Maria Corleone, la Sicilia dei luoghi comuni - QdS

Maria Corleone, la Sicilia dei luoghi comuni

Filippo Calascibetta

Maria Corleone, la Sicilia dei luoghi comuni

Giovanni Pizzo  |
sabato 16 Settembre 2023

"Una donna che appartiene ad una famiglia controversa come si può chiamare? Maria Corleone, il più banale dei luoghi comuni. E gli avversari come si chiamano? Barresi ovviamente".

Ci mancava la nuova fiction “Maria Corleone” sulla Sicilia mafiosa, ne sentivamo la mancanza, sia televisiva che culturale. Dalla prima Piovra, la migliore, e più seria serie TV sull’argomento, sono passati decenni in cui è successo di tutto, ci sono state ammazzatine tra boss, stragi di giudici, riscossa dello Stato, arresti di tutti i grandi latitanti e decapitazioni di più cupole del Vaticano. Sono cresciute imprese sane, non viziate da capitali o logiche mafiose, il turismo, nonostante noi, la carenza endemica di cultura turistica e di infrastrutture, ha fatto passi da gigante, e così l’agroalimentare.

Ma la Sicilia è considerata dalla narrazione dei media sempre quella, piena di luoghi comuni, di nomi evocativi, di camarille alla Mario Puzo in salsa minore. Una donna che appartiene ad una famiglia controversa come si può chiamare? Maria Corleone, il più banale dei luoghi comuni. E gli avversari come si chiamano? Barresi ovviamente, come nel primo capitolo del film di Francis Ford Coppola del 1973. Complimenti agli sceneggiatori per questa trovata pazzesca. Dove ha le mani in pasta “La Famiglia”? Nelle cliniche private, cliché su cliché, la vicenda Aiello il re delle cliniche di Bagheria, di cui mai i veri contorni sono stati compresi, trattata come un feuilleton. E poi il governo regionale toglie quattro magliette con l’immagine di Marlon Padrino dal Ferry Boat sullo Stretto a suon di fanfara. Siamo ridicoli e pertanto i media nazionali ci ridicolizzano.

La Sicilia prima delle stragi faceva paura, la mafia siciliana ammazzava chi voleva, ma aveva già perso terreno nei confronti di mafie più potenti, oltre lo Stretto, che avevano trovato il business vincente, mentre loro stavano diventando dei dettaglianti da piazza di spaccio. Ma il cliché della mafia di una volta, quella antica che parla un siciliano da operetta, è vendibilissimo al pubblico del centro e nord Italia. Rassicura che siamo sempre gli stessi ignoranti senza speranza di evoluzione. Salvo solo Vittorio Magazzù, giovane talento brillante, che almeno è un palermitano autentico, vero e non forzato da gerghi al di fuori della realtà.

A Palermo c’è un detto che dice che comandare è megghiu che futtere, perché il palermitano ama il potere. E non c’è niente di meglio per togliere potere che sommergerlo di ridicolo. Ma gente così ridicola, come i palermitani di Maria Corleone, possono essere presi sul serio? Possono avere un ruolo dignitoso e normale nella comunità nazionale? Non pensiamo proprio.

Essere visti e percepiti come ridicoli è forse peggio di essere considerati mafiosi. Nella sfida televisiva degli ascolti Maria Corleone batte lo speciale sull’immenso Lucio Battisti. Ci sarebbe da parafrasare vendo casa (a Palermo) perché qua c’è un uomo che muore. Il palermitano non ridicolo e perbene, la maggioranza.

Così è se vi pare.

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