Operazione Luce, i dettagli del blitz contro la mafia di Villabate

Ecco la mafia di Villabate: estorsioni, minacce, controllo del territorio e grinfie sulle rinnovabili

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Ecco la mafia di Villabate: estorsioni, minacce, controllo del territorio e grinfie sulle rinnovabili

Roberto Greco  |
mercoledì 26 Aprile 2023

Dai pannelli fotovoltaici alle estorsioni, Cosa nostra di Villabate era pronta alla riorganizzazione: i dettagli dell'operazione Luce.

Attento a quanto pubblicato dalla stampa, al fine trarne vantaggio economico per Cosa nostra, e pronto alla fuga. Salvatore Lauricella, in stato di fermo da questa mattina assieme a Francesco Terranova, Giovanni La Rosa e Vito Traina, si apprestava a organizzare la sua latitanza grazie alla collaborazione dei suoi sodali, tutti appartenenti alla famiglia mafiosa di Villabate. L’operazione Luce, condotta dal Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del comando provinciale di Palermo, ha permesso di eseguire quattro provvedimenti di fermo su richiesta dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia.

Gli indagati sono accusati dei reati di associazione per delinquere di tipo mafioso ed estorsione. A firmare il provvedimento, controfirmati dal Procuratore Aggiunto Paolo Guido e dal Procuratore della Repubblica Maurizio De Lucia, sono stati i Sostituti Procuratori Francesco Mazzocco e Gaspare Spedale.

Dopo la chiusura dell’operazione “Cupola 2.0” del 2018, l’operazione Luce ha documentato la manovra di riassetto organizzata e ordita da elementi di vertice di Cosa nostra, tornati in libertà dopo aver scontato le pene a cui erano stati condannati definitivamente. 

Operazione Luce, le indagini sulla mafia di Villabate

La disarticolazione della linea di comando della compagine mafiosa di Villabate ha permesso di porre in stato di fermo Giovanni La Rosa, reggente della famiglia mafiosa di Villabate dall’11 giugno 2021 al 5 aprile 2022, e Francesco Terranova, per aver diretto la famiglia mafiosa di Villabate dal 5 aprile 2022 a oggi. Entrambi organici all’organizzazione criminale denominata Cosa nostra, si sono occupati del sostentamento dei detenuti, dell’attività estorsiva e del controllo del territorio e “per avere promosso, organizzato e diretto le relative illecite attività, avvalendosi della forza d’intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e omertà che ne deriva, per commettere delitti contro la vita, l’incolumità individuale, la libertà personale, il patrimonio, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici, per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé e gli altri, per intervenire sulle istituzioni e la pubblica amministrazione”, si legge sull’ordinanza.

A Lauricella e a Traina sono stati contestati i reati derivanti dall’essersi occupati costantemente di attività illecite, in particolare nel settore delle estorsioni, dell’acquisizione delle attività ed esercizi commerciali della zona, occupandosi del sostentamento dei detenuti e del controllo del territorio e di avere fatto parte della famiglia mafiosa di Villabate.

L’organizzazione della fuga di Lauricella e il suo ruolo

Salvatore Lauricella, destinato a rientrare in carcere a seguito di una pronuncia della Corte di Cassazione prevista per il 4 maggio 2023, aveva iniziato a prepararsi, accumulando una consistente somma di denaro in contanti, realizzata attraverso le attività illecite, e aveva deciso di vendere l’attività di commercio di auto usate che gestiva a Villabate. La certezza degli investigatori che hanno lavorato all’operazione Luce sulla decisione di Lauricella di entrare in latitanza si evidenzia a partire dallo scorso 9 gennaio quando, a seguito di una intercettazione ambientale, “nel corso del dialogo si udiva, dapprima il riferimento alla chiusura dell’autosalone e poi un’affermazione molto suggestiva pronunciata dal capomafia villabatese, che, proprio in ragione delle amicizie che lo legavano ad uno dei suoi interlocutori, gli confidava che, con all’approssimarsi della sentenza definitiva che stava attendendo, avrebbe venduto tutto ’io ti parlo con la verità con te, sei il cognato di mio compare, appena fissano la Cassazione vendo anche le vetrate, lascio solo i muretti…”.

Sulla necessità, inoltre, di non utilizzare i connati accumulati e necessari per la sua latitanza, Lauricella disse al figlio Antonino, come emerge dalle intercettazioni, che “non avrebbe dovuto utilizzare il denaro contante per nessuna ragione”.

Un’ulteriore prova diviene patrimonio degli investigatori il successivo 17 marzo 2023 quando Lauricella è stato intercettato nell’autosalone mentre parlava con Salvatore Binario, suo amico, conversazione in cui affermava chiaramente la sua intenzione di vendere tutto e andarsene, tanto che il Binario, nell’apprendere queste notizie se ne rammaricava. Della decisione della fuga di Lauricella erano al corrente, si evince da un’intercettazione telefonica del 10 aprile scorso, anche i suoi sodali Vito Traina e Giuseppe Romeo.

Chi è Salvatore Lauricella

Salvatore Lauricella è il figlio del noto Antonino Lauricella, soprannominato “u’ Scintillone”, ex latitante, tratto in arresto dalla Squadra Mobile di Palermo nel 2011. Come il padre, anche Salvatore viene spesso indicato con il soprannome “Scintillone”. Arrestato 1’8 maggio 2013, nell’ambito dell’operazione “Argo” era stato condannato alla pena di quattordici anni. Già nel corso di quell’indagine erano emersi i rapporti che Lauricella manteneva con Francesco Terranova e Giovanni La Rosa, entrambi ritenuti esponenti di spicco della compagine mafiosa villabatese. Dopo la sua scarcerazione ha svolto l’attività di rivenditore di autovetture tramite la società denominata “Cash e Moto”, formalmente intestata al figlio Antonino.

Parallelamente al suo rientro avvenuto nel momento della sua scarcerazione, il 25 luglio 2022, si sarebbero registrate le prime fibrillazioni nel tessuto della compagine associativa villabatese, perché Lauricella è un affiliato particolarmente dinamico, che sicuramente sarebbe stato in grado di alterare gli equilibri consolidatisi in sua assenza. È altresì evidente dalle intercettazioni che la famiglia mafiosa di Villabate andava ricostituita e come Lauricella si stesse attivando in tal senso. L’uomo si stava impossessando dell’autosalone di Gaetano Pitarresi, alias “Samuele”, operazione che aveva generato perplessità in Terranova, che riteneva più adatto al profilo di Lauricella un’impostazione lavorativa meno sedentaria. Si evince da un’intercettazione in cui Terranova dice: “Sì, ma un posto fermo non è buono per lui… lui deve andare girando…”, probabilmente per evitare che diventasse obbiettivo di un’attività di intercettazione da parte delle Forze dell’Ordine.

La riorganizzazione della riscossione del pizzo

Dalle intercettazioni emerse durante l’operazione Luce si comprende la necessità di riformulare il circuito delle estorsioni al fine di renderlo più funzionale, ma soprattutto più aderente alle reali necessità delle famiglie dei detenuti reclusi anche a causa dei seri problemi nel provvedere al sostentamento dei detenuti in carico alle casse della famiglia mafiosa di Villabate a causa della inconsistenza del circuito delle estorsioni.

L’idea di Salvatore Lauricella, sposata da Giovanni La Rosa, era che innanzitutto il cosiddetto “uomo d’onore” dovesse mantenere comportamenti decorosi, evitare di non pagare i suoi conti e di rivolgersi, per l’imposizione del “pizzo”, alle piccole realtà economiche. Si doveva chiaramente puntare “ai grossi”, ricreare una saldatura con la popolazione, ma soprattutto concentrare e limitare la raccolta estorsiva a un unico momento di riscossione durante l’anno: “L’hai capito? Almeno così prendo mille e settecento euro che la mia famiglia può campare… che cosa devo spendere dandomi cinquecento euro… perché Giovanni non si può muovere! Ora hanno preso loro là in questa operazione che hanno fatto ultimamente? Quanto è che ti danno… a te quanto per dire eh cinquecento euro al mese, digli che ti dà seimila euro, a te quanto ti davano seimila euro! Non puoi pensare così Giova’! Noi altri dobbiamo prendere a questi di petto! i grossi! a questi!”, raccontano le intercettazioni.

Operazione Luce, la bicicletta elettrica rubata a Giovanni La Rosa e il suo ruolo

Double-face. La parvenza di onestà pubblica di La Rosa è evidenziata in un semplice ma efficace esempio. Nell’agosto del 2021, La Rosa aveva subìto il furto di una bicicletta elettrica che usava per i suoi spostamenti. Dopo il furto, sporse regolare denuncia ai carabinieri, descrivendo con precisione la dinamica del furto ma il giorno stesso si è attivò autonomamente per ritrovare il mezzo e punire gli autori del reato, nella migliore tradizione mafiosa.

Uscito dal carcere nel dicembre 2019, La Rosa si era preoccupato immediatamente di conoscere la composizione e i nuovi ruoli della famiglia mafiosa di Villabate e, a seguito del rientro in carcere di Francesco Terranova, volle approfittare della situazione per insediarsi al vertice della famiglia, cosa che gli riuscì divenendo reggente della famiglia mafiosa di Villabate l’11 giugno 2021. Già il 12 luglio 2021, Giovanni La Rosa, rappresentante in veste “ufficiale”, si è reso protagonista di un tentativo di estorsione nei confronti di Antonino Vitale, detto “Pinnaredda”, con come oggetto i lavori di ristrutturazione a Portella di Mare sulla “casa del Pernice”, eseguiti da Vitale circa 5 anni prima e per i quali aveva già pagato a suo tempo la somma di 2.000 euro per questi lavori.

Il ruolo apicale di La Rosa nella famiglia mafiosa di Villabate trova altra conferma il 12 aprile 2022, quando “Pietro Raccuglia, già condannato in via definitiva per il reato di estorsione aggravata, accompagnato da Francesco La Vardera, si recava nell’attività commerciale di Claudio Garofalo e nell’attività di Giovanni Montaperto, al fine di ottenere un contatto con Giovanni La Rosa”. La ragione del contatto è stata decifrata grazie alle intercettazioni, che hanno permesso di comprendere la necessità di “piazzare” quello che poteva essere una partita di droga. Gli investigatori hanno inoltre ritenuto che in questi soggetti operassero per conto del mandamento di Brancaccio, ritenendo indicativo il fatto avessero individuato come interlocutore Giovanni La Rosa, il reggente della famiglia.

Il ruolo di Francesco Terranova

Tratto in arresto il 5 giugno 2014 nell’ambito del procedimento denominato “Reset” per aver fatto parte della famiglia mafiosa di Villabate, Francesco Terranova è stato scarcerato per espiazione pena il 12 novembre 2019, dopo aver scontato una pena di reclusione di sei anni e otto mesi per il reato di associazione di tipo mafioso. Terranova, peraltro, già prima dell’arresto del 2014, era stato ritenuto inserito nella famiglia mafiosa di Villabate avendo militato unitamente a Antonino Messicati Vitale e altri, costituendo un gruppo di soggetti insediatisi al vertice della famiglia mafiosa di Villabate, sospettato, altresì, di diversi omicidi.

Anche durante la detenzione al carcere di Rebibbia, Terranova continuava a impartire ordini ai suoi sodali, come nel caso in cui promosse la formale affiliazione di Francesco Antonino Fumuso e di Filippo Cusimano alla famiglia di Villabate.

Dopo un breve periodo di libertà è stato arrestato nuovamente l’11 giugno 2021 per espiare una restante parte di pena e scarcerato nuovamente il 5 aprile 2022. “Dopo un fisiologico periodo di quiete in cui il capomafia villabatese non faceva parlare di sé – si legge nell’ordinanza relativa all’operazione Luce -, lo stesso irrompeva nell’organigramma della famiglia mafiosa di Villabate, perché si imponeva a un livello direttivo superiore a quello di Giovanni La Rosa, che inizialmente faticava nell’accettare questa situazione di fatto”.

Le minacce nei confronti di un collaboratore di giustizia

Nel corso di un dialogo intercettato, Terranova – soffermandosi su alcune dichiarazioni accusatorie rese dal collaboratore di giustizia Stefano Lo Verso – si sarebbe lasciato andare ad alcune esternazioni circa un’azione ritorsiva da attuare nei confronti di quest’ultimo.”Un poco di sangue glielo devo fare buttare però… un poco”, avrebbe detto.

È evidente che, si legge nell’ordinanza dell’operazione Luce, “il proposito di Terranova, benché generico, appariva molto fermo, tanto che, di fronte alla moglie che cercava di dissuaderlo da un simile intento, giurava suoi affetti più cari la vendetta”. “Non me ne frega niente… te lo giuro… sopra l’anima di mia madre”, diceva.

Il controllo sugli ambulanti

Alcune conversazioni intercettate si riferiscono a una controversia nata per ragioni di concorrenza tra due ambulanti e disciplinata da Vito Traina con la supervisione di Francesco Terranova. Come si evince da un’intercettazione tenutasi “tra Vito Traina, Riccardo Fontana, fratello di ‘Ezio’, ergastolano, Marco Rizzuto e un altro uomo non meglio identificato. Dallo sviluppo del dialogo era possibile comprendere che Rizzuto era un ambulante che subiva la concorrenza operata da un altro ambulante chiamato ‘Gabriele’. Vito Traina si era già confrontato con Rizzuto per questa specifica problematica e gli aveva già detto, in modo molto chiaro, che né egli stesso né un altro affiliato con cui Traina si era confrontato, gradivano la presenza dell’ambulante di nome ‘Gabriele’ nel territorio di Villabate e avevano affidato allo stesso Rizzuto il compito di ‘cacciarlo’”.

Operazione Luce, le mani della mafia sui nuovi impianti di energia rinnovabile

A seguito della pubblicazione di una notizia dal titolo “Fotovoltaico, nasce a Palermo la più grande comunità energetica rinnovabile della Sicilia”, in cui si descriveva sommariamente l’iniziativa imprenditoriale relativa all’energia rinnovabile, della società denominata “Start Power”, che dopo aver acquisito un lotto di terreno situato in via Messina Montagne, avrebbe installato i pannelli solari da impiegare per la produzione di energia. L’articolo, inoltre, conteneva una dichiarazione dell’imprenditore Salvatore Cerrito, a capo del progetto, che annunciava le enormi potenzialità di produzione energetica: “Questo significa – spiega Salvatore Cerrito – che in un anno riusciremo a produrre più di un milione e mezzo di kilowattora di energia pulita che immetteremo in rete attraverso la cabina primaria di Brancaccio e che potrà essere utilizzata da tutti coloro che si assoceranno alla nostra Cer”.

Tale notizia generò immediatamente gli appetti della cosca di Villabate, stante nel suo territorio la realizzazione degli impianti.

Il “core business” dell’impresa era esplicitamente individuato nell’installazione di pannelli solari per la fornitura di energia direttamente all’ENEL. Tant’è che nei giorni 23 e 24 gennaio scorso, gli investigatori immortalano l’incontro tra Lauricella e l’amministratore della società “Start Power” indicato da Lauricella, in un’intercettazione, come il “figlio maggiore di Cerrito”. Lauricella ha raccontato ai presenti di un suo intervento operato in passato in favore di Cerrito.

In un’ulteriore intercettazione Lauricella ha affermato che l’indecisione nell’avviare la specifica attività estorsiva ha rischiato di provocare un mancato guadagno alle casse della famiglia mafiosa di Villabate di 5.000 euro o anche più: “Minchia non appizzavu picciuli… (non ho perso soldi, dt)… che vanno a noi altri! Magari di più!”.

Estorsioni a DHL

La società “T.D.M. TINNIRELLO DISTRIBUZIONE MERCI S.r.1.”, conosciuta sul territorio semplicemente come DHL, è gestita dai fratelli Agostino e Angelo Tinnirello. La società già in passato era stata oggetto della pressione estorsiva mafiosa, fatto di cui aveva parlato il collaboratore di giustizia Francesco Colletti, che ha chiarito di aver ereditato il “pacchetto” delle estorsioni della famiglia di Villabate all’assunzione della reggenza, fatta eccezione per la DHL.

La società in precedenza svolgeva la propria attività nel comprensorio carinese. L’incontro tra Giovanni La Rosa e i fratelli Tinnirello avvenne l’11 marzo 2022 e il progetto estorsivo nei confronti di DHL aveva generato l’irritazione del Terranova, di cui gli aveva parlato, con buona probabilità, Antonino Rubino e che riteneva si dovesse interrompere.

Per evitare interferenza da parte delle forze dell’ordine, cautela ritenuta necessaria a causa delle passate vicende giudiziarie che avevano coinvolto l’imprenditore, era evidente che il proprietario della DHL non doveva mantenere contatti diretti con esponenti mafiosi tant’è che avrebbe dovuto interfacciarsi unicamente con un negoziante di abiti, Antonino Ciaramitaro. Questi, il 21 dicembre 2022, ha tranquillizzato il suo interlocutore specificando che l’imprenditore si era attivato nell’intento di onorare gli impegni che aveva assunto in tema di pagamento del “pizzo”. Impegni che saranno compiuti il 26 dicembre 2022, come si evince da un’intercettazione in cui parole pronunciate da Terranova, confermano l’avvenuta consegna del denaro provento dell’estorsione in danno della DHL: ”…Mi ha assicurato il solito?”.

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