Siccità, in Sicilia piove… dai buchi delle reti idriche - QdS

Siccità, in Sicilia piove… dai buchi delle reti idriche

redazione

Siccità, in Sicilia piove… dai buchi delle reti idriche

Vittorio Sangiorgi  |
martedì 07 Marzo 2023

Nell’Isola metà dell’acqua continua a perdersi e la capienza degli invasi è ridotta di un terzo a causa di sabbia e detriti. Anche con lo scorso Governo regionale non è cambiato praticamente nulla...

Storia vecchia, stessi discorsi, soluzioni ancora assenti. Un giudizio lapidario che ci pare però particolarmente adatto per sintetizzare la situazione critica di reti e infrastrutture idriche in Sicilia e dei rischi a essa connessi. L’ultimo campanello d’allarme, in ordine di tempo, è stato “suonato” dall’Autorità di bacino isolana che – nell’ambito del “Rapporto Siccità 2022” – ha dipinto un quadro a tinte fosche. L’amara conclusione è che, in mancanza di interventi decisi e risolutivi, lo spettro razionamento – soprattutto in vista dell’estate – potrebbe assumere contorni sempre più concreti, anche in quei contesti territoriali dove finora non si è mai reso necessario.

I numeri sono impietosi e restituiscono l’idea di una vera e propria emergenza. I bacini che dovrebbero assicurare l’approvvigionamento dell’oro blu, infatti, sono praticamente a secco e contengono 200 milioni di metri cubi in meno rispetto allo scorso anno. La capacità totale degli invasi isolani è pari a 950 milioni di metri cubi di acqua, ma al momento non ne contengono più di 370 milioni. Cifre emblematiche, che assumono tuttavia maggior rilevanza con una proiezione percentuale: gli invasi sono vuoti per oltre il 60%. Sostanzialmente tutte le dighe siciliane “hanno sete”, specie quelle più grandi e strategiche per l’attività agricola.

Si pensi, ad esempio, a quelle denominate Pozzillo e Ogliastro (che riforniscono la Piana di Catania) o la diga Poma (strategica per l’area palermitana). Ad aggravare la situazione un fattore esterno come quello del clima siccitoso, che non aiuta certo a riempire i bacini. Ma quello delle avversità metereologiche potrebbe essere un problema di poco conto (o quasi) se si risolvessero due storiche criticità, che dipendono in tutto e per tutto dall’azione di istituzioni ed organismi competenti. Prima questione quella degli sprechi, causate da infrastrutture inadeguate che determinano la dispersione di centinaia di migliaia di metri cubi della preziosa risorsa.

Le percentuali fornite dall’Istat nell’ambito del “Report Acqua 2022” (basato su dati del 2020) restituiscono plasticamente la portata del fenomeno. A Palermo viene disperso il 49,3% dell’acqua, a Catania il 51,3% e a Messina il 52,4%. Particolarmente significativo il dato di Agrigento, una delle provincie dove il razionamento è una condizione quotidiana, se ne getta alle ortiche il 50,6%, a Ragusa il 45%. Il triste primato spetta però a Siracusa, con un 67,6% da mani nei capelli. A fare meglio, ed è tutto dire, sono Enna e Caltanissetta, che si attestano rispettivamente al 32,2 e 32,5%. Nell’area nissena, però, si sono contati (sempre nel 2020) 211 giorni di razionamento. In queste condizioni, perciò, i cittadini sono costretti a fare da sé attrezzandosi con cisterne ed autoclavi. Una situazione francamente inaccettabile, soprattutto alla luce delle attuali contingenze economiche. Ma, come si diceva, i problemi non finiscono qui.

L’Autorità di bacino, infatti, nel già citato rapporto riferisce che la capienza delle dighe è ridotta per il 30% da sabbia e detriti. Servirebbe, quindi, un’importante opera di bonifica, che è però ferma da anni nonostante – addirittura a dicembre 2019 – il Governo Musumeci avesse stanziato 600 mila euro per progettare la gestione e la messa in sicurezza di otto invasi. Stesso destino, a quanto risulta, per i finanziamenti a fondo perduto (annunciati nel gennaio del 2021) in favore di quegli agricoltori che avessero voluto creare dei piccoli invasi aziendali. A frenare questi ed altri interventi, a farli arenare – è proprio il caso di dirlo – nelle secche della burocrazia, probabilmente, anche l’immobilismo delle varie realtà che entrano in gioco in questi processi. La questione bonifica, per esempio, è ostacolata dall’immobilismo dei vari Entri preposti che non presentano i piani di gestione, indispensabili per far partire i lavori. Altra questione annosa, da questo punto di vista, quella dei consorzi di bonifica nonché della loro gestione ed organizzazione da parte di una politica che – a prescindere da colori e schieramenti – non ha saputo valorizzare queste risorse.

Motivo per cui lo stesso ex governatore Musumeci, sin dal suo insediamento nel 2017, aveva parlato della necessità di una riforma degli stessi e – di concerto con il suo Esecutivo – aveva elaborato un Ddl di 42 articoli che, dopo essere stato approvato dalle Commissioni competenti – era stato cestinato dall’allora presidente dell’Ars Micciché nello scorcio finale della scorsa legislatura. Un testo che, come spiega il Dg di Anbi Massimo Gargano nell’intervista che pubblichiamo più avanti, non era risolutivo e abbisognava di profonde modifiche. Tutto da rifare in questa legislatura, auspicabilmente in tempi celeri. Per questo e per altri interventi serve una corsa contro il tempo che dovrà vedere protagonisti il Governo Schifani e l’Ars, non soltanto per il dovere istituzionale ma anche per un sussulto di orgoglio e di dignità dopo “la notte dell’adeguamento Irpef”…

Pnrr, nell’Isola bucata solo tre progetti ammessi a finanziamento

Le risorse messe a disposizione dal Pnrr rappresentano un’occasione unica per migliorare le infrastrutture idriche nel nostro Paese. Interventi necessari, soprattutto nella nostra regione. A questo scopo il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti ha stanziato, tra agosto 2022 e gennaio 2023, ben 900 milioni per interventi volti a ridurre le perdite di acqua potabile nella rete degli acquedotti. La graduatoria aggiornata stilata dal dicastero premia 33 progetti in totale (19 al Nord e al Centro Italia, 14 nel Mezzogiorno). A quest’ultimi, in ossequio alla “quota Sud” prevista dallo stesso Pnrr, è destinato il 40% dei fondi totali, vale a dire 364 mln.

Ma come si sono “comportati” gli Enti locali e le realtà gestrici in Sicilia? Hanno saputo intercettare questi importanti stanziamenti? I progetti isolani ammessi e finanziati sono in totale tre. A quello dell’Ati di Messina tramite l’Amam (oltre 12 milioni) finanziato nell’ambito della prima tranche, si aggiungono quelli dell’Ati palermitana (più di 15 milioni per interventi attuati dall’unione dei Comuni delle Madonie) e quello dell’Ati catanese (quasi 16 milioni per la riqualificazione delle reti di Acoset). Entrambi vengono “promossi” dopo essere stati stoppati a causa della mancanza di fondi. Una conferma della bontà del lavoro svolto, specie nel caso dell’Ati del capoluogo visto che lo stanziamento ammesso è maggiore rispetto a quello previsto precedentemente.

Quattro, invece, i progetti ammessi ma non finanziati (Ati Catania per Acque Aurora, Sidra, Comune di Bronte e Ati Palermo per l’Amap). Fin qui gli esempio virtuosi, che sono purtroppo in minoranza rispetto alle “maglie nere”. Nella già citata graduatoria sono dieci i progetti siciliani respinti. In un caso, quello dell’Ati di Ragusa e di Iblea Acque, il no del Mit arriva a cusa di un punteggio valutativo troppo basso. Nei restanti nove casi, invece, la “scure” sulle proposte è determinata dalla mancanza dei requisiti di ammissione. Si tratta nel dettaglio dei progetti di: Ati Caltanissetta (Acque di Caltanissetta – Calataqua), Comune di Augusta, Comune di Cassaro, Ati Messina (Amam), Regione siciliana (Sicilacque), Ati Catania (Acque di Casalotto, Sogea Srl) e Ati Enna (Acquaenna). Dunque, se qualcosa si muove e se emergono esempi positivi, è altrettanto vero che – ad oggi – il saldo è ancora negativo. Segno tangibile di una scarsa presenza di personale competente e preparato nella Pa meridionale e siciliana.

Intervista a Massimo Gargano, direttore generale dell’Anbi (Associazione nazionale bonifiche irrigazioni)

Massimo Gargano, direttore generale Anbi

Quello della siccità e delle infrastrutture idriche è un tema dalle tante sfaccettature e con contorni diversi da Nord a Sud. Ne abbiamo parlato con Massimo Gargano, Direttore generale di Anbi.

Direttore, qual è la situazione della disponibilità idrica e delle infrastrutture in Italia?
“Manca la neve sulle Alpi e su tutta la dorsale appenninica, nonostante i fenomeni di questi giorni, perché questa neve con le attuali temperature si scioglie velocemente. È mancata la neve di novembre e dicembre, quella che si stratifica, si ghiaccia e cede lentamente l’acqua. Altro aspetto che desta preoccupazione è quello del livello di riempimento dei laghi, che al Nord non superano il 40%. È l’annuncio di una stagione di grande difficoltà per tutta l’agricoltura padana, con tutto ciò che ne consegue per economia e cittadini. Al Centro ci sono fiumi come l’Aniene, dimezzato nelle portate, o come il Tevere che è in grande difficoltà. Lo stesso dicasi per i bacini: da Bracciano al Trasimeno, fino ai laghi di Castel Gandolfo e Nemi. La situazione, in quanto a disponibilità idrica, migliora nel Mezzogiorno, sia per le piogge che ci sono state che per le infrastrutture presenti.Tutt’altro discorso va fatto per la Sicilia. A Sud-Est e nella parte centrale non ci sono state piogge, a Nord-Ovest le precipitazioni hanno raggiunto anche i 25 mm. Dobbiamo immaginare una situazione estremamente complessa, che nei prossimi mesi lo sarà ancora di più proprio per la mancanza d’acqua. Un problema di disponibilità a tutto tondo, che coinvolge l’uso agricolo, quello domestico, ambientale ed energetico. Si deve avere la capacità di raccogliere e conservare l’acqua caduta con le piogge. Le bombe d’acqua sono ormai sempre più frequenti e in territori fortemente antropizzati ed edificati, causano drammatici danni a cose o persone. In più, dove le infrastrutture sono carenti o totalmente assenti non si riesce a conservare l’acqua che cade o, quando si riesce ad immagazzinarla, mancano gli schemi per poterla distribuire. L’anno scorso in Sardegna, nonostante la grave siccità che ha attraversato tutto il Paese, non ci sono stati problemi né per l’agricoltura né per la zootecnia, né per la stagione estiva. Invasi ben realizzati e ben mantenuti, alimentati da un riempimento pluriennale, hanno consentito di fornire la risorsa. La sfida vera è prendere atto che oggi la normalità è quella che fino ad ora abbiamo chiamato emergenza. Rispetto a questo dobbiamo assumere atteggiamenti coerenti, cioè attrezzarci con una serie di obiettivi, ad iniziare dalle condizioni migliori per manutenere il nostro territorio, evitando che i canali siano trascurati per anni, diventando di fatto discariche”.

In base alla vostra esperienza qual è la capacità di Enti gestori e consorzi di bonifica di intercettare i fondi del Pnrr?
“Rispondo con una frase del presidente della Coldiretti di Agrigento, che nei giorni scorsi mi gridava tutto il suo dolore per una provincia che non ha l’acqua e per un sistema, quello dei consorzi di bonifica, mortificato da un trentennio di commissariamenti e di finte riforme. Un’amarezza che si è percepita quando mi ha detto non abbiamo colto l’opportunità Pnrr e faremo fatica a cogliere le ulteriori misure, nonostante le capacità e il valore competenziale dei collaboratori dei consorzi. Consorzi che hanno un cuore che batte e – a dispetto di quanto hanno subito – la capacità di reagire, ma non sono messi nelle condizioni di poterlo fare. Noi abbiamo dato la piena disponibilità all’assessore all’Agricoltura Sammartino, ed abbiamo ottenuto delle aperture significative per riscrivere la storia. Perché, lo ribadisco, siamo in una fase in cui se non ci attrezziamo adeguatamente non supereremo il punto di rottura. La riforma preparata dal precedente Governo regionale? Non era utile ai territori. Va preso il meglio di quel testo ed eliminato il peggio”.

Come agire concretamente da qui al prossimo futuro?
“La sfida per il paese e per le regioni è di raccogliere tutta l’acqua che cade per averla a disposizione quando manca. In Sicilia questa sfida va ‘a braccetto’ con il completamento di tutte le opere lasciate a metà. Completare gli schemi irrigui, ultimare le rendicontazioni, eseguire i collaudi. Non servono le dichiarazioni né i giudizi su chi e come ha sbagliato, lo sappiamo. Adesso serve un grande ritorno alla normalità, su questo immagino che verte tutta la partita dell’Amministrazione regionale. Lo Stato, d’altra parte, ha deciso di fare sul serio sul tema siccità con l’istituzione di una cabina di regia e la nomina di un Commissario. Si tratta di interventi volti a semplificare l’eccessiva diffusione delle competenze. Questa materia oggi è articolata su quattro ministeri, si deve semplificare. Non è possibile che servano troppi pareri per la realizzazione di un’opera fondamentale per la vita dei cittadini. Penso ai piani paesaggistici, ai vincoli archeologici, ad espropri che durano anni per poter realizzare un invaso di medio-piccolo, perché ci sono i soliti ricorsi che bloccano tutto”.

Quali sono le strategie di Anbi?
Da parte nostra, come Anbi e Coldiretti, abbiamo proposto un ‘piano laghetti’ per tutta la nazione. La visione è quella di un sistema che guarda al futuro. Quando fu fatta la cassa del Mezzogiorno si guardò alle future generazioni investendo in aree a rischio desertificazione. Laddove le risorse sono state usate bene, come in Sardegna, ne sono sorti grandi benefici. Al contrario dove quelle risorse sono state usate meno bene i benefici sono stati minori. Oggi in Sicilia bisogna colmare quel gap e in tutta Italia creare piccoli e medi invasi ovunque possibile. L’obiettivo è di realizzarne 10.000 entro il 2030. Invasi in terra, realizzati senza cemento, in grado di produrre energia sia poggiando sugli specchi d’acqua panelli fotovoltaici galleggianti, sia allineando questi laghetti per produrre energia idroelettrica con dei salti. Quindi, durante la notte quando il costo dell’energia è minore e ci sono incentivi statali, ricaricare con dei pompaggi l’acqua in alto in modo da creare delle vere e proprie batterie energetiche. Questo servirebbe ai consorzi per abbattere i costi e per trasferire, questo risparmio, sia al reddito delle imprese agricole che alla competitività delle produzioni. Ne deriverebbe, chiaramente, un grande vantaggio anche per cittadini e consumatori. Mi auguro che l’apertura ricevuta dalla Regione siciliana si trasformi in una corsa contro il tempo, per tutta la comunità siciliana. Il rischio è quello di dare l’acqua con le taniche, scene che non vorremmo mai vedere e che mortificherebbero una terra splendida come la Sicilia”.

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