Mio padre mi disse: ‘Svagati se meritato’ - QdS

Mio padre mi disse: ‘Svagati se meritato’

Carlo Alberto Tregua

Mio padre mi disse: ‘Svagati se meritato’

sabato 10 Luglio 2021

Competenza e conoscenze

Sotto l’asfissiante calura estiva mi rinviene un’ammonizione di mio padre che, quando cominciai a lavorare a meno di diciotto anni e gli chiedevo di prendermi qualche giorno di ferie, mi diceva: “Svagati se l’hai meritato”.
Perché questo lontano ricordo ultra sessantennale? Perché vedo in giro tanta gente che non collega il dovere col diritto, il lavoro col piacere, l’impegno di esercitare il proprio mestiere o professione col riposo. Molti cadono nella faciloneria di cercare il diletto, la piacevolezza, le cose ludiche, senza prima aver fatto il proprio dovere, aver svolto il proprio lavoro con coscienza, senza essere stato altruista, nel senso di aver lavorato anche per la collettività.
Qualcuno leggendo quanto precede, esclamerebbe: “Scemenze”. Inutile qualificare questo “qualcuno”.
A forza di esaltare le cose piacevoli, molta gente sta dimenticando che esse debbono essere meritate.


Ecco cosa mancano nel nostro Paese: merito e meritocrazia. Parole e comportamenti sconosciuti ai più e lontani mille miglia dalla mentalità di una classe politica inetta e dalla vista corta; lontani mille miglia da una burocrazia egoista e becera (salvo tantissimi dirigenti e dipendenti pubblici di grande valore che sanno cos’è il merito) ed anche da quella parte di classe dirigente composta da professionisti, imprenditori e sindacalisti che tirano sempre il lenzuolo dal proprio lato, infischiandosene altamente di scoprire gli altri lati.

Si dice che l’egoismo sia una componente negativa della persona umana. È vero. Ma esso va neutralizzato con la cultura, con la sapienza, con la conoscenza, perché questi requisiti fanno capire come vanno e come devono andare le cose; perché una grande famiglia, qual è la comunità nazionale, si alimenti di sentimenti positivi e metta al primo punto della propria azione l’interesse collettivo o generale, all’interno del quale ognuno può perseguire legittimamente il proprio interesse.

Le cose che scriviamo sono persino banali per la loro semplicità. Abbiamo il dovere di scriverle per indurre la gente a soppesarle adeguatamente, nella speranza che nella loro testa scocchi la scintilla del bene comune, quasi sempre ignorata.

Non abbiamo sentito nessuno dei responsabili dei vertici istituzionali (nazionali, regionali e locali) discutere riguardo l’inserimento della meritocrazia al primo punto della loro azione, mentre parlano continuamente – e approvano leggi conseguenti – di assistenzialismo, dividendo a destra e a manca sussidi e assegni a coloro che non li meritano, proprio perché, invece, potrebbero formarsi, acquisire competenze e trovare sicuramente occupazione.

In Italia, mancano centomila tecnici (informatici, chimici, fisici, logistici ed altri); mancano venti/trentamila autisti di Tir; mancano anche qualifiche per le costruzioni di infrastrutture, che oggi sono molto tecniche, e per l’edilizia; mancano restauratori. L’elenco è lungo. Se gli italiani e le italiane avessero queste ed altre competenze effettive, troverebbero immediata collocazione nell’apparato produttivo e, in genere, in quello imprenditoriale.
La questione è vera, basta consultare i siti, e andrebbe affrontata trovandovi soluzioni.


Come è noto, lo ripetiamo per l’ennesima volta, nella Pubblica amministrazione si entra mediante concorso, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione. Ma esso è del tutto ignorato da un canto, e quando si svolgono i concorsi, essi durano sempre due o più anni. Dall’altro, ci auguriamo che il nuovo meccanismo cui più volte ha accennato il neo ministro della Pa, Renato Brunetta, cioè di effettuare i concorsi in sei mesi, venga messo in atto per poterli espletare nel tempo previsto.

Continuare a dire che nella Pa devono entrare i giovani, senza specificare il possesso delle competenze necessarie per i ruoli che dovrebbero occupare, è un comportamento criminogeno. È inutile continuare ad avere personale che non sa fare il lavoro per cui è preposto.

Anche in questo settore dovrebbe essere innestato il principio della meritocrazia, con la conseguenza che i più bravi dovrebbero occupare i posti di responsabilità ed essere premiati adeguatamente, mentre bisognerebbe relegare gli infingardi e gli incapaci in fondo ai corridoi oscuri e spesso vuoti dei pubblici palazzi.

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