Prostata, l’importanza della diagnosi precoce - QdS

Prostata, l’importanza della diagnosi precoce

redazione

Prostata, l’importanza della diagnosi precoce

Biagio Tinghino  |
sabato 03 Dicembre 2022

Nel 2020 oltre 35 mila casi di tumore in Italia, in leggero aumento quelli sotto i 50 anni. Il prof. Berretta: “Tra i principali fattori di rischio la familiarità, l’età e gli stili di vita”

MESSINA – Il tumore alla prostata è il tumore più frequente negli uomini oltre i 50 anni, ma la prognosi, in termini di guarigione, migliora quando lo si diagnostica in tempo. Tuttavia, in Italia, l’urologo è un “medico sconosciuto” per l’80% degli uomini. Infatti, otto italiani su dieci non sono mai andati dall’urologo.

“Si tratta di una tipica patologia della società del benessere – ha detto al QdS il Prof. Massimiliano Berretta, oncologo medico presso il Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale del Policlinico “G. Martino” dell’Università di Messina -, legata anche all’invecchiamento della popolazione, ricordo che l’Italia è il secondo Paese più longevo al mondo dopo il Giappone. Nel 2020 sono stati diagnosticati oltre 35mila casi in Italia, con un’incidenza in lieve aumento per gli uomini al di sotto dei 50 anni. L’incidenza è più alta al nord Italia, anche se il tasso di mortalità è più basso”.

Uno dei principali fattori di rischio è la familiarità: il rischio di ammalarsi è maggiore per chi ha un parente di primo grado (padre, fratello), che ha avuto diagnosticato questo tumore rispetto a chi non ha nessun caso in famiglia – ha continuato Berretta -. Un altro fattore di rischio è l’età: le possibilità di ammalarsi aumentano sensibilmente dopo i 50 anni. Altri fattori che possono favorire l’insorgere della patologia sono legati allo stile di vita, come l’eccessivo consumo di grassi, il fumo, l’obesità, e la mancanza di esercizio fisico sono alcune delle abitudini che possono favorire lo sviluppo e la crescita del tumore alla prostata. In particolare, una dieta ricca di grassi aumenta i livelli sierici di androgeni circolanti che stimolano eccessivamente la ghiandola prostatica”.

Le cattive abitudini sono spesso difficili da estirpare, ma mantenere uno stile di vita sano può aiutare a ridurre il rischio di sviluppare questa patologia, soprattutto nei soggetti a rischio. “Un’attività fisica costante ed adattata per l’età può aiutare a mantenere il peso nella norma – ha sottolineato il medico -; aumentare il consumo di frutta, verdura, cereali integrali e ridurre quello di carne rossa e di cibi ricchi di grassi saturi. Inoltre. È bene evitare o ridurre il consumo di alcool e fumo. Secondo una ricerca scientifica il consumo di caffè rappresenta un fattore protettivo per il tumore alla prostata anche se un’eccessiva dose di caffeina potrebbe avere degli effetti indesiderati sull’apparato cardiovascolare (innalzamento pressorio e battito cardiaco accelerato). Il pomodoro è riconosciuto fra gli ortaggi con azioni anticancro, grazie al suo contenuto in licopene che può contribuire, per esempio, a contrastare il rischio di tumore alla prostata, contrastando i meccanismi che stanno alla base della proliferazione tumorale. Anche una costante attività sessuale, rappresenta un fattore protettivo” per l’insorgenza del tumore alla prostata.

È bene consultare il proprio medico, soprattutto in caso di familiarità per la malattia o di fastidi urinari, e sottoporsi ogni anno ad una visita di controllo urologica“. “Il dosaggio del PSA non rientra tra gli esami di screening suggeriti dal Sistema Sanitario Nazionale – ha puntualizzato l’oncologo -, anche se in passato si riponeva grande fiducia nel ruolo di questo esame sierico, che veniva considerato un vero e proprio spartiacque tra patologia prostatica benigna e maligna. Molti studi hanno dimostrato che il ruolo del PSA assume un valore significativo se correlato alla visita urologica e alla diagnostica strumentale, come esami ecografici e radiologici. Il primo suggerito è quindi quello urologico che si basa su una valutazione clinica, comprensiva di esplorazione digito-rettale e solo successivamente e in caso di sospetto clinico si passa ad esami più specifici e mirati. La conferma diagnostica per un tumore prostatico deriva sempre dall’esame bioptico, che da qualche anno, grazie all’avvento di un esame molto preciso, come la risonanza magnetica multiparametrica, ad alta risoluzione, riusciamo ad individuare anche delle lesioni molto piccole (3/4 mm). Questa metodica radiologica rappresenta l’esame diagnostico più accurato tra quelli disponibili per la diagnosi del tumore prostatico. Non tutti i centri sono attrezzati per questa indagine, che è possibile effettuare solo in strutture altamente specializzate. La terapia del tumore prostatico è in continua evoluzione e negli ultimi anni ha beneficiato di approcci sia chirurgici che medici sempre più efficaci, meno invasivi dal punto di vista chirurgico e che in molti casi ci hanno permesso di ottenere un ottimo controllo della malattia, preservando allo stesso tempo una buona qualità di vita. Il tipo di trattamento dipende chiaramente dallo stadio della malattia e dall’età del paziente”.

“Grazie ad una chirurgia sempre meno invasiva, come la chirurgia robotica assistita, si possono ridurre gli effetti collaterali, come l’incontinenza urinaria. – ha aggiunto Berretta -. Altri approcci terapeutici prevedono l’utilizzo della radioterapia, approccio che solitamente si predilige nei pazienti anziani e al posto della chirurgia, per il minor rischio di complicanze e risultati terapeutici sovrapponibili, la terapia ormonale che grazie ai farmaci di nuova generazione ci permette un buon controllo della malattia anche nelle fasi più avanzate e in ultimo la chemioterapia che solitamente viene utilizzata nelle fasi più avanzate della malattia. La scelta delle terapie per la malattia localizzata dipende anche dalla classe di rischio di appartenenza del paziente e non è affatto inusuale avviare pazienti, cosiddetti a basso rischio, a controlli più ravvicinati, rinviando l’inizio della terapia solo quando strettamente necessario. In questa strategia non interventistica rientrano la cosiddetta “vigile attesa” e la “sorveglianza attiva”, che hanno permesso scegliere il timing terapeutico più adatto per determinate categorie di pazienti”.

Anche se la ricerca scientifica ha fatto enormi progressi nel trattamento e nella cura di questo tumore, il primo passo deve essere fatto innanzitutto dagli uomini, attraverso l’arma sempre più efficace e sicura della prevenzione, perché un esame in più può salvare la vita favorendo una diagnosi precoce, un trattamento tempestivo e una prognosi più favorevole.

“Le campagne di sensibilizzazione sono degli strumenti importanti per diffondere la cultura della prevenzione dei tumori maschili – ha concluso Massimiliano Berretta -. La prevenzione può essere fatta anche al di fuori degli studi medici. Sarebbe utile proporre i cosiddetti camper sanitari, degli “ambulatori ambulanti”, formati da un’equipe di urologi specializzati, che permetterebbero di intercettare la popolazione maschile che si sottrae ai controlli urologici”.

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