La Pasqua e la guerra - QdS

La Pasqua e la guerra

Giuseppe Sciacca

La Pasqua e la guerra

giovedì 14 Aprile 2022

Dal 15 al 23 aprile si celebrerà la pasqua ebraica o più correttamente “Pesach”

Quest’anno la primavera tarda ad arrivare, ma la Pasqua sarà come sempre puntuale. Nell’attesa l’orologio della guerra con le lancette non cessa di scandire il suo inarrestabile macabro ritmo, con una sfera indica i giorni del suo protrarsi e con l’altra scandisce il montante, sempre crescente delle vittime. Il calendario impertubabile ci ricorda che dal 15 al 23 aprile si celebrerà la pasqua ebraica o più correttamente “Pesach”, parola che deriva dal verbo Pasàch, che significa “passò oltre”, con riferimento a quanto si narra nel libro dell’Esodo. Il Signore aveva ordinato agli ebrei di tenersi pronti ad uscire, dalla lunga schiavitù del faraone, durata quattro lunghi secoli e mettersi in cammino, sotto la guida del profeta Mosè verso la terra promessa, la terra di Canaan. Venne loro chiesto di sacrificare, prima della partenza, un agnello, che avrebbero mangiato quella stessa sera, in gran fretta, con l’avvertenza che a causa dell’incalzare dei preparativi non ci sarebbe stato il tempo per fare lievitare il pane, e quindi avrebbero mangiato il pane azimo, le cui forme, ancor oggi, sono denominate “matzà”.

Quella fu la sera in cui al popolo d’Egitto ed al suo faraone venne inflitta l’ultima e la più dolorosa tra le dieci piaghe necessarie per spezzare le catene della schiavitù. Agli ebrei venne pure chiesto di segnare con il sangue dell’agnello gli stipiti delle porte delle loro case, per essere riconosciuti dall’angelo della morte, affinchè passasse oltre senza privare della vita i primogeniti di chi vi abitava, così invece come avvenne per tutti gli egiziani. Questa è la prima pasqua dell’umanità, così come ci viene narrata dal racconto biblico, evento fondante di tutto l’ebraismo, che gli israeliti festeggiano per una intera settimana e che ha la sua centralità nella cena che si celebra nelle prime due sere e che prende il nome di “seder”, che vuol dire ordine, giacchè ogni cosa si svolge secondo un preciso ordine prestabilito .

Durante il permanere a tavola si legge il racconto della liberazione dalla schiavitù, si intonano i canti, tutto, così come ogni portata di cibo, ha un forte e specifico valore simbolico, per ricordare perennemente, a ciascun uomo, che l’uscita dalla schiavitù viene celebrata in quanto continua ad esprimere una esortazione che non ha tempo e che richiama alla memoria di ciascuno le proprie catene da spezzare, che possono anche concretizzarsi nella dipendenza dai nostri limiti, da cui occorre uscire per essere dei veri uomini liberi.

Ma gli attuali giorni di guerra, caratterizzati dalla negazione di ogni speranza e possibilità di dialogo, come possono trovare riscontro nel messaggio di speranza e di rinascita che viene da Pesach? Una indicazione potrebbe rinvenirsi nella “Torah” o bibbia ebraica, dove viene affermato: “Quando ti avvicini ad una città per combattere contro di essa, dovrai offrirle la pace” (Deuteronomio, 20:10). Da queste parole che, a prima vista possono sembrare esprimere concetti tra loro contrastanti è agevole far emergere argomenti per uno spunto di riflessione. Innanzitutto, occorre evidenziare che sono parole estrapolate da quel libro della bibbia che tratta della struttura pubblica del nascente stato degli antichi ebrei e specificamente della parte che era un vero e proprio codice militare, per il tempo di guerra. Quindi, una normativa imperativa che dava disposizioni di comportamento in caso di conflitto armato con altri popoli. La necessità di una proposta di pace prima di passare alle armi, come estrema ed ultima ricerca di una soluzione alternativa a quella disumana della violenza, riconoscendo così, in via di principio, la forza della pace, che può, certamente, di più della spada.

Shalom, in ebraico, significa: pace, completezza, prosperità, star bene, oltre ad essere una espressione di saluto, che serve ad aprire un qualsiasi contatto incontrando un altro uomo. Pace alla base di tutto, nell’etica ebraica sia tra singoli uomini che tra popoli, in una visione il cui il primo ideale resta Gerusalemme centro della fede monoteistica e meta di una umanità affratellata ed in concordia.

L’ebraismo ha stabilito un rapporto intenso e pieno con Dio ed in conseguenza vede nella storia, più che in una realtà celeste, il luogo per eccellenza dell’incontro tra l’umanità e la Trascendenza, nell’ambito della quale ritiene che a ciascun uomo sia stato assegnato un destino da realizzare e di cui è responsabile, e che ogni azione non sfugge all’occhio del Signore, ragion per cui viene affermato: “Al passaggio della bufera l’empio cessa di essere, ma il giusto resterà saldo per sempre”. (Proverbi: 10:25). Quindi, oggi c’è da sperare soltanto che la bufera passi presto, che le lancette dell’orologio della guerra vengano bloccate subito e che i tanti uomini che sono a capo di questo viscido a sacrilego conflitto, comprendano che la strada della guerra porta solo ad un orrore che non ha fine, che non risolve gli argomenti di disputa, ma ne apre di nuovi.

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Un commento

  1. Cristina ha detto:

    La guerra agli uomini( quelli forniti di testosterone, non tutto il ramo umano) è spesso garbata: scarica energie in eccesso, distrugge, appropria di beni, esercita il potere, ecc.
    Anche quel Dio che fa fuori i primi-geniti e che se la cava con la scusa delle piaghe per spezzare le catene, deve saperne qualcosa! Quando invece di rituali e parole si metterà un po’ di progesterone in circolo nasceranno iniziative meno cruente e un maggiore rispetto della vita… tutte le vite.

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