Giuliano, il mistero del “re di Montelepre” - QdS

Giuliano, il mistero del “re di Montelepre”

redazione

Giuliano, il mistero del “re di Montelepre”

Mariella Palermo  |
mercoledì 16 Novembre 2022

A cento anni dalla nascita, ancora senza risposta i tantissimi interrogativi sulla fine del celebre bandito “Turiddu”. Personaggio complesso e controverso, dalle amicizia pericolose fino alla morte

Salvatore Giuliano nasce di in quel di Montelepre, piccolo comune del palermitano, esattamente 100 anni fa, il 16 novembre 1922; “King of the Bandits”, lo consacrò il giornalista Micheal Stern in un articolo pubblicato dal prestigioso magazine americano Life il 23 febbraio 1948, dopo avergli fatto una intervista in uno dei suoi nascondigli nel Vallone Sàgana, nei pressi di Monreale, dove “Turiddu”, latitante, al culmine della notorietà, riceveva giornalisti e giornaliste – con molte delle quali si favoleggia abbia avuto anche infuocati incontri amorosi – provenienti da ogni parte del mondo.

Nel contesto di questa lunga sequenza criminale il “Re di Montelepre” decide di schierarsi a favore del Movimento Indipendentista Siciliano (Mis), formatosi immediatamente dopo lo sbarco degli Alleati e il cui obiettivo era quello di fare della Sicilia, il 49° Stato americano, ma ben presto segue la strada dell’anticomunismo, come dichiarerà lui stesso in una lettera spedita al 33° Presidente degli Stati Uniti, Henry S.Truman. Insomma un personaggio estremamente complesso e controverso, dalle “amicizie pericolose” in vita e dalla morte avvenuta in circostanze secondo molti ancora tutte da chiarire.

L’attesa desecretazione nel 2016 degli atti della Prima Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e del separatismo (insediata nel 1962 e chiusa nel 1976 ) bloccata dal “Governo Renzi” che conferma il Segreto di Stato su alcune parti degli atti dell’organismo parlamentare, di certo alimenta ancora oggi i molti dubbi sulle connivenze del bandito e sulla sua morte, avvenuta – secondo le cronache ufficiali – alle prime luci dell’alba del 5 luglio del 1950, quando il “bandito” Salvatore Giuliano viene trovato cadavere nel cortile di una casa nel centro storico di Castelvetrano, nel trapanese, il piccolo paese che oggi è noto per essere stato rifugio del grande latitante Matteo Messina Denaro.

La notizia, vista la notorietà raggiunta da “Turiddu”, fa immediatamente il giro del mondo e suscita da subito dubbi sulla versione dei fatti comunicati dalle forze dell’ordine e riportate dai giornali. Si tratta dell’ultimo, (ma più verosimilmente del penultimo) atto di una vicenda ricchissima di interrogativi che vede protagonista, il “re di Montelepre” che nel corso della sua vita è stato definito in vari modi e del tutto contrastanti: dal Robin Hood che ruba ai ricchi per dare ai poveri al terrorista nero al soldo della mafia e dei servizi segreti italiani e americani.

Dodici anni fa la riapertura delle indagini per omicidio e sostituzione di cadavere a seguito di un corposo dossier consegnato il 5 maggio del 2010 alla Procura di Palermo dove si teorizza che la salma sepolta a Montelepre e immortalata nella celebre foto del 5 luglio 1950 non è quella di Giuliano. Gli autori sono lo storico siciliano Giuseppe Casarrubea, (massimo esperto sul separatismo che aveva avuto il padre sindacalista ammazzato dalla banda Giuliano) e lo storico e saggista Mario Jose Cereghino, che ne fanno anche un libro “La scomparsa di Salvatore Giuliano. Indagine su un fantasma eccellente” ed. Feltrinelli.

La magistratura il 15 ottobre chiede la riesumazione del cadavere di Giuliano dal cimitero di Montelepre per stabilire con l’esame del DNA l’identità del cadavere che, però, non viene comparato con quello della madre Maria Lombardo, scomparsa nel 1971 e sepolta nella stessa cappella, che avrebbe fornito un esito sicuro al 99,9 per cento, ma viene comparato con quello di Giuseppe Sciortino Giuliano, nipote di Turiddu perché figlio vivente della sorella Mariannina. La consanguineità tra i due fu considerata attendibile con una percentuale di poco superiore al 90% e l’indagine fu archiviata.

La salma mai identificata dai parenti e i dubbi su attendibilità test Dna

La salma, scrissero tutti i giornali, è effettivamente quella di Salvatore Giuliano anche se dalla misurazione delle ossa, risultò che i resti appartenevano a un uomo di 170 cm di statura, mentre il bandito Giuliano, come certificato da varie fonti, era alto almeno i 180 cm.

“In realtà, un test del DNA con probabilità di poco superiore al 90 per cento non può essere considerato conclusivo né attendibile”, dichiarò nel 2010 in una intervista la dottoressa Marina Baldi, docente di genetica forense presso l’Università La Sapienza, consulente di varie Procure della Repubblica, e direttore scientifico di alcune importanti società di genetica medica.

La prova scientifica dell’identità di una persona richiede percentuali superiori al 97 per cento e solo il test del DNA tra madre e figli si avvicina al 100 per cento ed è indiscutibile”, sottolineò l’esperta.

A ciò va aggiunto che, all’epoca del suo assassinio il corpo di Giuliano, incredibilmente, non fu mai identificato dai parenti. I Carabinieri, infatti, portarono la salma all’obitorio e convocarono la madre e la sorella per il riconoscimento di rito, le due donne, però, svennero nel corridoio e non videro mai il cadavere.

Ed ancora: il 18 giugno 1950, il quotidiano americano Chicago Daily Tribune pubblicava un articolo in cui si affermava che “Salvatore Giuliano, il ‘re dei banditi siciliani’ autore di più di 400 omicidi tra il 1943 e il 1950, si trova sano e salvo in America, a Boston, in compagnia del cognato Pasquale Sciortino, bandito anche lui”; ed in effetti Sciortino, fu arrestato nel 1952 a San Antonio, in Texas, dove addirittura lavorava presso una base dell’Us Air Force e poi estradato in Italia.

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