Pio La Torre, il ricordo di Adriana Laudani e Leonardo Agueci - QdS

Pio La Torre, il ricordo di Adriana Laudani e Leonardo Agueci

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Pio La Torre, il ricordo di Adriana Laudani e Leonardo Agueci

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venerdì 30 Aprile 2021

Laudani era nella segreteria regionale del PCI siciliano con Pio La Torre. Agueci, magistrato oggi in pensione, rappresentò la Procura generale nel processo di appello per il suo omicidio.

È il 30 aprile del 1982. Sono quasi le 9:30. Una Fiat 131 grigio metallizzato raggiunge piazza Generale Turba, a Palermo. All’altezza della Caserma Sole, una moto di grossa cilindrata si affianca all’auto, costringendo l’autista ad un brusco stop. Nello stesso istante una Fiat ritmo affianca, sul lato sinistro la Fiat 131. La moto si ferma. Dall’auto escono quattro uomini armati di 357 Magnum e di una mitraglietta Thompson, arma desueta per questo tipo di crimini. Si tratta di una mitraglietta molto utilizzata negli anni ’20, in quell’America di Al Capone e dei gangster italo-americani. I proiettili, di calibro 45, diventarono introvabili e l’uso della mitraglietta Thompson fu abbandonato. Una pioggia di fuoco investe la Fiat 131 e i suoi occupanti.

Il passeggero muore all’istante crivellato di colpi. L’autista tenta di reagire estraendo un’arma ma viene freddato all’istante dai colpi della 357 Magnum. Il gruppo di fuoco si allontana lasciando la Fiat 131 crivellata di colpi e i suoi occupanti morti. Su quell’auto c’erano il segretario regionale del Pci Pio La Torre e Rosario Di Salvo, suo collaboratore che guidava l’auto.

Abbiamo chiesto a Adriana Laudani, che ha lavorato con lui in quegli anni, di raccontarcelo:

“Avevo conosciuto Pio La Torre nel 1975, quando entrai, per volontà di Enrico Berlinguer, nel Comitato Centrale dell’allora PCI. In realtà lo conobbi realmente nel 1981, quando Pio La Torre fu nominato segretario regionale del partito in Sicilia. Mi volle nella segreteria che lo doveva affiancare nonostante, durante il dibattito sulla sua nomina, io mi fossi dichiarata contraria alla sua nomina in quanto lo ritenevo un “migliorista” e che ciò potesse rappresentare un passo indietro.

Ricordo perfettamente che mi disse: ‘Ti chiedo di entrare in segreteria con me per due motivi: il primo è che mi dirai sempre quello che pensi anche quando non sarai d’accordo con me mentre il secondo motivo è che sono perfettamente consapevole che accettando questo incarico metto a repentaglio la mia vita e voglio attorno a me persone di cui mi posso fidare fino in fondo’.

Dal momento in cui La Torre diventa segretario cominciammo a lavorare come dei forsennati. Non perdeva un minuto della sua vita. Viveva come se fosse consapevole di avere poco tempo davanti a sé. Aveva scelto di lasciare le stanze comode di Botteghe Oscure per venire a lavorare in Sicilia in prima linea. Due erano le battaglie fondamentali che volle ingaggiare La Torre, la prima era quella contro la mafia e quella contro l’installazione dei missili a Comiso.

Da grande politico quale era, teneva congiunte queste due battaglie ritenendo che fossero due fatti che pregiudicavano in modo irreversibile la capacità all’autodeterminazione dei siciliani, a scegliere il proprio destino. Capì anche che le due battaglie avevano punti in comune perché l’installazione dei missili a Comiso avrebbe trasformato la Sicilia in un crocevia di interessi legati anche al malaffare, al traffico di armi e di droga e che questo avrebbe fatto rafforzare ulteriormente la mafia.
Si trattava di battaglie difficili e poco popolari. Riteneva che su queste battaglie fosse necessario coinvolgere tutti i siciliani e che era necessario un grande lavoro sia all’interno delle istituzioni sia di organizzazione del movimento e quindi di una lotta all’interno della società.

L’idea straordinaria di Pio fu quella della creazione di comitati locali non legati strettamente al partito ma che vedessero la partecipazione di tutte le forse sane della società anche delle più diverse proveninenze politiche, culturali e religiosi. Riteneva che il partito non dovesse trovare ruoli di preminenza ma anzi che dovesse lavorare come un lievito.

La presenza della mafia, in quegli anni, era forte. Già nel 1979 erano stati uccisi Francese, Reina, Giuliano e poi Terranova. Nel 1980 venne ucciso Mattarella e il loro livello di attacco alle istituzioni si manteneva alto. Si palpava in maniera evidente la collusione tra la mafia e la politica. La Torre iniziò da subito la battaglia contro i Salvo, i potenti esattori siciliani, cercando di fare abbassare l’aggio altissimo che veniva loro consentito per la raccolta della tasse e quella contro Salvo Lima e del suo modello di collusione con la mafia.

Fu anche il primo che denunciò il ruolo di Ciancimino. Assieme al giudice Terranova, quando fu membro della Commissione Antimafia, aveva ricostruito una mappa minuziosa della struttura mafiosa, dei boss di ogni singolo territorio e del rapporto tra la mafia, l’economia e la politica.
Pio La Torre è stato un grande meridionalista, non è mai stato un “sudista” o un rivendicazionista. Riteneva che il rispetto del resto d’Italia avremmo dovuto guadagnarcelo con la nostra capacità.

Il 29 aprile del 1982 ero a Palermo. Quel pomeriggio la nostra riunione finì tardissimo. Pio non voleva che io rientrassi di notte a Catania perché sentiva che eravamo sempre più in pericolo di vita. Io decisi di rientrare comunque. La mattina dopo uscii di casa per andare in piazza San Domenico, alla facoltà di Scienze Politiche per un convegno cui volevo partecipare.

Poco prima di entrare incrociai Paolo Berretta, stravolto, bianco in volto. Mi chiese se avessi sentito il giornale radio quella mattina. Mi guardò e mi disse: ‘Hanno ucciso Pio La Torre‘. In quel momento ho provato un dolore e una disperazione che non ho provato nemmeno quando morì mio padre. Gli chiesi subito ‘E Rosario Di Salvo?’. L’avevo incontrato la sera precedente. L’avevo visto stanco, sofferente. Mi disse: “Adriana, siamo logorati dalla paura”. Li avevano uccisi entrambi. Poco più di due ore dopo ero a Palermo. Organizzammo la camera ardente all’interno della sede della Federazione. Arrivò Berlinguer che era disperato e non si dava pace perché capiva che La Torre era stato lasciato solo.

Uscii dalla sede della Federazione alle sei del mattino successivo. Si fermò un’auto. Uscì il prefetto Dalla Chiesa, appena arrivato a Palermo. Davanti al corpo di Pio e di Rosario mi disse: “Non avrò pace nella mia vita finché non troverò chi li ha uccisi”. Il 3 settembre, poco più di cento giorni dopo, la mafia uccise anche lui.

Leonardo Agueci, magistrato oggi in pensione, rappresentò la Procura generale nel processo di appello per il suo omicidio. Pur non avendolo conosciuto personalmente, l’ha conosciuto per il suo operato. Ci racconta di lui:

La figura di Pio La Torre ha ancora oggi, nonostante siano passati 39 anni dalla sua scomparsa, un profondo significato. Innanzitutto un significato ideale perché è stato uno dei pochi politici che, in anni in cui s’iniziava a capire cosa volesse dire scendere a patti con mafia da parte delle forse politiche, capì che tutto non potesse essere liquidato limitandosi a manifestazione di sdegno e di condanna verbale ma era necessario intervenire con iniziative legislative concrete ed efficaci. Le iniziative legislative che portano il suo nome, ancora oggi, rappresentano uno strumento fondamentale di contrasto alla mafia.

L’intuizione che il sequestro dei beni ai mafiosi dovesse avvenire in sede di prevenzione anziché di esecuzione della sentenza, rappresenta uno dei cardini fondamentali dell’azione concreta di contrapposizione alla mafia da parte delle istituzioni. Capì che la lotta operaia e la lotta alla mafia erano concetti che dovevano andare d’accordo proprio perché il primo nemico della mafia sarebbe stata, se organizzata, proprio la classe operaia, perché avrebbe potuto raggiungere la consapevolezza della necessità di estirpare il sistema mafioso.

Pio La Torre non era un semplice esponente di governo locale, lavorava molto sul piano legislativo nazionale. Anche grazie a lui la nostra legislazione fece un salto di qualità. Grazie al suo lavoro si passò dal reato di associazione semplice a quello di associazione organizzata di stampo mafioso. Nell’azione di contrasto delle istituzioni contro la mafia, possiamo dire che c’è un prima e un dopo al 416bis, fortemente voluto da Pio La Torre, che è diventato il riferimento legislativo che ha permesso di far nascere la DNA e la DDA e le modalità di contrasto odierne nei confronti della criminalità organizzata di stampo mafioso.

Roberto Greco

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