Nei Comuni troppi dipendenti senza arte né parte così l’assenza di professionalità paralizza gli uffici - QdS

Nei Comuni troppi dipendenti senza arte né parte così l’assenza di professionalità paralizza gli uffici

Carmelo Lazzaro Danzuso

Nei Comuni troppi dipendenti senza arte né parte così l’assenza di professionalità paralizza gli uffici

giovedì 08 Agosto 2019

Il problema non è la quantità ma la qualità del personale degli enti locali: senza competenze impossibile assicurare una sana amministrazione. E questo vale anche per la Regione siciliana, così come ha confermato il presidente Nello Musumeci. La soluzione sta nei corsi d'aggiornamento, anche via web. Il quadro Ifel a livello nazionale

PALERMO – Non è soltanto un problema di quantità, ma di qualità. La questione del numero dei dipendenti dei Comuni siciliani è stata più volte affrontata dal nostro quotidiano, con puntuali confronti con le altre regioni d’Italia e l’analisi di tutte le ripercussioni che porta con sé la scelta di mantenere un esercito di impiegati di varia natura.

I problemi sono ovviamente di carattere economico, così come ci ha spiegato recentemente Stefano Campostrini, professore ordinario del Dipartimento di Economia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e responsabile della ricerca sulle finanze dei Municipi italiani che ha portato al “Rapporto Ca’ Foscari sui Comuni” curato da Marcello Degni, magistrato della Corte dei Conti e anch’egli docente presso l’Ateneo veneziano. “Il numero medio del personale dei Comuni rapportato alla popolazione siciliana – ha evidenziato Campostrini – è quasi il doppio di quello Veneto, dove i dipendenti sono 5,26 su 1.000 abitanti: in Sicilia quel numero sale a 9,35 dipendenti comunali per 1.000 abitanti”.

“Questo – ha precisato – non vuol dire necessariamente che la Sicilia ha troppi dipendenti: probabilmente sono i Comuni veneti ad averne troppo pochi e con quei pochi si arrangiano. I costi fissi in quest’ultimo caso sono più bassi e quindi è più facile barcamenarsi”.

In ogni caso, il ragionamento è semplice: i dipendenti, ovviamente, devono essere pagati e tutto ciò si traduce in spese che, nel corso degli anni e con il netto taglio dei trasferimenti cui si è assistito nell’ultimo decennio, hanno portato tantissimi Enti locali della Sicilia sull’orlo del dissesto finanziario.

Ma oltre al danno c’è pure la beffa. Già, perché bisogna anche fare i conti con le qualifiche professionali di questo personale, che nella maggior parte dei casi non corrispondono alle reali esigenze degli Enti in cui sono impiegati. Un problema che non riguarda soltanto i Comuni, ma anche la Regione siciliana, così come ha confermato il presidente Nello Musumeci, intervistato in occasione del nostro Forum del 13 luglio scorso (leggi qui).

“Dei 13 mila dipendenti regionali – ha detto – la metà è fascia A e B. Servirebbe creare altri innesti per avere nuove energie. Servirebbe un concorso pubblico per almeno 400/500 persone, soprattutto per le figure tecniche, non di fascia A o B. Queste ultime sono oltremodo sufficienti, tanto che a volte ci chiediamo come impiegarle”.

Nuove assunzioni, però, non farebbero altro che appesantire i già precari equilibri economici della Regione. E lo stesso discorso può essere fatto per i Comuni. Un effetto domino che si ripercuote, per esempio, sulla capacità dei Municipi di intercettare risorse regionali, nazionali e comunitarie. L’assenza di figure professionali adeguate, infatti, non permette di redigere quei progetti indispensabili per lo sviluppo dei territori di riferimento. E così le risorse destinate alla Sicilia rimangono bloccate. Decine di milioni di euro che un’organizzazione inadeguata della macchina pubblica non riesce a dirottare sul territorio, creando crescita e occupazione.

Poi c’è la questione morosità, che in molti Enti locali supera abbondantemente la soglia del 50%. Anche in questo caso le burocrazie locali sono impreparate a svolgere il servizio di esazione, che dunque non funziona, generando pesanti buchi all’interno delle finanze pubbliche (meno incassi, dunque meno risorse da poter gestire). Vero è che molti Municipi delegano questo servizio a società esterne, ma questa è comunque un’altra storia…

Insomma, siamo di fronte al classico cane che si morde la coda. Come uscirne? Anzitutto sottoponendo i dipendenti dei Comuni a un serio aggiornamento professionale, in grado di assicurare quelle competenze che, allo stato attuale, servono come il pane. È ciò che stanno cercando di fare in questi anni Anci (Associazione nazionale dei Comuni italiani) e Ifel (Istituto per la finanza e l’economia locale), che soltanto nel 2018 ha realizzato 250 incontri di formazione in presenza e 102 seminari di aggiornamento a distanza, con il coinvolgimento di 45.823 utenti.

In Sicilia i risultati sono altalenanti (approfondimento in basso), a dimostrazione che quello intrapreso è un percorso lungo e in salita. La strada, però, ci sembra quella giusta: si spera che non si debba attendere troppo tempo prima di poter giungere al traguardo.

L’Istituto per la finanza degli Enti locali ha monitorato i sistemi di formazione avviati
Corsi “in presenza” o tramite il web
Ecco il quadro Ifel a livello nazionale

PALERMO – Con il rapporto annuale Ifel sulla formazione l’Istituto per la finanza degli Enti locali ha avviato un’analisi, a consuntivo, delle attività formative online e in presenza realizzate in coordinamento istituzionale con l’Anci, definendo inoltre le linee strategiche e metodologiche per i futuri progetti formativi.

Nel corso del 2018 sono stati realizzati complessivamente 352 eventi di formazione – tra giornate d’aula e webinar – per un totale di 45.823 partecipanti e 4.470 Comuni raggiunti, pari al 56,2% del totale dei Comuni italiani. Sono 13 le regioni in cui è stata raggiunta una copertura territoriale superiore al 50%. La copertura più significativa si evidenzia in Valle d’Aosta (95,9%), in Liguria (78,6%) e in Toscana (75,5%). Le aree in cui la penetrazione risulta minore sono invece Trentino-Alto Adige (23,3), Molise (33,8%) e Calabria (37,1%).

Analizzando nel dettaglio la copertura territoriale riferibile alla formazione in presenza, la Valle d’Aosta è ancora in termini percentuali (95,9% dei Comuni) la regione con il dato più elevato. Le altre regioni con percentuali superiori al 50% dei Comuni sono Liguria (64,5%), Toscana (58,0%), Puglia (57,4%), Sicilia (52,6%), Emilia-Romagna (51,4%) e Umbria (51,1%). Le regioni in cui si registrano i tassi di partecipazione meno elevati coincidono con quelle in cui nel 2018 non sono state attivate partnership territoriali per la formazione in presenza, come Trentino-Alto Adige (9,2%), Calabria (16,6%), Friuli-Venezia Giulia (16,7%), e Molise (19,1%).

Analizzando la partecipazione ai webinar, sono i Comuni della Toscana (63,9% del totale della Regione) quelli più attivi in termini percentuali. Ai seminari online partecipano in misura maggiore rispetto agli incontri in presenza i Comuni di Emilia-Romagna (62,8%), Veneto (59,5%) e Sardegna (57,8%).

Per quanto riguarda invece l’analisi dei temi su cui si è concentrata l’offerta formativa, le attività in presenza riferibili all’ambito della riforma e dell’innovazione negli Enti locali (gestione del personale, innovazione digitale) e quella del bilancio/contabilità presentano il volume maggiore in termini sia di giornate realizzate (il 46,2% complessivamente) sia di partecipanti (pari a 5.721, quasi la metà rispetto al totale delle presenze).

Le novità in materia di tributi locali, i processi di accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi, i temi della riforma e dell’innovazione degli enti locali e le novità in materia di appalti pubblici assorbono complessivamente il 60% delle proposte formative e oltre un terzo delle partecipazioni totali.

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