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Q come Qualità (della vita)

redazione

Q come Qualità (della vita)

Fabio Gabrielli  |
sabato 30 Settembre 2023

Dobbiamo attrezzarci per evitare di sprecare la vita

Nel pensiero greco antico si distingueva una vita biologica che accomuna ogni specie, un incessante susseguirsi di cicli, di nascite e di morti, chiamata zoè, e una vita intesa come esistenza specifica, un segmento, una individuazione di zoè, chiamata bìos, la nostra biografia, con un suo inizio e un suo termine ben precisi.

Ogni biografia cerca di ritagliarsi all’interno della comune vita biologica una durata, augurandosi che sia non solo protratta il più possibile nel tempo, ma, soprattutto, che sia anche piena, luminosa, appagante. Non ci chiediamo solamente quanto durerà la nostra vita, ma che tipo di vita sarà, di quanta pienezza di senso saremo portatori. Questo significa che la nostra vita biografica è caratterizzata da tre categorie fondamentali: quantità, qualità, misura. La quantità come effettiva durata, la qualità come senso e valore, la misura come limite dell’eccesso.

Dunque, stare all’altezza della vita che ci è stata assegnata, significa attribuire una qualità e un limite alla durata. La semplice durata senza senso e valore è solo un vuoto susseguirsi di anni; nel contempo, la durata senza limite rischia di naufragare nell’eccesso di esperienze solo quantitative o, all’opposto, in forme di rassegnazione, di rinuncia alla vita.

Un grande filosofo dell’antichità, Seneca, scrive con la consueta lucidità:
“Non abbiamo poco tempo, ma ne perdiamo molto. La vita è sufficientemente lunga e ce ne viene elargita in abbondanza per il conseguimento di ciò che vi è di più grande, se si fa uso saggiamente di ogni sua parte; ma quando scorre via nel lusso e nell’ignavia, quando non la si mette a frutto e alla fine, con l’incalzare della estrema necessità, ci accorgiamo che è passata, ma non ci siamo resi conto del suo trascorrere. È così: non è breve la vita che ci è stata data, ma tale la rendiamo e non siamo poveri di essa, la sprechiamo”.

Insomma, dobbiamo attrezzarci per evitare di sprecare la vita, cioè, come suggerisce il significato di questo verbo, di disperderla, dissiparla, spargerla inutilmente in giro. Una vita piena, una vita buona, reclama una durata qualitativa in cui nulla sia sprecato, in cui ogni frammento contribuisca a illuminare la nostra irripetibile scena.

In questo senso, la tristezza più cupa, forse, non è tanto la rassegnazione o l’impotenza, ma la dissipazione della vita. Siamo allora chiamati ad accogliere la logica della quiete, contro la frenesia e il sensazionalismo che tutto divorano per poi scartarlo. Dove non c’è quiete, c’è solo un tempo oppressivo e incalzante, in cui tutto è misura, calcolo, affanno, senza narrazione, senza storia, senza memoria.

Quindi, non c’è spazio per accogliere le innumerevoli fluttuazioni dell’anima, il suo respirare, il suo contrarsi, il suo accogliere e meditare: la voce della pelle, la tenerezza, l’abbraccio, la pausa in cui acuire il sentire, il silenzio, via privilegiata allo stupore, l’esperienza personale, appagante, continuativa del bello.

Dove non c’è quiete, non c’è sguardo, non c’è stupore, non c’è sorpresa.

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