delle giostre. A raccontarlo ai magistrati è stato Vincenzo Pellegriti, ex esponente del clan e dal 2019 collaboratore di giustizia. “Il sistema funzionava in questo modo: sostanzialmente chi voleva montare una bancarella era costretto a comprare la carne di cavallo per il tramite del clan – ha messo a verbale Pellegriti – L’appartenente al clan mafioso comprava la carne dal macellaio a un prezzo e poi la rivendeva ai bancarellisti ad un prezzo molto maggiorato così realizzando un guadagno. Se qualcuno si rifiutava e voleva comprare la carne direttamente dal macellaio veniva minacciato e poi gli danneggiavamo la bancarella anche dandole a fuoco”. Il collaboratore ha sottolineato che analoga estorsione veniva imposta “con i panini morbidoni”.

L’interesse della cosca sarebbe stato rivolto anche ai biglietti per le giostre, da accaparrarsi gratuitamente e girare poi a familiari dei detenuti e persone vicine. Un modo come un altro per ricordare a tutti chi comandasse a Biancavilla. “I titolari sono costretti a dare circa cento blocchetti da venti biglietti”, ha detto Pellegriti.

Anche il circo Orfei nel mirino

Tra i progetti estorsivi coltivati da Cosa nostra a Biancavilla ci sarebbe stato anche il taglieggiamento del circo Moira Orfei. A discuterne sono Mario Venia e Piero Licciardello, entrambi da ieri in carcere. “Vuoi stare traquillo? Quanto stai dieci giorni? Altrimenti ti faccio rubare nafta, camion… tutte cose”, è la frase che immagina di rivolgere Licciardello agli organizzatori dello spettacolo. Un proposito che trova la condivisione di Venia, sulla scorta di una riflessione che non ha trovato conferma negli atti dell’indagine: “Vabeh ma non penso che sono sbirri questi, non gli conviene. Montano da tutte le parti, non gli conviene fare gli sbirri”.

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