Pnrr e l’Anticorruzione “dimenticata”, senza legalità sarà una battaglia persa - QdS

Pnrr e l’Anticorruzione “dimenticata”, senza legalità sarà una battaglia persa

Patrizia Penna

Pnrr e l’Anticorruzione “dimenticata”, senza legalità sarà una battaglia persa

giovedì 02 Dicembre 2021

Busia, Presidente Anac, in esclusiva al QdS: "La normativa va aggiornata, il rischio di infiltrazioni criminali esiste, non dobbiamo nasconderlo e l’Ue si aspetta che l’Italia spenda bene quei soldi"

Tutto può dirsi del Governo Draghi, tranne che non sia un governo che finalmente prende decisioni, agisce. Da quando l’ex governatore della Bce è al comando dell’Esecutivo, l’Italia ha riguadagnato certamente prestigio e una credibilità a livello internazionale che si era andata perdendo a causa dello sterile cincischiare della politica tutta.

Sarebbe riduttivo farne un discorso legato squisitamente al carisma, è giusto riconoscere che quello di Draghi non è solo il Governo delle buone intenzioni ma è soprattutto quello dei risultati. Ecco perché ci sorprende che, a proposito del Pnrr, sia ancora da portare a termine “un passaggio”, chiamiamolo così, tutt’altro che trascurabile: ci riferiamo alla legge delega di modifica della disciplina anticorruzione e delle trasparenza che doveva essere presentata entro giugno 2021. Il termine è slittato a settembre, poi il nulla.

In questi ultimi mesi, il Governo Draghi ha messo in piedi una serie di riforme propedeutiche all’attuazione del Pnrr: ad esempio quella della giustizia civile (in via di completamento le procedure di assunzione dei primi 8.170 tecnici dell’ufficio del processo), quella dei concorsi e della semplificazione amministrativa e proprio martedì scorso sono stati pubblicati sul portale InPa gli avvisi per il conferimento di 1.000 incarichi di collaborazione a professionisti ed esperti per accompagnare le amministrazioni territoriali nelle semplificazioni indicate dal Pnrr e per i quali a disposizione di Regioni e Province autonome ci sono 320,3 milioni di euro.

Il dibattito, politico e non solo, si è concentrato molto sull’importanza dei supertecnici e di una governance che sia all’altezza della sfida che di fronte a noi. Giustamente, aggiungiamo noi.
Ma per sfruttarne a pieno tutte le potenzialità, non possiamo fermarci alla qualità della cabina di regia che esprimerà i progetti da finanziare e dimenticare l’altra gamba su cui deve poggiare il Pnrr, la legalità.

Sono passati quasi dieci anni dalla legge 190/2012 (legge anticorruzione) che ha segnato uno spartiacque nella lotta alle infiltrazioni della criminalità ma una cosa è chiara: non è aggravando il quadro sanzionatorio dimenticando il fronte della prevenzione che riusciremo a sradicare la malapianta della corruzione.

Ecco perché un “tagliando” alla disciplina anticorruzione sarebbe più che mai auspicabile, soprattutto in questa fase di ricostruzione post-pandemica caratterizzata da cambiamenti così radicali e repentini. Se guardiamo al Mezzogiorno, i contorni della questione si fanno ancora più preoccupanti, dal momento che i rischi che potrebbero derivare dall’assenza di adeguati “anticorpi” contro il malaffare sono ben più elevati e si aggiungono ad un quadro già di per sé drammatico sotto il profilo della carenza di competenze: per la serie, né qualità né legalità.

C’è poi un’altra questione che è quella legata al mancato recepimento della direttiva sulla protezione delle persone che segnalano gli illeciti, i cosiddetti whistleblowers (2019/1937), il cui termine di recepimento è previsto per il 17 dicembre 2021 per tutti gli Stati membri.
In Italia la delega per recepirla è scaduta ad agosto e l’iter di recepimento ad oggi non risulta neanche avviato.

L’INTERVISTA AL PRESIDENTE DELL’AUTORITÀ NAZIONALE ANTICORRUZIONE ANAC GIUSEPPE BUSIA

Presidente, il Pnrr prevede una legge delega di riforma della disciplina anticorruzione ma questo passaggio sembra essere finito nel dimenticatoio: quali i rischi sulla buona riuscita del massiccio piano di investimenti per il nostro Paese?
“è vero, il Piano di ripresa e resilienza del governo Draghi prevedeva un disegno di legge delega di rafforzamento della disciplina anticorruzione e di trasparenza da approvarsi entro giugno 2021. Il termine è poi slittato a settembre, ma ancora non si è visto nulla. L’importanza della lotta alla corruzione e la garanzia di controlli adeguati sui quasi 250 miliardi di appalti con i fondi provenienti del Next Generation Eu è ben sottolineata dall’attenzione che l’Europa tutta e la Commissione europea in particolare ripongono sull’Anac. Abbiamo segnali importanti di come la Ue si aspetti che l’Italia spenda bene quei soldi, assai ingenti. Se la riforma non è pronta, a questo punto forse varrebbe la pena approvare almeno il decreto di aggiornamento della disciplina anticorruzione frutto del lavoro della Commissione Mattarella. Si tratta di un lavoro ben fatto, a cui ha contributo anche Anac insieme al Governo, al Garante della Privacy, e ad altri soggetti di rilievo. E’ un punto di equilibrio che va preservato e garantito, senza stravolgere l’azione di lotta alla corruzione portata avanti in questi anni da Anac, ma aggiornando invece la normativa a distanza di dieci anni dalla legge 190/2012, tenendo conto delle criticità emerse nel decennio (che vanno eliminate, o comunque migliorate), e rendendo più facilmente applicabili le misure di prevenzione della corruzione varate dalla legge Severino. Va, inoltre, tenuto presente la giurisprudenza amministrativa di questi ultimi dieci anni, e il testo varato dalla commissione Bernardo Mattarella rappresenta un buon punto di sintesi. Non è certo questo il momento di smobilitare la lotta alla corruzione, e soprattutto l’azione di prevenzione attraverso la digitalizzazione e l’incrocio di dati, che Anac sta portando avanti con successo”.

Il Sud, e la Sicilia in particolare partono già svantaggiati a causa di una burocrazia non all’altezza delle sfide della ricostruzione post-pandemica: la mancanza di strumenti adeguati di controllo sarebbe una penalizzazione ulteriore per il Sud dove il rischio di infiltrazioni del malaffare è più alto?
“Il rischio di infiltrazioni criminali esiste, non dobbiamo nascondercelo. Sempre più spesso la mafia e le organizzazioni criminali si rendono presenti non con atti cruenti ma con tentativi di infiltrazione dove c’è ricchezza, e la ricchezza è quella che passa molto spesso negli affidamenti pubblici. Noi da un lato abbiamo il casellario delle imprese e lì vengono registrate le informative antimafia. Quando un’impresa ha ricevuto un’informativa antimafia non può più partecipare alle gare. Riceviamo, infatti, questa informativa dal Ministero dell’Interno e le Stazioni appaltanti prima di affidare una gara devono verificare nel nostro casellario.A sostegno della lotta alla corruzione, poi, aiutiamo i comuni sciolti per mafia, come dimostrano anche istituti quali la “vigilanza collaborativa”, che sempre più sta prendendo piede nel Paese. Faccio solo un esempio che riguarda la Sicilia: con il comune di Vittoria, in provincia di Ragusa, sciolto per mafia, abbiamo affiancato il commissario a fare bene gli affidamenti e a far ripartire la macchina. Da un lato quindi c’è un’attività che mira ad evitare che le organizzazioni criminali partecipino alle gare; dall’altro, facciamo in modo che l’amministrazione che sta rinascendo possa crescere. Il fenomeno dell’infiltrazione criminale negli appalti pubblici sta cambiando, e si sta estendendo dall’area in cui era più diffuso, il Sud, verso il Nord, nelle zone ricche del Paese. Uno degli strumenti più facili per guadagnare è utilizzare imprese per vincere le gare pubbliche. Appropriarsi quindi di risorse pubbliche che dovrebbero andare a tutti, e invece vanno nelle mani sbagliate. è un rischio grave: per questo diventa sempre più centrale il ruolo di Anac.

Non è stato ancora avviato dal governo italiano l’iter di recepimento della direttiva sul whistleblowing. Cosa comporta questo? Come mai non si è fatto nulla?
“Purtroppo sul progetto di disciplina del whistleblowing eravamo tra i più avanzati in Europa, e rischiamo di sperperare il lavoro fatto, arrivando per ultimi. La direttiva sulla protezione delle persone che segnalano illeciti (whistleblowing), la 2019/1937, deve essere recepita entro dicembre 2021 da parte di tutti gli stati europei. In Italia la delega per recepirla è scaduta lo scorso agosto. Come Anac abbiamo contribuito con gli Uffici del Ministero della Giustizia a predisporre un testo, che ritengo fortemente avanzato. Purtroppo è tutto fermo. Non mi risulta che si sia avviato alcun iter per il recepimento. Se il tempo che ci rimane prima della fine di dicembre è poco, sarebbe utile e opportuno inserire la delega in uno dei prossimi provvedimenti del governo. Il dispositivo, di fatto, è già pronto. Del resto, l’abbiamo detto e ripetuto più volte: il Pnrr non deve significare soltanto fondi di spesa in opere, ma anche riforme che il Paese attende. Quella del whistleblowing potrà apparire minore, ma è un segnale importantissimo che in Italia la lotta alla corruzione è al primo posto nell’attenzione anche del governo e di tutte le istituzioni”.

Presidente Busia, il Recovery Fund può essere una sfida anche per il privato, oltre che per il pubblico?
“Sì, è una sfida. A differenza di altri paesi, l’Italia ha deciso di chiedere tutti gli ingentissimi fondi messi a disposizione dall’Unione europea. Si tratta di una scelta fondamentale per assicurare una rapida ripresa dell’economia, ma dobbiamo tutti essere consapevoli che essa implicherà, oltre ad un accrescimento del debito pubblico, anche maggiori costi rispetto a quelli che sarebbero stati necessari se gli stessi fondi fossero stati impiegati in un orizzonte più lungo. Vincoli di capacità produttiva e tempi esecutivi ristretti potrebbero causare una lievitazione ulteriore della spesa, che già sconta l’innalzamento del prezzo delle materie prime in atto, senza che ad essa corrisponda necessariamente una maggiore qualità.Gli affidamenti che saranno posti in essere per l’attuazione del Piano di ripresa realizzeranno anche una straordinaria redistribuzione di potere economico privato, destinato a pesare ben al di là dell’orizzonte temporale del Piano medesimo. Anche per tale ragione, bisogna evitare che procedure di affidamento scarsamente concorrenziali finiscano per premiare unicamente le imprese direttamente conosciute dall’amministrazione committente ovvero si concentrino nelle mani di pochi operatori più forti e strutturati, a discapito di altri ugualmente meritevoli. Occorrerà per questo compensare le procedure acceleratorie individuate dai recenti provvedimenti normativi con iniezioni massicce di trasparenza sull’intero ciclo dell’attività svolta: dall’individuazione del fabbisogno, fino all’evidenza sui vincitori, dall’inizio della prestazione, fino al pagamento dell’ultimo euro corrisposto. Sarà inoltre necessario stabilire criteri semplici e oggettivi per individuare gli operatori da invitare alle selezioni, garantendo adeguata rotazione degli stessi. Trasparenza e concorrenza saranno quindi fattori essenziali ed ineliminabili non solo per spuntare le condizioni migliori a vantaggio del pubblico, ma anche per selezionare le imprese più meritevoli e affidabili. In ogni caso, l’imminente crescita della domanda pubblica conseguente all’iniezione di fondi europei dovrà incontrare imprese all’altezza del compito, in grado di realizzare le opere a regola d’arte e nei tempi preventivati. Obiettivo del Piano di ripresa dovrebbe allora essere quello di favorire anche la crescita della parte privata del mercato che talvolta, sia nelle grandi che nelle piccole opere, ha mostrato segni di fragilità. Ciò, non solo per carenze di requisiti o difficoltà finanziarie, ma anche a causa di operazioni societarie opache o contiguità con la criminalità organizzata, come evidenziato dalla crescita delle interdittive antimafia. Per prevenire tali fenomeni andrebbe altresì introdotto nel codice dei contratti l’obbligo di dichiarare il titolare effettivo degli operatori economici, anche a fini di antiriciclaggio, consentendo alla pubblica amministrazione di conoscere davvero i propri partner contrattuali. In questo contesto occorre evitare che l’ingentissimo afflusso di capitali pubblici finisca per creare un effetto di spiazzamento rispetto alle risorse private, oggi in grande misura inutilizzate, e che invece dovrebbero essere attratte verso gli investimenti produttivi legati al rilancio del Paese, ricevendo così maggiore valorizzazione. Nel dibattito che ha accompagnato l’elaborazione del Piano di ripresa in materia di contratti pubblici non si è data forse la necessaria attenzione al ruolo che i soggetti privati potranno svolgere per contribuire all’opera di ricostruzione collettiva. Tutto questo ha probabilmente indotto a concentrarsi soprattutto sull’orizzonte quinquennale, mentre è quanto mai fondamentale allungare lo sguardo programmatorio oltre il 2026. In ciò può venire in aiuto il partenariato pubblico-privato”.

Corruzione? Inevitabile per un siciliano su quattro

Un quarto degli italiani dai 14 anni in su giudica la corruzione un fatto naturale e inevitabile, sei persone su dieci considerano pericoloso denunciare fatti di corruzione mentre oltre un terzo (36,1%) lo ritiene inutile. I dati sono quelli dell’Istat e, anche se un po’ datati (si riferiscono al 2018), ci restituiscono una fotografia illuminante di quella che è la percezione della corruzione nel nostro Paese.

Ma guardiamo nello specifico alla Sicilia. Nell’indagine sul senso civico degli italiani condotta dall’Istituto nazionale di Statistica emerge che circa un siciliano su quattro (il 23%) ritiene che la corruzione sia qualcosa di “naturale e inevitabile”.

Complice, probabilmente, il continuo flusso di indagini e condanne che, sempre più spesso, incastrano i gestori della Cosa pubblica, la corruzione ha finito per diventare qualcosa di tanto diffuso da essere quasi accettato dai siciliani. Ad incrementare l’indifferenza della società civile contribuiscono paura e disillusione: il 33,8% degli isolani, infatti, considera inutile denunciare fenomeni di corruzione, il 51,4% ritiene invece che sia pericoloso.

Al Nord si registra un’intransigenza maggiore nei confronti del voto di scambio e della corruzione: il 76,1% e il 72,5% assegnano un giudizio di gravità massimo a Ottenere regali/favori/denaro in cambio del voto alle elezioni e Offrire regali/denaro a un dipendente pubblico per ottenere favori. Queste percentuali sono più basse nelle regioni del Sud Italia (67,4% e 69,7%). Tuttavia, anche se la percezione dell’inevitabilità della corruzione è di poco più elevata al Sud (27,9%), nei confronti della denuncia sono i residenti del Nord a ritenere in misura maggiore che sia pericolosa (66,7% degli abitanti del Nord-ovest e 64,7% di quelli del Nord-est) o inutile (37,2% e 38,6%).

In generale con riferimento alla corruzione di un dipendente pubblico, sono gli anziani ad esprimere giudizi più rigorosi dei giovani e, soprattutto, dei giovanissimi.
I giovani esprimono un atteggiamento leggermente meno negativo di adulti e anziani nei confronti della utilità della denuncia. Per alcuni comportamenti, il livello di istruzione fa la differenza nella percezione di gravità e nell’atteggiamento di conseguente condanna.
Gli scarti maggiori a favore dei più istruiti si osservano rispetto ai giudizi di massima gravità attribuiti ai comportamenti corruttivi e al voto di scambio (con scarti a favore dei più istruiti di 6-8 punti percentuali).

Tra i più giovani, la disponibilità di maggiori risorse culturali favorisce gli atteggiamenti di condanna.
Gli abitanti dei piccoli centri considerano più grave la corruzione di un dipendente pubblico (75% circa nei comuni fino 10mila abitanti) e il voto di scambio (79% circa) in confronto a chi vive in un’area metropolitana. Al tempo stesso, chi vive nei piccolissimi centri fino a 2mila abitanti e nella periferia dell’area metropolitana appare più pessimista e rassegnato: più del 26% giudica la corruzione naturale e inevitabile, oltre il 63% ritiene che denunciare sia pericoloso e più del 39% che sia inutile, rispetto a chi vive nel centro delle aree metropolitane dove si riscontrano valori inferiori alla media nazionale.

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