Pubblico impiego violata la Costituzione - QdS

Pubblico impiego violata la Costituzione

Carlo Alberto Tregua

Pubblico impiego violata la Costituzione

sabato 25 Maggio 2024

Selezionare in base ai concorsi

Durante questa campagna elettorale, per la verità abbastanza soft, alcuni candidati scriteriati hanno detto e continuano a dire falsità. Per esempio, che occorre aumentare la spesa pubblica, quella corrente (denominata cattiva), per – dicono – migliorare i servizi.
Chi afferma queste cose o è incompetente oppure in malafede, perché il buon funzionamento delle strutture pubbliche in tutti i settori non dipende solo dalla dotazione finanziaria, che certo è necessaria, ma e soprattutto dalla capacità del ceto dirigenziale di fare funzionare i servizi e i dipendenti pubblici, che li devono garantire con efficacia e produttività, in modo che emerga il merito, misurato dai risultati, i quali non mentono mai.

Il ceto impiegatizio e quello dirigenziale della Pubblica amministrazione non è però selezionato in base a regole obiettive, contenute nei concorsi pubblici previsti dall’articolo 97 della Costituzione. Ormai tutti i partiti, quando vanno al Governo, preferiscono alimentare l’ingresso surrettizio nel mondo dei precari, i quali poi ovviamente chiedono di essere stabilizzati senza alcun merito.

Per cui, oggi si verifica un’anomalia. Per esempio, nell’ambito degli attuali ottocentomila insegnanti, meno di un terzo di essi è entrato per concorso pubblico, con la conseguenza che la qualità professionale e morale degli stessi si è fortemente abbassata e, come ulteriore conseguenza, i giovani ricevono un insegnamento di qualità inferiore.

Come è noto, nel nostro Paese vige la legge secondo la quale il ceto istituzionale indirizza l’attività della Pubblica amministrazione e ne controlla i risultati; poi è essa che deve preoccuparsi di produrli ed è quindi valutata in base a ciò che consegue. Però, nella realtà dei fatti, questo sano meccanismo non funziona per alcune anomalie.
La prima è che gli obiettivi, come ha sostenuto più volte la Corte dei Conti, non sono fissati da organi esterni e, quindi, imparziali e oggettivi, bensì dagli stessi dirigenti, i quali, per conseguenza, percepiscono premi che non dovrebbero ricevere in quanto raggiungono traguardi facili, addirittura risibili.
Tutto questo danneggia fortemente i/le cittadini/e, soprattutto quelli/e che pagano le imposte, perché non ricevono servizi pubblici di qualità.

Vogliamo citarvi un’anomalia in quest’ambito. Il Decreto legge n. 80 del 9 giugno 2021 ha previsto di aumentare del venti per cento il numero dei pubblici dipendenti e dirigenti che possono entrare nell’organico dei gabinetti della Presidenza del Consiglio. Ora, in questi uffici e nei Ministeri vi sono trecentocinquanta posti per la prima fascia e duemilaseicento per la seconda, il che significa che quell’organico viene incrementato di cinque o seicento soggetti che non sono passati per la selezione del concorso, ma nominati su base fiduciaria dalla Presidenza del Consiglio e dai titolari dei vari dicasteri.

Insomma, viene premiata la fedeltà e non la competenza, con la conseguenza che gli indicati soggetti non agiscono nell’interesse dei/delle cittadini/e, ma per quello dei loro datori di lavoro, cioé di coloro che li hanno nominati.
Si tratta di una discrasia notevole e poco conosciuta, che indica l’andazzo deleterio e discendente della Pubblica amministrazione, inceppata.

Battiamo e ribattiamo sul malfunzionamento della Pubblica amministrazione nazionale, regionale, comunale e dei diversi servizi perché un Paese come il nostro – che ha un sistema di imprese di alta qualità, nelle quali spiccano i cinque milioni di piccole e medie – essa costituisce una palla al piede anziché funzionare da spinta e da moltiplicatore dell’economia.

Insomma, in Italia ci sono i cavalli che tirano, cioè le imprese, e tanti altri soggetti che stanno comodamente sul carro e che si fanno trasportare, costituendo un peso e non un aiuto.
Su questo versante, tutti i Governi di questi trent’anni hanno fatto poco o niente; stonano i Ministri che avrebbero dovuto riformare la Pubblica amministrazione sulla base dei criteri di merito, produttività e obiettività, ma che non hanno mosso un dito.
Diceva Pericle (495 a.C.- 429 a.C.): “L’accesso alle cariche pubbliche sia consentito solo per merito”. Nessuno finora l’ha ascoltato.

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