Michele Placido: “Mi chiamano ‘Il Siciliano’” - QdS

Michele Placido: “Mi chiamano ‘Il Siciliano’”

redazione

Michele Placido: “Mi chiamano ‘Il Siciliano’”

Gino Morabito  |
martedì 16 Aprile 2024

Questa sera a Sant’Agata di Militello il primo dei due appuntamenti nell’Isola, tra poesia e musica, con lo spettacolo “Serata d’onore”. Il celebre attore e regista si racconta al Quotidiano di Sicilia

MESSINA – A lezione di meraviglia. Cinema, teatro, musica e poesia si fondono insieme in uno spettacolo che vuole essere un racconto e un dialogo tra artista e spettatori. L’istrionico Michele Placido si cimenta in un recital fatto di anima e cuore. Ad accompagnarlo, in quella che si preannuncia una straordinaria “Serata d‘onore”, Gianluigi Esposito (voce e chitarra) e Antonio Saturno (chitarra e mandolino) che interpreteranno le più belle canzoni napoletane di sempre. Prodotte da Luna nova-Centro di cultura per il teatro e la canzone napoletana Sergio Bruni, due le date siciliane promosse da DalVivo Produzioni e Nuova compagnia Sipario sono in programma oggi al cineteatro Aurora di Sant’Agata di Militello e domani al teatro Garibaldi di Piazza Armerina (Enna), con inizio alle ore 21.

Ha avuto la fortuna di essere chiamato a fare questo mestiere. Partiamo da qui…
“Non sono nato con il sogno del cinema e della televisione. Volevo fare il teatro, dove la parola regna sovrana. Se non avessi avuto questo ‘sacro fuoco’, che arde ancora dentro di me, non sarei stato abbastanza armato per affrontare la vita”.

Mette in scena una “serata” quasi confidenziale, in cui lo spettatore viene idealmente preso per mano e condotto nei meandri dell’Olimpo della poesia e del teatro. Com’è nata l’idea?
“In modo del tutto casuale. Mi chiedevano delle pièce nel periodo estivo e l’idea mi venne in virtù del grandissimo amore che nutro nei confronti della poesia. Pensai, così, di unire la lettura dei versi immortali di Dante, Leopardi, Montale… alla musica napoletana della migliore tradizione, con lo scopo di proporre al pubblico un momento di cultura e, nello stesso tempo, di leggerezza”.

L’amore per la canzone napoletana ha cominciato a manifestarsi fin da quando c’era soltanto la radio per ascoltare. Come le venne la “febbre” per quella musica?
“A mio padre piacevano molto le canzoni napoletane e io, ragazzino, ascoltando quei grandi classici interpretati addirittura da Frank Sinatra e da Elvis, non ho potuto fare a meno di venire contagiato da quella meravigliosa ‘febbre’ che mi è entrata sottopelle”.

Due amici di vecchia data armati di chitarra e mandolino, e una grande passione, si fa tournée…
“Ho ritrovato questi miei due amici musicisti, Gianluigi Esposito e Antonio Saturno, con cui molto spesso ci divertivamo anche in casa, io a leggere poesie e loro a suonare i brani degli autori più rappresentativi della canzone napoletana, e via via ha preso forma l’idea dello spettacolo. Ma non ci aspettavamo un successo popolare”.

Dato il riscontro piuttosto importante, “Serata d’onore” viaggia da qualche tempo in tutta Italia, per arrivare finalmente anche in Sicilia. Che rapporto ha con questa terra?
“Culturalmente mi sono formato lì. Quando mi capita di andare al mercato ‘Trionfale’ (a Roma, nda), mi chiamano ‘Il Siciliano’. Di fatto non lo sono ma, in realtà, il grande pubblico mi lega a tante presenze in Sicilia”.

Tra le ultime, l’adattamento scenico di “Sei personaggi in cerca d’autore”. Che ricordo ha di quell’esperienza?
“Pirandello è stato il mio vero maestro, tanto da volergli dedicare il film ‘Eterno visionario’, che uscirà quest’anno. Ricordo che curai la regia di ‘Sei personaggi in cerca d’autore’ allo Stabile di Catania. Mi chiamò Alessandro Gassmann, molto legato anche lui ai grandi teatri internazionali siciliani, chiedendo se avessi disponibilità di tempo. E accolsi il suo invito”.

Abbiamo amato il commissario Corrado Cattani, i suoi silenzi, le espressioni eloquenti, il forte senso dell’onestà intellettuale. Nel quarantesimo anniversario de ‘La Piovra’ di quella che ancora oggi è considerata la saga televisiva italiana più famosa nel mondo, cosa si porta dietro?
“‘Tu non devi fare il poliziotto con la pistola, il duro’, mi diceva Damiano Damiani ‘devi essere l’uomo della porta accanto’. Così ho provato a interpretare quell’uomo a cui la gente guardava con fiducia, che cercava il dialogo, non la repressione. E poi aggiungeva: ‘Questo è un personaggio che sacrifica tutto per il suo dovere’”.

Erano gli anni Ottanta. Oggi chi è un eroe per lei?
“Sicuramente questo Papa, che c’è la mette tutta e non arretra mai di un passo. Un uomo che resiste con una forza tale da assurgere a modello”.

Anche “Mery per sempre” fu girato in Sicilia ed ebbe un successo straordinario. Tra i suoi estimatori Leonardo Sciascia. Com’è che andò?
“Quando comprai i diritti di ‘Mery per sempre’, con mia grande sorpresa, fui ricevuto da Leonardo Sciascia. Poco prima di licenziarmi mi diede alcune novelle pirandelliane. Tornato a casa, interpretai quel gesto come una carineria nei miei confronti e misi i libri da parte. Dopo due o tre mesi, però, sentivo il rimorso di non averli ancora letti. C’era un segnale su una novella, ‘La carriola’. Ed è lo stesso passaggio che recito nello spettacolo ‘Serata d’onore’”.

Sul palco, interpreta magistralmente poesie e monologhi divenuti dei classici. Cosa significa per lei recitare?
“Venendo dall’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio D’Amico, ho avuto grandi maestri come Orazio Costa Giovangigli e Luca Ronconi. Personalità importanti, sotto la cui guida mi sono sempre più appassionato al recitare. Però, nel contempo, non posso fare a meno di tener presente il ‘jouer’ dei francesi e il ‘to play’ degli inglesi, con quella meravigliosa accezione di ‘giocare’ intendendo anche ‘regole del gioco’, come una sorta di disciplina, il non andare fuori da una certa eleganza”.

Qual è stato il suo miglior maestro, la felicità o il dolore?
“Tutti lo proviamo, nessuno escluso, e attraverso il dolore conosciamo alcune verità che, con la gioia, non potremmo approfondire”.

Declama versi, parole. Quali sono quelle di cui non potrebbe fare a meno?
“Mi ritrovo profondamente nella poetica del Canto V dell’Inferno dantesco, dentro il girone dei ‘peccator carnali’ dove risiedono le anime di Paolo e Francesca. Declamare quei versi mi commuove. Ma le parole di cui non potrei fare a meno sono quelle che, nell’infanzia, mi dicevano mio padre e mia madre. Rispetto e tolleranza, sono questi gli insegnamenti con cui sono cresciuto e diventato uomo”.

Che vita è stata, finora, la sua?
“Ho settantasette anni, non mi nascondo di fronte alla vecchiaia. La vita è stata generosa con me, mi ha dato molto più di quello che pensavo. E, di fronte a questo miracolo, non posso che essere profondamente grato”.

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