Quel “genio normale” di Leonardo Sciascia: la totale e piena sintonia tra uomo e scrittore - QdS

Quel “genio normale” di Leonardo Sciascia: la totale e piena sintonia tra uomo e scrittore

Paola Giordano

Quel “genio normale” di Leonardo Sciascia: la totale e piena sintonia tra uomo e scrittore

sabato 13 Novembre 2021

In occasione del centenario, un profilo inedito tracciato partendo dalle parole del genero, Antonino Catalano

“Ancora oggi, a 88 anni filati, nel momento in cui mi sento le batterie scariche, e alla mia età ne ho anche il diritto, piglio un libro di Leonardo, mi leggo tre pagine e mi sento ricaricato. Per me è come l’elettrauto, l’elettrauto Sciascia”. Era il 2014 quando Andrea Camilleri, ospite al Bif&st – Bari International Film Festival per una lezione di cinema, omaggiò l’amico Leonardo Sciascia confessando la sua ricetta per superare i momenti in cui sentiva il bisogno di ricaricare le batterie.

Di fronte a tale confidenza, Sciascia “avrebbe risposto con un sorriso”: a rivelarcelo è Antonino Catalano, marito della secondogenita dello scrittore, Anna Maria, e vice presidente della Fondazione Leonardo Sciascia, che non ha dubbi riguardo al suocero: “È utile leggere Sciascia, oggi e sempre, perché fa capire la realtà, apre gli occhi sulle storture e le ingiustizie e suggerisce gli strumenti per difendersi”.

Dello scrittore racalmutese che ha fatto dell’ironia – prendendo in prestito le parole di Giuseppe Traina – la “fonte principale della sua modernissima e spesso straniante ambiguità”, abbiamo voluto tracciare, in occasione del centenario della nascita, anche grazie alla testimonianza e ai ricordi del genero, un profilo inedito: quello di Sciascia uomo.

Un uomo che, sin da piccolo, è stato a contatto con un particolare sostrato culturale, derivato dai primi insegnamenti ricevuti in famiglia e dalle inerenti letture, che ha connotato tutta la sua produzione letteraria: leggeva Courier e Diderot perché erano gli unici libri di cui poteva disporre.

Un uomo che, nel corso della sua vita, ha fatto sempre più sua l’idea che solo nella letteratura possa trovare spazio ed espressione la verità, la quale, “consegnata” al documento d’archivio, al dato trascurato o taciuto, si manifesta come inquietudine perenne dell’uomo, insoddisfazione e ricerca, ripensamento e approfondimento.

Un uomo che, per preservare i ricordi, il passato, la memoria, ha affidato alla scrittura (e alla riscrittura) il compito di svelare l’impostura e di recuperare la verità, attingendo costantemente alla sua memoria di lettore e obbedendo al bisogno morale di correggere le verità ufficiali.

Un uomo che, pur rappresentando un “sensibile sismografo della nostra vita civile e politica” per usare le parole di Massimo Onofri, è però anche “padre tradizionale, molto protettivo, pieno di delicatezze”, come ha ricordato la figlia Anna Maria, e marito premuroso, come si legge in una lettera all’amico Vincenzo Consoli, nella quale scrive “non voglio lasciare sola mia moglie se non per il tempo strettamente necessario”.

“In quasi vent’anni di frequentazione – ci racconta il genero – non ho mai visto mio suocero arrabbiato. Credo comunque che un comportamento sleale, ingannatore, subdolo lo avrebbe indignato parecchio”. A irritare Sciascia scrittore – aggiunge l’ingegnere Catalano – era invece “la cattiva amministrazione della giustizia”, tema ricorrente in modo trasversale nelle sue opere.

Ci si potrebbe chiedere a questo punto quanto, dunque, di Sciascia uomo ci sia nei suoi romanzi. Il genero non ha esitazioni: vi è una “piena e totale sintonia tra l’uomo e lo scrittore”.

ANTONINO DI GRADO, DIRETTORE LETTERARIO DELLA FONDAZIONE LEONARDO SCIASCIA

“L’ultimo grande intellettuale che abbiamo avuto in Italia, capace di intervenire in modo imprevedibile, coraggioso e anticonformista nella realtà di tutti i giorni”

Per approfondire il tema della “piena e totale sintonia tra l’uomo e lo scrittore” abbiamo intervistato Antonio Di Grado, direttore letterario della Fondazione Leonardo Sciascia e professore ordinario di letteratura italiana all’Università degli studi di Catania (ruolo dal quale si è “congedato” nel novembre del 2019).

Quanto di Sciascia uomo c’è nei suoi romanzi? E in quale tra i romanzi sciasciani, a suo avviso, si nasconde maggiormente Sciascia uomo?
“Nei suoi romanzi c’è tutto di Sciascia, nel senso che c’è il suo rovello intellettuale che si può seguire proprio attraverso l’iter della sua produzione. Se parliamo di risvolti esistenziale sono presenti un po’ dappertutto ma il romanzo in cui lui mette tutto se stesso è indubbiamente uno ed è il penultimo, Il cavaliere e la morte. Perché, come il Vice protagonista del romanzo, affronta la morte. Il romanzo esce nell’88, un anno prima della morte di Sciascia. Ricordo che ci trovammo ad Enna per il premio letterario Savarese. Lui aveva ricevuto in quel momento da Sellerio il romanzo e mi regalò una copia. Eravamo a pranzo, lui andò a riposare e io corsi nella mia camera a leggere il libro lo lessi d’un fiato. Lo lessi con grande ammirazione – è uno dei libri più belli di Sciascia, il suo testamento spirituale – ma anche con grande dolore perché assistevo a questa lotta con l’angelo, con la morte, con l’aldilà. Quando lui ridiscese nella hall dell’albergo corsi subito a dirgli della mia ammirazione ma anche del mio sgomento: un momento che ricordo con molta partecipazione”.

Prendendo in prestito la distinzione che Pirandello, padre letterario dello scrittore racalmutese, tra “scrittori di cose” e “scrittori di parole”, a quale categoria crede appartenga Sciascia?
“Salterei questa distinzione. Pirandello è uno dei tanti padri di Sciascia ma insieme a lui dovremmo citare Manzoni, Voltaire, Diderot, Stendhal e così via, fino aiuto agli autori del Novecento, Savinio, Borges, riscoperti soprattutto nell’ultima fase della sua produzione. Sciascia ebbe sì tanti padri ma ebbe anche la grande capacità di liberarsi dai padri. Si ricorda il finale di Candido, quando il protagonista a Parigi parlando a Don Antonio – che apriamo una parentesi era Don Antonio Corsaro, sacerdote catanese e grande intellettuale di cui Sciascia fu amico – contemplando la statua di Voltaire dice ‘ci dobbiamo liberare dai padri’. Sciascia aveva questa grande capacità di specchiarsi anche nelle ragioni dell’altro, di fuoriuscire dalle proprie ragioni, di liberarsi dei propri miti e di capire l’altro. Non si capirebbe altrimenti come Sciascia potesse apprezzare uno scrittore come Gesualdo Bufalino che è l’esatto opposto nella scrittura e nelle predilezioni di Sciascia. Intorno a Sciascia si raccoglievano intellettuali, artisti ma i più diversi, che si trovavano uniti proprio intorno a questo ‘centro di gravità permanente’ che era Leonardo Sciascia. Non a caso quando lui muore tutto questo svanisce”.

Quindi né scrittore di parole né scrittore di cose?
“Sì, è troppo riduttivo etichettarlo in una delle due categorie perché apparentemente sarebbe uno scrittore di cose e certamente è scrittore di cose ma questo fu l’equivoco della critica. Anche oggi, quando si celebra il centenario, nei giornali – che pure prima lo attaccavano e che ora invece lo magnificano in questo clima ormai di unanimismo – leggiamo ‘Sciascia grande scrittore civile’. Non si può ridurre Sciascia allo scrittore civile come non si può ridurre Sciascia al tema della mafia. L’unico ad accorgersi di questo sin dall’inizio fu Pierpaolo Pasolini che, recensendo le prime opere di Sciascia, disse ‘sì, vero, ci sono le tematiche civili ma attenzione alla lingua, alla sintassi, all’elaborazione stilistica che c’è dietro’. Per questo Sciascia è scrittore di cose e di parole insieme”.

Quale opera sciasciana consiglierebbe a chi non ha mai letto Sciascia?
“Penserei a opere diverse proprio perché chi non lo ha mai letto possa rendersi conto dei diversi aspetti e della complessità di Sciascia. Gli farei leggere sicuramente il romanzo ‘più romanzo’, più inventivo, più creativo che è Il Consiglio d’Egitto, perché anche se naturalmente nasce da uno studio attentissimo della storia della Palermo nel Settecento e dell’impostura dell’abbate Vella, è però il romanzo in cui c’è una maggiore libertà creativa e inventiva. Poi passerei al Contesto o a Todo modo, che segnano una svolta nella produzione di Sciascia: Sciascia non è più lo scrittore dei gialli ma è uno Sciascia che indaga la complessità della realtà in forma estremamente problematica. E poi, passando attraverso grandi opere di inchiesta – La scomparsa di Majorana o L’affaire Moro – arriverei all’approdo definitivo che è Il cavaliere e la morte”.

Perché leggere Sciascia oggi?
“Perché è l’ultimo grande intellettuale che abbiamo avuto in Italia. Di scrittori fortunatamente ne abbiamo e anche bravi ma non di scrittori che siano anche intellettuali capaci cioè, come uno Sciascia o un Pasolini, di intervenire in modo imprevedibile, coraggioso, anticonformista sulla realtà del giorno, di demistificare, di smascherare quelle che sono le menzogne, le imposture che ci vengono dal potere, dai media e così via. Questo è il modello dell’intellettuale che nasce nell’Ottocento con il J’Accuse di Zola e che forse si è estinto in Italia con Sciascia e Pasolini”.

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