Il Pnrr diventa Piano nazionale di... ridicola resa. Italia e Sud rischiano di bruciare il loro futuro - QdS

Il Pnrr diventa Piano nazionale di… ridicola resa. Italia e Sud rischiano di bruciare il loro futuro

Paola Giordano

Il Pnrr diventa Piano nazionale di… ridicola resa. Italia e Sud rischiano di bruciare il loro futuro

mercoledì 05 Aprile 2023

Il mancato utilizzo delle risorse del Next generation Eu può diventare un boomerang per il Paese e le aree depresse

Il rischio di sprecare una colossale occasione di rilancio è sempre più dietro l’angolo. I gravi ritardi e le inefficienze stanno infatti continuando a caratterizzare l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno rischia di tramutarsi in un colossale flop. I ritardi ci sono, lo ha confermato anche il Governo sottolineando come alcune delle scadenze previste non potranno essere rispettate, quasi trasformando il Pnrr in un Piano nazionale di, passateci il gioco di parole, ridicola resa.

A confermare le criticità è stata anche la Corte dei Conti nella Relazione sullo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza presentata a Palazzo Montecitorio lo scorso 28 marzo: “Il cronoprogramma finanziario e il complesso delle risorse per nuovi progetti del Pnrr porta a evidenziare come oltre la metà delle misure interessate dai flussi mostri ritardi o sia ancora in una fase sostanzialmente iniziale dei progetti”.

Ciò vale in particolar modo per il Sud. La Corte dei Conti ha ricordato infatti che “nella declinazione italiana del Piano europeo, l’obiettivo di riduzione dei divari territoriali viene sostanzialmente a coincidere con un ampliamento dell’intervento pubblico a favore del Mezzogiorno. L’area meridionale ha infatti la precipua caratteristica di registrare condizioni di svantaggio relativo in pressoché tutti gli indicatori economici e sociali”.

Il divario è ancora lontano dall’essere colmato: come rilevano i magistrati contabili in merito per esempio alla transizione digitale, “l’obiettivo di riduzione dei divari territoriali viene perseguito prevalentemente con la fissazione di un vincolo di destinazione sulle risorse, identificando, di fatto, un approccio di tipo orizzontale che si mostra efficace nel preservare il Mezzogiorno da un dirottamento delle risorse verso altre aree, ma non determina un impatto differenziato sugli elementi di ritardo digitale; da questo punto di vista l’effetto potrebbe essere, più che di ridurre i divari territoriali, di impedirne un ulteriore ampliamento”.

La Corte dei Conti non è la sola a bacchettare sui forti rallentamenti nella spesa e nel raggiungimento degli obiettivi. Un’altra conferma è arrivata anche dallo studio che si basa su risultati di una ricerca Svimez-Datamining condotta su un campione di Comuni responsabili dell’attuazione del Pnrr e sulle nuove stime della stessa Associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno sui tempi di realizzazione delle infrastrutture sociali a titolarità delle Amministrazioni comunali. Un intreccio di dati e numeri da cui emerge che la realizzazione degli investimenti degli Enti locali del Sud è a serio rischio.

Un paradosso se si pensa che – proprio in virtù delle criticità e delle intrinseche caratteristiche di quest’area della nazione – nel Pnrr è prevista la cosiddetta “quota Sud”, ovvero quella clausola che prevede di destinare il 40% delle risorse di ogni singolo intervento al Meridione. La partecipazione ai bandi del Pnrr da parte dei Comuni del Mezzogiorno è infatti elevata, ma a essa non corrisponde, specialmente nelle entità territoriali più piccole che più bisogno avrebbero dei fondi, un medesimo tasso di aggiudicazione.

Un dato su tutti: i tempi di realizzazione delle infrastrutture sociali dei Comuni, decisamente più elevati a Sud come testimoniato dal Rapporto Svimez 2022. La stima basata su quattro fasi (pre-affidamento, affidamento, esecuzione e conclusione) rivela che i Comuni del Mezzogiorno impiegano quasi tre anni per completare un’infrastruttura sociale, cioè circa un anno e mezzo in più dei Comuni del Nord-Ovest. Emblematico anche il divario tra i tempi previsti e quelli effettivi. Al Sud il ritardo è di otto mesi (251 giorni), più del doppio della media nazionale (122) e lontano un abisso dai dati relativi al Nord-Ovest (74 giorni) e al Nord-Est (67 giorni).

Si procede a rilento, quindi, ma c’è chi è più in ritardo di altri, tanto che si inizia già a chiedere una ridistribuzione delle risorse anche in base alla capacità di intercettare queste ultime. Lo ha detto esplicitamente ieri, per esempio, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana: “Io credo che si debba cercare di portare avanti tutto quello che si è in grado di portare avanti e chi non è in grado di fare o di realizzare dovrebbe passare la mano a chi è in grado di farlo”.

Una possibilità, quest’ultima, che trasformerebbe quindi il Pnrr da occasione per attenuare le diseguaglianze del Paese a uno strumento che, al contrario, adesso rischia di acuirle ancora di più.

Il ministro Fitto risponde alle opposizioni e preannuncia che riferirà in Parlamento

“Occasione di confronto per approfondire e chiarire questioni di merito”

Il Pnrr è da giorni al centro di un acceso dibattito politico. Il ministro degli Affari europei Raffaele Fitto ha assicurato che l’ulteriore proroga di un mese per l’esame dello stato di avanzamento del Recovery italiano, decisa in accordo con la Commissione Ue, non mette a rischio la terza tranche da 19 miliardi congelata da Bruxelles in attesa di un approfondimento di valutazione ma ha anche ammesso che è “matematico” che il Governo non riuscirà a raggiungere alcuni degli obiettivi previsti dal Piano.

Immediata la reazione delle opposizioni: “Venga in aula per chiarire quali sono le opere oggi in ritardo e cosa intendono fare per recuperare i ritardi” ha detto Simona Malpezzi, ex presidente dei senatori del Pd, a Metropolis su RepTv.

“È inutile – ha aggiunto Malpezzi – che continuino a raccontare la favoletta che si può modificare il Pnrr e che lo chiederanno in Europa. L’opposizione ha diritto di conoscere a che punto siamo. Rischiamo di perdere risorse ingenti e indispensabili per il Paese”.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche il leader del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte: “Non possiamo permetterci di rinunciare a queste somme e nemmeno a parte di queste somme, non possiamo permetterci di perdere anche un solo euro. Ribadiamo il nostro appello al Governo: mettiamoci attorno a un tavolo”.

Intanto il commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, intervenendo in videocollegamento alla cerimonia inaugurale di “Pavia capitale della cultura di impresa 2023”, svoltasi ieri, ha assicurato che “la Commissione europea lavorerà con il governo italiano per rendere i programmi del Pnrr il più possibile attuabili”, dal momento che “il successo del Piano italiano non è soltanto una esigenza italiana per rilanciare la crescita del nostro Paese, ma è una esigenza europea”.

“Far funzionare questo Piano – ha sottolineato Gentiloni – è un obiettivo comune tra Italia ed Europa: io so benissimo quali sono i rischi dei ritardi, perché abbiamo tradizionalmente una grande difficoltà dell’assorbimento della spesa, ma so anche che questa deve essere la nostra assoluta priorità”.

E sempre ieri nel corso di un incontro a Roma con il commissario Ue per il Bilancio e l’Amministrazione, Johannes Hahn, il ministro Raffaele Fitto ha ribadito che “alla luce del mutato contesto internazionale ed economico, l’Unione Europea faccia ricorso alla massima flessibilità nell’uso delle risorse disponibili”.

Il ministro ha poi annunciato un prossimo passaggio in Parlamento, accogliendo di fatto la proposta dell’opposizione: “Il Governo accoglie volentieri l’invito a riferire sullo stato di attuazione del Pnrr, intanto perché non vi è nessuna difficoltà a farlo, ma soprattutto perché la consideriamo un’opportunità. Anzi, un’ottima occasione di confronto per approfondire e chiarire il merito delle questioni”.

Il monito di Mattarella e le promesse di Meloni

“È il momento per tutti, a partire dall’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, di ‘mettersi alla stanga’”. L’ennesimo – pacato ma severo – monito il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lo ha lanciato lo scorso 24 marzo, a Firenze, alla sessione inaugurale della prima Conferenza nazionale delle Camere di Commercio dal titolo “Progettare il domani con coraggio” scegliendo le parole che Alcide De Gasperi, in un contesto ben diverso (il terzo Congresso democristiano di Venezia nel giugno del 1949), rivolse nel dopoguerra, quando occorreva ricostruire l’Italia dalle macerie e, insieme, edificare un’autentica democrazia.

Così Mattarella ha voluto ricordare a tutti – e, seppur indirettamente, al Governo in primis – che il Piano per il rilancio del Paese va completato senza perdere tempo e, soprattutto, risorse.

A pochi giorni da quel discorso il Capo dello Stato ha avuto un lungo colloquio con il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel corso del quale quest’ultima avrebbe illustrato al Quirinale lo stato del negoziato con la Ue sul Pnrr, che il governo vuole modificare per risolvere le “criticità” emerse in questi mesi ed evitare di non raggiungere tutti i target prefissati.

L’obiettivo di Mattarella pare fosse avere la certezza che il Governo non scivoli verso uno scontro aperto con Bruxelles e che non ceda a tentazioni sovraniste. Quel che è trapelato è che l’incontro si sia svolto, secondo la descrizione di entrambe le parti, in un clima “cordiale” e “collaborativo”.

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