Una passione amorosa che devasta e consuma. “Fedra” in scena al Teatro Greco di Siracusa - QdS

Una passione amorosa che devasta e consuma. “Fedra” in scena al Teatro Greco di Siracusa

Paola Giordano

Una passione amorosa che devasta e consuma. “Fedra” in scena al Teatro Greco di Siracusa

giovedì 16 Maggio 2024

L'intervista all'attrice Alessandra Salamida, interprete della Fedra riadattata dal regista Paul Curran per la stagione Inda 2024

SIRACUSA – “Passioni e illusioni” è il fil rouge che unisce i tre testi scelti per la stagione Inda 2024 – l’Aiace di Sofocle, Fedra (Ippolito portatore di corona) di Euripide e il Miles Gloriosus di Plauto – e portati in scena nel suggestivo Teatro Greco di Siracusa dal 10 maggio al 29 giugno. Se quelle del vanitoso e vanaglorioso Miles sono illusioni, trascinanti e totalizzanti sono le passioni di Fedra e di Aiace, seppur con diverse sfaccettature: amorosa la prima, legata all’onore e alla gloria la seconda.

Nella Fedra messa in piedi dal regista Paul Curran – la cui prima è andata in scena sabato 11 maggio – la dea dell’amore, Afrodite, apre la tragedia e la dea della caccia, Artemide, la conclude, ma al centro della narrazione non stanno gli dei, bensì la passione umana, assoluta e divorante, di Fedra per il figliastro, Ippolito. Fedra, rappresentata dall’attrice Alessandra Salamida, tace il proprio amore e si consuma, rivelandolo soltanto alla fine alla nutrice, la quale parla invano a Ippolito, furioso e sprezzante. L’epilogo è – e non potrebbe essere altrimenti, trattandosi di una tragedia – drammatico: Fedra si impicca, lasciando uno scritto in cui accusa il figliastro di stupro. Il marito, Teseo, provoca allora la morte di Ippolito, riabilitato in punto di morte dalla stessa Artemide.

Alessandra, ci racconti un po’ il suo personaggio.
“Fedra, come Medea, proviene da un mondo altro, che è l’impero di Creta, anche se diversamente da Medea, non ha compiuto fatti gravi: il suo sangue è però già contaminato da un’eredità funesta, da una trasgressione compiuta da sua madre Pasifae, che unendosi a un toro, generò il Minotauro. Questo particolare è importante, perché se è vero che Fedra viene colpita da Afrodite per punire Ippolito, è anche vero che – e lo dice lei stessa nella battuta ‘La mia infelicità viene da lontano’ – la sua vita è macchiata da una colpa legata alla sua famiglia, alle sue origini. Tornando alla storia, Fedra, moglie di Teseo, si innamora del figlio del marito, Ippolito, e comincia a nutrire per lui una passione proibita. Questa – viene detto all’inizio del dramma – è una punizione di Afrodite. La passione che non riesce a reprimere trapela fin dall’inizio, dal fatto che si dice che digiuni da tre giorni ed anche dalle parole deliranti che pronuncia. Fedra è una donna che non può sottrarsi alla passione che la devasta. Il manifestarsi dell’amore diventa per lei un vento traumatico che le genera un dolore che arriverà a trafiggerle, oltre l’anima, anche il corpo perché deciderà di uccidersi. In lei l’amore diventa un percorso che la conduce alla morte. Per me rappresenta il conflitto insanabile tra il tentativo di repressione che lei stessa cerca di attuare su questa passione, perché preoccupata del proprio onore e della rispettabilità dei suoi figli, e l’ossessione erotica e della mente che continua ad emergere sia dal suo comportamento frenetico in scena, che dalle parole che si lascia sfuggire senza riuscire a controllarsi. La mia interpretazione sarà volta ad esplorare l’amore come malattia, delirio e perdita di sé, come qualcosa che accade al di là dell’intenzione personale ma che, nonostante ciò, non esime l’individuo dalle sue responsabilità. Anche Fedra, nel momento in cui accade qualcosa che va oltre il proprio controllo, deve comunque assumersi la responsabilità e quindi decide di uccidersi per salvare l’onore, ma prima di arrivare a farlo cerca di soffocare la passione nel segreto e nel silenzio. Questa è un’altra tematica: il non detto, le parole che non si possono dire, che si cercano di soffocare, generando un dolore che porta alla morte come unico modo per ‘sciogliere il nodo creato dalle nostre parole’”.

Quanto c’è di Alessandra nella Fedra che ha portato in scena?
“Secondo me c’è molto, sia come età che come esperienza di vita e percorso d’attrice. Forse tra i personaggi tragici che ho interpretato è quello che sento più vicino a me, perché l’ho amato da sempre, e il tema dell’eros credo riguardi chiunque, tutti nella vita abbiano conosciuto l’amore e le varie declinazioni dell’amore. Quindi ho cercato di avvicinarmi a questo ruolo sia attingendo al mio vissuto personale che all’esperienza del mal d’amore comune a molti, credo che ogni donna sappia cosa sia la passione e a cosa possa portare anche senza o contro il proprio volere”.

Un messaggio attuale quello che gli antichi ci hanno lasciato.
“Sì, lo è nonostante quest’opera sia stata scritta nel 428 avanti Cristo e sia stata scritta da un uomo. Emerge il problema dell’interiorità di una donna che diventa sempre più opprimente anche se la colpa è solo immaginata perché Fedra di fatto non compie niente e infatti afferma che ‘Le mani sono pure ma il cuore è contaminato’, esprimendo così il tema dell’interiorità, di quella che oggi chiameremo psiche, un tema oggi attualissimo quello che vede l’anima diventare luogo di contaminazione, di un tormento che non è eliminabile da pratiche o riti come le propone la nutrice e non è meno grave solo per il fatto che non si traduce in qualcosa di fisico. Il mio maestro Dario Del Corno, che mi piace sempre citare, riassumeva l’atto tragico con la frase ‘Scegliere liberamente ciò che necessariamente avviene’: è come se non ci si possa sottrarre a qualcosa che accade perché già stabilito, ma che al contempo implica anche una nostra scelta, come la decisione di Fedra di uccidersi”.

Dalla tesi di laurea sulla tragedia greca alle svariate rappresentazioni che l’hanno vista protagonista e interprete di personaggi della tragedia greca, il mondo greco è una costante nella sua carriera e nella sua vita. Cosa la lega a quel mondo?
“Mi sono innamorata della tragedia greca al liceo classico e ho capito già lì che il mio amore per la tragedia greca era predominante rispetto a tutto il resto e che desideravo fare l’attrice per interpretare questi testi. Durante l’università ho cominciato a studiare il neogreco, sono andata in Grecia con una borsa di studio, e questo mi ha aperto la strada per la conoscenza di attori greci. Un punto di svolta nel campo del mondo greco arrivò quando iniziai a studiare con il maestro Theodoros Terzopoulos, perché grazie a questo incontro ho potuto conoscere un nuovo metodo di lavoro e approfondire la conoscenza della lingua greca”.

Recitare una tragedia greca in un teatro greco che emozioni suscita rispetto a farlo in un teatro moderno?
“È l’emozione più alta che un attore possa vivere. Per me che amo da sempre la tragedia greca, recitarla nel suo luogo deputato mi fa sentire parte di un rito, come avveniva nei tempi antichi. È questa la magia: poter partecipare a un rito collettivo insieme a tutte quelle persone, radunate per ascoltare una parola, in un luogo sacro e aperto al cielo”.

C’è un attore o un’attrice a cui si ispira o che l’ha ispirata?
“L’attrice che mi ha ispirata da sempre è Elisabetta Pozzi. La sua interpretazione di Medea nel 2009 qui a Siracusa – io mi ero appena diplomata all’Accademia dei Filodrammatici di Milano – mi commosse: piansi talmente tanto che capii che avrei voluto fare quello per sempre. Sapere oggi che ho la sua benedizione per il ruolo di Fedra, interpretato da lei, è una delle gioie più grandi. Mi sento di dire grazie anche a Cinzia Maccagnano, perché è stata la prima ad avere fiducia in me dandomi la possibilità di recitare un ruolo da protagonista in un teatro antico”.

Le è mai capitato di dire di no ad un progetto? Per quale motivo?
“Poche volte dico no perché mi piace sperimentare e spaziare in ogni campo. Quando succede è perché il tema non mi riguarda o non mi tocca”.

Un’ultima domanda. Se avesse a disposizione solo tre parole, quali sceglierebbe per descrivere cos’è per lei la recitazione?
“La prima è amore, perché senza amore non si potrebbe percorrere questa strada. La seconda è passione, che è fuoco, entusiasmo e include anche il sacrificio. E infine consolazione, perché la bellezza del teatro consola dal dolore della vita”.

Tag:

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenta

Ediservice s.r.l. 95126 Catania - Via Principe Nicola, 22

P.IVA: 01153210875 - Cciaa Catania n. 01153210875


SERVIZIO ABBONAMENTI:
servizioabbonamenti@quotidianodisicilia.it
Tel. 095/372217

DIREZIONE VENDITE - Pubblicità locale, regionale e nazionale:
direzionevendite@quotidianodisicilia.it
Tel. 095/388268-095/383691 - Fax 095/7221147

AMMINISTRAZIONE, CLIENTI E FORNITORI
amministrazione@quotidianodisicilia.it
PEC: ediservicesrl@legalmail.it
Tel. 095/7222550- Fax 095/7374001
Change privacy settings
Quotidiano di Sicilia usufruisce dei contributi di cui al D.lgs n. 70/2017