“Necessario indagare ancora su alcune questioni” - QdS

“Necessario indagare ancora su alcune questioni”

redazione

“Necessario indagare ancora su alcune questioni”

Roberto Greco  |
mercoledì 19 Luglio 2023

Parlano Antonio Balsamo (sostituto procuratore generale della Cassazione) e Sergio Lari, già procuratore di Caltanissetta e pm del Borsellino quater

Sergio Lari, già procuratore della Repubblica di Caltanissetta e che del ‘Borsellino quater’ fu Pm, ricorda al QdS: “Mi sono occupato dal giugno 2008 sino al 3 marzo 2018, quando sono andato in pensione, delle indagini e dei processi seguiti in primo e secondo grado. Le basi che hanno permesso di aprire il ‘Borsellino quater’ sono state le sorprendenti rivelazioni di Gaspare Spatuzza quando, nel giugno del 2008, fornì una versione totalmente diversa da quella che era stata indicata da ben quattro collaboratori di giustizia, e tra cui Vincenzo Scarantino e Salvatore Scandura, nell’ambito dei processi ‘Borsellino uno’ e ‘Borsellino bis’. Riscontrare le dichiarazioni di Spatuzza fu un’impresa titanica. Di fronte a tale quadro alternativo cercammo di investigare come se la strage fosse avvenuta il giorno prima senza farci condizionare dai risultati processuali precedenti. In quel primo anno a occuparci delle indagini eravamo in tre, Luciani, Bertone ed io. Per esempio andammo a fare un sopralluogo là dove ci indicavano fosse stata rubata la 126. Inspiegabilmente questo sopralluogo non era mai stato fatto in precedenza. Facemmo un lavoro attento per ottenere riscontri, anche grazie ai collaboratori Agostino Trombetta e Fabio Tranchina, e riuscimmo, per così dire, a dipanare la districata matassa. La garanzia definitiva della qualità nostra indagine si conclamò quando gli stessi pentiti che avevano detto il falso nei procedimenti precedenti confessarono di avere mentito. Non a caso i giudici che hanno presieduto il ‘Borsellino quater’, avvallata dalla Cassazione, hanno ritenuto che il madornale errore precedente sarebbe stato il frutto di un’iniziale errore investigativo, appoggiato da prove false. Si è trattato di una pagina vergognosa della storia giudiziaria che non fa onore a nessuno, nemmeno alla magistratura che non ha avuto la forza o la capacità di passare al setaccio quelle prove e rendersi conto che non poteva reggere a una seria valutazione. Un fallimento del nostro sistema giudiziario perché, nonostante il sistema di pesi e contrappesi previsti, non si è stati in grado di filtrare un apporto probatorio portato da soggetti che definire improbabili è poco”.

“Una cosa è stata importante nel ‘Borsellino quater’ – ricorda al QdS Antonio Balsamo, oggi sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione che presiedette, in qualità di Presidente della Corte d’assise di Caltanissetta, quel processo – ed è che tutti, dai magistrati della corte, dai Giudici Popolari, ai Pm, agli avvocati si sono sentiti di operare con grande apertura mentale e coraggio e con una totale disponibilità nei confronti della verità. Il dibattimento, proprio per questo, è stato caratterizzato da un atteggiamento costruttivo e dialogante tra accusa e difesa. Nel corso del processo furono sentiti diversi collaboratori che, proprio per la scelta fatta, hanno operato un grande cambiamento della loro esistenza. Ad esempio Spatuzza, che durante le sue escussioni ha ricordato l’omicidio di Padre Puglisi, di quel piccolo prete di quartiere. Quel processo ci ha permesso di recuperare un periodo difficile, drammatico ma importante della nostra storia dipanando parte della Storia italiana e furono sentiti molti dei protagonisti di quella stagione istituzionale. Un processo con una dimensione giudiziaria e storica molto forte. Il rapporto tra la mafia e la società civile cambia radicalmente dopo la strage di via d’Amelio, quando c’è una ribellione collettiva nei confronti della mafia. Dopo la sentenza, confermata dalla Cassazione, oggi nessuno può far finta di nulla perché quanto accertato rappresenta dei punti fermi, da cui, non a caso, è partito il processo tutt’ora in corso a Caltanissetta. Questo dimostra che il diritto alla verità è un diritto inalienabile, e lo dimostra l’incessante impegno della famiglia del dottor Borsellino, sin da subito. La sentenza rinvia gli atti alla Procura perché sono stati individuati dei punti di partenza sui quali è ancora necessario indagare, una serie di questioni su cui è necessario un approfondimento come la presenza di fonti rimaste occulte, il collegamento con la sottrazione dell’Agenda Rossa e la responsabilità di alcuni soggetti per la strage, nel quadro di una convergenza di interessi tra Cosa nostra e altri centri di potere che percepivano come un pericolo l’attività di Borsellino. Questo tema ritorna anche nella sentenza del ‘Capaci bis’, a fronte di quanto indicato da Antonino Gioè che parlò di ‘sondaggi preventivi’ effettuati da Riina con personaggi appartenenti al mondo economico e politico”.

“Dalle indagini – prosegue Sergio Lari – è emerso la necessità di accelerare la morte di Borsellino, decisa assieme a quella di Falcone nel dicembre 1991. I giudici hanno ritenuto alcuni motivi, che hanno portato alla morte di Paolo Borsellino. Tra questi l’interesse di Borsellino al ‘dossier mafia-appalti’, il rischio che diventasse Procuratore Nazionale e le sue possibili indagini sul traffico di sostanze stupefacenti, reddito importante nell’economia mafiosa”.

“La ricerca della verità – prosegue Antonio Balsamo – non appartiene solo ai familiari delle vittime ma a ogni cittadino di questo Paese e l’impegno della sua attuazione deve appartenere a tutte le Istituzioni”. Il 1992 fu l’annus horribilis che ha profondamente segnato la storia italiana e ancora oggi, trentun anni dopo, la verità sulla strage di via d’Amelio è un pozzo colmo di melma da cui affiorano i pezzi mancanti come l’agenda rossa ma anche quanto mancava dall’ufficio al secondo piano del Tribunale di Palermo.

Si tratta delle “carte”, oltre agli appunti, del contenuto del suo computer, della sua indagine non ufficiale sulla strage di Capaci. Il suo ufficio fu oggetto d’intrusione da parte di estranei nella notte tra il 19 e il 20 luglio 1992? E se così fosse, cosa fu asportato da quell’ufficio? Ma, come diceva Friedrich Nietzsche, “A volte le persone non vogliono sentire la verità perché non vogliono che le loro illusioni siano distrutte”.

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