Strage di Capaci, il tremendo racconto di quelle immagini mai mandate in onda - QdS

Strage di Capaci, il tremendo racconto di quelle immagini mai mandate in onda

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Strage di Capaci, il tremendo racconto di quelle immagini mai mandate in onda

Roberto Greco  |
giovedì 23 Maggio 2024

La ricostruzione del giornalista Salvatore Cusimano

Salvatore Cusimano è un giornalista e nel 1992 si occupava di cronaca giudiziaria per la testata regionale del Tg3 della Rai. “Quel giorno – racconta al QdS – io non lavoravo. Ero libero perché, occupandomi di giudiziaria, il sabato e la domenica ero di riposo. Ero con mia moglie e ci stavamo apprestando a trascorrere un weekend di riposo. I mesi precedenti erano stati contraddistinti da molta ansia: da un lato la sentenza definitiva del maxi-processo e le dichiarazioni di Falcone sulle quali, noi cronisti, stavamo analizzando, cercando di spiegare cosa intendesse quando disse ‘Siamo consapevoli che, dopo l’omicidio Lima, qualcosa è cambiato e siamo molto preoccupati’. Parlavo spesso con Giovanni Falcone, non tanto per realizzare interviste ma per meglio comprendere il suo pensiero, il suo sguardo lontano che dichiarava di aver capito cose che noi non avevamo ancora percepito”.

Poi, all’improvviso arrivò una telefonata. “‘C’è stata una grande esplosione’ – continua Cusimano – mi dissero, ma non era chiaro di cosa si trattasse. Certo che noi cronisti eravamo preoccupati ma, non sapendo dove si trovasse Falcone in quel momento, non collegammo immediatamente l’esplosione con un attentato nei suoi confronti. Anzi, inizialmente si pensò a un’esplosione alla cementeria di Capaci. Presi l’auto, lascia mia moglie e raggiunsi la redazione. Dopo una serie di telefonate capimmo che si era trattato di un attentato e, immediatamente, abbiamo dovuto organizzarci proprio perché era sabato e molti cronisti erano di riposo”.

“La prima idea – spiega ancora Cusimano – fu quella di recuperare tutte le immagini che erano già state girate, come quelle di alcune televisioni private. In zona c’erano due colleghi, Marco Sacchi e Silvana Polizzi, che si diressero verso il luogo dell’attentato. Lo sbarramento impedì il loro passaggio e Marco Sacchi bloccò un ragazzino con un ciclomotore e lo pagò per farsi portare il più vicino possibile al cratere e lì girò le immagini che poi furono consegnate in redazione. I cronisti furono bloccati e non poterono accedere mentre noi, cominciammo a occuparci di preparare tutte le dirette per la radio e per la televisione. Alle 21 andammo in onda con un’edizione straordinaria sul Tg1”.

Ma, anche in questo caso, nacquero dei problemi perché sarebbe stato necessario interrompere un programma d’intrattenimento condotto da Fabrizio Frizzi che era in onda in quell’orario. The show must go on. “Un funzionario – prosegue Cusimano – non voleva che s’interrompesse il programma perché, disse, il Paese non può reggere questo tsunami che travolge tutto e tutti. Lo stesso Frizzi, in seguito e in più occasioni, dichiarò di essersi vergognato del comportamento tenuto dall’azienda in quell’occasione”.

Il mestiere del cronista è quello di vedere e raccontare: “Non potendo accedere immediatamente sul luogo – continua Cusimano – i primi servizi li ho realizzati guardando le immagini che erano arrivate in redazione. Immagini reali, estremamente crude, immagini che non abbiamo mai mandato in onda e che oggi continuano ad essere negli archivi della Rai, immagini che raccontavano ciò che restava dei corpi straziati conglobati nelle lamiere delle autovetture. Ma io avevo necessità di andare su quel luogo e, grazie alla disponibilità di una mia fonte interna all’Arma, la mattina dopo, verso le 4,30 mi recai con Marco Sacchi sul posto per realizzare quella lunga, e ricostruita, diretta che poi è stata utilizzata da tutte le televisioni, anche all’estero. Fu il primo racconto realizzato non sull’onda emotiva del momento, ma quello che ci permise di poter commentare lo scenario e di cominciare a chiedersi il come e il perché fosse successo”.

Il cronista deve essere parte terza, nel racconto che propone a chi lo legge o ascolta ma, in alcuni casi, è molto difficile. E questo fu uno di quei casi. “Mi sono sempre interrogato – afferma Cusimano – proprio per l’intenso rapporto avuto con Falcone, su come abbia fatto a raccontare quanto successo mantenendo il giusto distacco dai fatti anche se, rivedendo le mie dirette, notai una serie di ripetizioni, che erano il frutto di una tensione che non ero in grado di controllare direttamente”.

“Quella sera – aggiunge il giornalista – mentre ero in onda, si affacciò un carissimo collega, Gaetano Tarantino, che mi comunicò la notizia della morte di Francesca Morvillo, che mi ritrovai a dare immediatamente in diretta. Dare quella notizia per me fu, forse, il momento più traumatico, quello che mi ha scosso di più. E poi ho cercato di fare semplicemente il mio mestiere pur senza dormire per giorni, vivendo in uno stato costante di dormiveglia. Mi resi conto di quanto questo evento mi aveva turbato quando, con mia moglie, andai alla camera ardente. Lì avvenne la frana che buttò giù la diga”.

Una strage che ha cambiato la società intera, e non solo. “Qualcosa cambiò, dopo quel giorno – conclude Cusimano – perché alcuni funzionari delle Forze dell’ordine iniziarono a essere più disponibili. Uno, in particolare, mi ha permesso di raccontare giorno dopo giorno lo stato dell’inchiesta, forse per un suo timore che potessero essere insabbiate le indagini. Avevamo, in quel momento, una grande responsabilità civile cercando di non farci assorbire da quella palude che insidiava la città di Palermo e le stesse istituzioni, che cercavano di imputare tutto ai ‘viddani’ di Corleone, che sono stati sicuramente parte centrale di quella strage ma è evidente che attorno a loro c’è stata una rete che ha consentito tutto questo”.

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