Taiwan, maggioranza sta con Pechino - QdS

Taiwan, maggioranza sta con Pechino

Carlo Alberto Tregua

Taiwan, maggioranza sta con Pechino

venerdì 19 Gennaio 2024

Lai Ching-te eletto col quaranta per cento

Le elezioni a Taipei hanno dato un risultato bifronte relativo all’Isola di Taiwan – non riconosciuta dalla comunità internazionale – e cioè che, da un canto, è stato eletto primo ministro col quaranta per cento Lai Ching-te, leader del partito democratico; dall’altra parte, i due partiti oppositori hanno raggiunto un numero maggioritario di deputati.

Cosicché, tale risultato bifronte, di fatto mantiene la governance politica dell’Isola in una posizione di stallo.
Questo si spiega col fatto che lo spirito democratico aleggia in una parte di quel popolo, mentre l’altra parte mantiene la tradizione millenaria della cultura cinese e spinge l’appartenenza alla Repubblica democratica di Xi Jinping.
Dunque, la questione sottolineata è all’interno di quel Paese e non all’esterno, in quanto l’opinione pubblica è divisa fra l’alternativa di autogoverno mediante la democrazia e/o il ritorno alla casa madre, cioè alla Cina.

Con tale situazione di stallo governare quell’Isola è estremamente difficile. Di fatto, l’alternativa è il suo mantenimento al blocco occidentale, la cui leadership è degli Stati Uniti, ovvero passare al blocco orientale, la cui leadership è la Cina popolare.

In gioco vi sono interessi economici mondiali perché Taiwan produce il sessanta per cento dei microchip, tanto necessari per tutta la tecnologia digitale nonché per la costruzione di mezzi elettrici come le auto, che oggi costituiscono il cuore dell’economia.

Questo bilanciamento interno del popolo taiwanese, che non si esprime decisamente sullo stare con l’Occidente o con l’Oriente, è una mina pericolosa perché, da un lato, continua a far vociare gli Stati Uniti che difenderanno quell’indipendenza, dall’altra parte la Cina dice che il territorio di Taiwan è cinese, come lo sono il popolo, le tradizioni e quant’altro riguardi la natura di quel territorio.
Chi ragiona con la propria testa e non con quella degli altri non può patteggiare per nessuna delle due parti, anche se riteniamo che gli interessi dell’Occidente sarebbero tali da sostenere Taiwan, salvo che in caso di guerra.

Di questo si tratta, di una potenziale guerra qualora alla Cina venisse in mente di invadere l’isola di Taiwan. Non crediamo che questa iniziativa verrà mai presa, perché Xi Jinping non vuole assolutamente usare le armi “tradizionali” poiché è lanciato in una guerra ben più importante, penetrante e silenziosa che è quella economica, con cui sta invadendo l’Occidente e sta conquistando, sempre economicamente, vastissimi territori africani.

L’economia unisce e non divide, per cui le joint-venture fra le imprese occidentali e cinesi all’interno di quel territorio sono centinaia e centinaia di migliaia, con due conseguenze: la prima è che le imprese occidentali aumentano fatturato e profitti, come è accaduto durante il periodo di Covid; la seconda è che imprenditori cinesi acquisiscono tecnologie, metodi organizzativi e quant’altro per diventare più capaci e più competitivi.

Il risultato di quanto precede è che l’economia cinese crescerà ancora fortemente e il suo Pil fra breve sarà a ridosso di quello degli Stati Uniti e, secondo alcune previsioni economiche, lo supererà nei primi anni posteriori al 2030.

Ancora una volta commentiamo un fatto di economia mondiale, nel quale, purtroppo, l’Unione europea dei Ventisette diventa sempre più irrilevante. Per esempio, il Pil prodotto dall’Europa è molto inferiore a quello cinese e moltissimo inferiore a quello americano.

Ciò accade perché l’Ue lo è di nome e non di fatto; vi sono i più forti che dettano legge, i più deboli che subiscono per la loro debolezza e non si riesce a trovare la quadra di interessi comuni che dovrebbero andare nella direzione di fortificare l’intera Unione e farle aumentare fortemente il Pil, oggi deficitario.
Un esempio per tutti: la cosiddetta locomotiva dell’economia europea, cioè la Germania, è in recessione e tutta l’economia europea per l’anno corrente prevede un aumento di Pil di 1,3 per cento contro quasi il 4% degli Stati Uniti e quasi il 7% della Cina. Tirate le somme.

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