Il Questore Agnello: “Ad Agrigento ero l’unica donna in Questura. I mafiosi? Spesso mi chiamavano signora” - QdS

Il Questore Agnello: “Ad Agrigento ero l’unica donna in Questura. I mafiosi? Spesso mi chiamavano signora”

redazione

Il Questore Agnello: “Ad Agrigento ero l’unica donna in Questura. I mafiosi? Spesso mi chiamavano signora”

Roberto Greco  |
venerdì 08 Marzo 2024

Interviene al QdS, in occasione dell’8 marzo, Pinuccia Albertina Agnello, dal 15 maggio 2023 Questore di Caltanissetta

Interviene al QdS, in occasione dell’8 marzo, Pinuccia Albertina Agnello, dal 15 maggio 2023 Questore di Caltanissetta. È entrata nella Polizia nel 1987. È stata, dal 1988 al 1990, coordinatrice delle Volanti presso la Squadra mobile della Questura di Agrigento, poi, fino al 1992, Commissario a Palma di Montechiaro. Prima alla Dia a Roma e poi, fino al 2001, ha diretto la Sezione Operativa della DIA di Agrigento. Dopo diversi incarichi, nel 2019 è stata nominata Questore di Ragusa per approdare poi alla Questura nissena.

Il suo percorso professionale l’ha vista in prima fila nelle operazioni di contrasto alla criminalità di stampo mafioso sin dai suoi primi incarichi. Quando ha assunto i primi incarichi di responsabilità all’interno dell’amministrazione erano poche le donne, soprattutto “al comando”. Ha dovuto combattere contro la diffidenza dei suoi colleghi di genere maschile?
“Ritengo di essere stata fortunata in quanto, nel mio percorso professionale, ho quasi sempre ho trovato nei colleghi superiori persone di grande spessore culturale e di intelligenza. Devo a loro, se oggi sono in questo ruolo di comando alla Questura di Caltanissetta. Quando iniziai a lavorare sulla criminalità di stampo mafioso, ad Agrigento, ero l’unica donna funzionario non solo nella Squadra Mobile ma in tutta la Questura. Le agenti donne, ad Agrigento, arrivarono nel 1992. L’amministrazione, anche all’epoca, non ebbe remore a nominare un dirigente di Commissariato donna anzi, fu proprio una volontà realizzata di concerto con l’allora Questore. Lei pensi che mi trovai, in quell’occasione, a dirigere un reparto di oltre 40 unità tutti uomini con il quale cominciai a lavorare sul fenomeno mafioso ad Agrigento. Ho sempre lavorato serenamente anche se, proprio in quel periodo, non ho mai potuto confrontarmi con un elemento femminile, proprio perché, come le dicevo prima, la prima donna arrivò pochi mesi prima del mio trasferimento alla Dia”.

Erano gli anni della faida tra Cosa Nostra e Stidda. Ci sono stati episodi in cui ha subito tentativi di delegittimazione, o minimizzazione del ruolo che stava esercitando, per il suo essere donna da parte dei criminali che si trovava di fronte?
“No. Ricordo bene quel periodo, in cui la Questura emise diversi provvedimenti di misure di prevenzione con divieto di soggiorno per mafiosi. Anche nel rapporto con i destinatari di queste misure, dopo un attimo iniziale di stupore nel trovarsi davanti una donna, da parte loro non ha mai avuto nemmeno l’impressione che non mi riconoscessero il ruolo che stavo esercitando. In realtà, e questo ancora oggi mi fa sorridere, non sapevano come appellarmi e spesso si rivolgevano a me chiamandomi ‘signora’”.

Dal coordinamento delle Volanti al suo incarico come Questore. Com’è cambiato il ruolo della donna all’interno della Polizia?
“Pensi che oggi, a Caltanissetta, ci sono cinque funzionari e molti agenti donna. Da quel periodo iniziale abbiamo vissuto anni di grandi cambiamenti e oggi, le donne in Polizia hanno maturato l’anzianità necessaria per accedere a ruoli apicali, ma questo è dovuto al fatto che le donne sono entrate nell’amministrazione solo dopo la riforma del 1981. Siamo ancora in minoranza ma, ritengo, più per un banale fatto di anzianità”.

Durante la sua attività d’investigatore, ritiene che il suo essere donna l’abbia potuta aiutare?
“Penso di sì, perché riconosco, nell’essere donna, una forte determinazione. A noi donne, quando ci mettiamo in testa di risolvere un problema, non ci ferma nessuno. Questa determinazione, forte volontà e costanza, ci contraddistingue e questo lo note in tutte le colleghe, indipendentemente dal ruolo e dal grado. Senza nulla togliere ai colleghi uomini, ci contraddistingue il credere in quello che facciamo in maniera viscerale perché mettiamo in campo sia la testa sia il cuore”.

Codice rosso, violenza di genere. Quanto è cambiata la legislazione in questi anni?
“Parliamo di legislazione recente, il c.d. codice rosso è entrato in vigore nell’estate del 2019, poco prima della mia nomina a Questore di Ragusa. Gli strumenti e le norme, oggi ci sono e consentono sia alla polizia giudiziaria sia all’autorità giudiziaria di poter agire in maniera specifica per il contrasto del fenomeno con tempestività e misure calibrate. L’unico limite, mi permetta di chiamarlo così, è che alcuni di questi strumenti nei confronti dello stalker o del maltrattante, sono ancora legati alla volontarietà dei soggetti, compreso il fatto che deve volere di essere affidato ai centri di recupero per maltrattanti. Se la legge ne prevedesse l’obbligo, probabilmente, avremmo forse fatto ulteriori passi aventi nella gestione del fenomeno. Tra le misure di prevenzione, quelle amministrative che il Questore può applicare, c’è l’ammonimento, uno strumento che sta dando buoni risultati e i soggetti sottoposti a questo provvedimento in minima parte hanno continuato a stalkerizzare o maltrattare”.

Nelle due grandi città siciliane, Palermo e Catania, le cronache ci restituiscono un panorama di violenza contro le donne che coinvolge anche la fascia più giovane della popolazione, sia come vittima sia come carnefice. Che cosa ritiene si debba fare per superare questo scoglio che non è solo generazionale?
“Anche se nel territorio di mia competenza non abbiamo registrato una recrudescenza del fenomeno in questi termini, l’attività nel territorio di divulgazione del fenomeno è costante. Spesso siamo nelle scuole per comunicare ai giovani non solo cosa sia questo fenomeno ma quali sono gli strumenti che anche loro hanno per prevenirlo. Il nostro camper, parte del progetto ‘Questo non è amore’, in questi giorni sarà sul territorio proprio per poter raccontare non solo l’impegno della Polizia di Stato su questo fronte ma anche per incontrare la popolazione, perché anche da loro può giungerci il primo grido di allarme. Certo è che il fenomeno dei maltrattamenti in famiglia è presente sul territorio. Si tratta di un fenomeno trasversale, indipendente dai ceti sociali anche se, nella fascia della popolazione che soffre di povertà culturale, è più accentuato. Quello che chiediamo ai presidi è di organizzare gli incontri nel pomeriggio, per permettere anche ai genitori di poter partecipare a queste iniziative. Notiamo spesso che, proprio da parte dei genitori, troppo spesso c’è una sorte di delega alla scuola della gestione di queste problematiche perché troppo impegnati con il lavoro o con gli impegni quotidiani. I genitori devono controllare i propri figli, perché molti sembrano di cadere dalle nuvole in presenza di questi fenomeni, e dare più attenzione a quei piccoli segnali che è possibile cogliere in loro. È altresì importante che le istituzioni lavorino in rete al fine di poter agire a 360° sui giovani”.

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