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Sud spopolato, infecondo e senza appeal

PALERMO – Cittadini costretti a lasciare la propria terra, stranieri che non arrivano e aspettativa di vita tra le più basse del Mezzoggiorno e dell’Italia: notizie poco confortanti per la Sicilia emergono dal rapporto annuale sugli indicatori demografici pubblicato ieri dall’Istat.

Secondo l’Istituto di statistica, infatti, la Sicilia, ha un saldo migratorio interno (differenza tra chi arriva in un Comune e chi si trasferisce) pari a -3,9 per mille residenti. Questo dato, che fa colloca l’Isola al 17esimo posto nella classifica delle regioni italiane, si accompagna ad un altro dato che, seppur positivo, influisce in modo assolutamente insignificante sull’aumento della popolazione siciliana: il saldo migratorio con l’estero (0,6 per mille). Questo saldo, che rappresenta la differenza tra chi arriva dall’estero e chi va via dall’Isola, rende la Sicilia, insieme alla Sardegna, la regione italiana con meno appeal per gli stranieri. In questo modo, tra residenti che lasciano la propria terra e stranieri che non scelgono la Sicilia come loro meta, lo spopolamento, non solo delle aree interne ma di tutta la regione, diventa un fatto certo.

Come se non bastasse, sempre con riferimento alla Sicilia, le aspettative di vita per gli uomini e le donne risultano essere inferiori sia alla media nazionale che a quella relativa al Mezzogiorno. I maschi che nascono in Sicilia hanno, infatti, una speranza di vita alla nascita di 79,9 anni (maggiore solo a quella campana e valdostana) a fronte di una media nazionale di 81 anni e del Mezzoggiorno di 80,2. Per quanto riguarda il gentil sesso (media nazionale 85,3 anni e media del Mezzoggiorno 84,5), invece, la nostra regione fa anche peggio: l’aspettativa di vita per le donne è di 84 anni (dietro solo la Campania con un’aspettativa di vita di 83,6 anni).

A registrare dati demografici preoccupanti, in realtà, è più in generale tutto il Sud. Infatti, il calo della popolazione che ha colpito l’Italia nel 2019, incide maggiormente nel Mezzogiorno, con andamenti nettamente contrapposti rispetto alle regioni del Nord Italia. In un quadro in cui si vede diminuire la popolazione italiana di 116 mila unità, infatti, la perdita maggiore è stata registrata nel Sud (-6,3 per mille) e in misura inferiore nel Centro (-2,2 per mille). Al contrario, prosegue il processo di crescita della popolazione nel Nord (+1,4 per mille). Particolarmente critica, poi, è la dinamica demografica di Molise e Basilicata che nel volgere di un solo anno hanno perso circa l’1% delle rispettive popolazioni.

La differenza tra le nascite (435 mila) e i decessi (647 mila), poi, ha fatto registrare il più basso livello di ricambio naturale mai espresso dal Paese dal 1918. Ciò comporta che il ricambio per ogni 100 residenti che lasciano per morte sia oggi assicurato da appena 67 neonati, mentre dieci anni fa risultava pari a 96.

Infine, nonostante l’ennesimo record negativo di nascite, la fecondità rimane costante al livello espresso nel 2018, ossia 1,29 figli per donna. Nell’ultimo biennio, in particolare, tra le donne residenti in età feconda (convenzionalmente di 15-49 anni) si stima una riduzione di circa 180mila unità.

Il preoccupante rapporto Istat è stato commentato anche dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il quale ha sottolineato che “come conseguenza dell’abbassamento di natalità vi è un abbassamento del numero delle famiglie. Questo significa che il tessuto del nostro Paese si indebolisce e va assunta iniziativa per contrastare questo fenomeno”.