Quei fantasmi delle aree industriali - QdS

Quei fantasmi delle aree industriali

Carlo Alberto Tregua

Quei fantasmi delle aree industriali

sabato 11 Novembre 2023

Promuovere nuovi insediamenti

Una volta, in Sicilia vi erano i Consorzi per le Aree di sviluppo industriale (Asi). Erano undici, dislocate nelle nove province, più due a Gela (in provincia di Caltanissetta) e a Caltagirone (in provincia di Catania).
I Consorzi governavano delle aree in cui vi erano insediati gli impianti industriali, che utilizzavano servizi collettivi e quindi favorivano la vita produttiva degli stessi.
I Consigli direttivi vedevano la presenza di imprenditori, ma anche di qualche politico trombato che veniva collocato in posti di sottogoverno.
Nonostante ciò, vi fu un notevole sviluppo nell’industrializzazione della Sicilia, anche perché gli/le investitori/trici del Nord erano attirati/e da queste aree industriali, poiché fornivano servizi di buon livello.
Io stesso sono stato componente del Consiglio Asi di Messina per cinque anni e quindi testimone diretto di quel buon funzionamento.

Via via negli anni i successivi Governi regionali hanno abbandonato i Consorzi Asi, che sono diventati cenerentole e nel tempo si sono fusi prima in due soggetti, poi in un unico soggetto (Irsap).
Infine, con una norma del 2012, la Regione ha affidato la gestione di strade, illuminazione e servizi delle Aree industriali ai Comuni di appartenenza. Cosicché adesso sono gli stessi Enti locali che se ne dovrebbero occupare, mantenendo a un buon livello tutte le infrastrutture necessarie (fognature, reti d’acqua, gas ed elettrica, servizi pubblici, posti di polizia, posti sanitari e via elencando), per attrarre investitori/trici italiani/e e stranieri/e.
Quest’ultima attività, però, non è propria dei Comuni, cosicché quelle Aree industriali diventano sempre di più fantasmi e derelitte. Funziona tutto molto poco e quindi non hanno più capacità attrattiva come avveniva una volta.

Quanto stiamo certificando con la descrizione che precede ci stringe il cuore, perché invece la nostra Isola avrebbe bisogno di una spinta verso lo sviluppo.

In questo quadro è ancora più penosa la situazione di Termini Imerese, che, con l’abbandono e la chiusura di quello stabilimento Fiat, voluto da Sergio Marchionne, ha perso migliaia di posti di lavoro.
È vero che lo Stato è intervenuto con la Cassa integrazione straordinaria e altri mezzi di sussistenza, ma è anche vero che tali mezzi sono talmente modesti che i/le lavoratori/trici non potrebbero vivere se non facessero un altro mestiere.
Più volte si sono manifestati interessi per rilevare lo stabilimento, ma tutto è naufragato sistematicamente.

Sembra incredibile che un’area attrezzata, che potrebbe funzionare molto bene, non venga offerta sul mercato settentrionale del Paese o nel cuore dell’Europa, ovvero a investitori statunitensi, sudcoreani, giapponesi o australiani.

Ovviamente, la Regione dovrebbe avere un nucleo di propri dirigenti molto bravi, competenti e attrezzati per poter formulare proposte alle ambasciate estere, chiedendo una corsia preferenziale e promuovendo incontri atti a presentare le opportunità dell’area industriale di Termini Imerese.

L’assenza di iniziative in questa direzione fa il paio con quella riguardante l’attrazione di turisti o di partecipanti a convegni e congressi nazionali, che verrebbero volentieri nelle nostre perle (Taormina, Siracusa, Cefalù, Agrigento e altre) sol che si promuovesse il territorio.

Come? Anche in questo caso mediante la formazione di una task force che dovrebbe recarsi a Roma e contattare le centinaia di associazioni e organizzazioni di tutti i settori, che sistematicamente ogni anno fanno il loro congresso, per proporgli di venire in Sicilia a condizioni vantaggiose per quanto riguarda la ricettività, la ristorazione e l’offerta gratuita di centri congressi e via enumerando.

Tornando a quei fantasmi che oggi sono le aree industriali, con questo grido di dolore vorremmo tentare di smuovere la fiacchezza dei sindaci, chiedendo loro di occuparsi di rivitalizzarle e di promuoverle al livello nazionale e internazionale. Così si potrebbe produrre nuova occupazione e un deciso aumento del Pil regionale, che langue a livelli africani.
Un’utopia? Non ci sembra. Ci vogliono buona volontà, capacità e olio di gomiti.

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