Ambiente, le procedure d'infrazione Ue costano alla Sicilia centomila euro al giorno - QdS

Ambiente, le procedure d’infrazione Ue costano alla Sicilia centomila euro al giorno

Rosario Battiato

Ambiente, le procedure d’infrazione Ue costano alla Sicilia centomila euro al giorno

martedì 02 Luglio 2019

L’Isola coinvolta in dieci procedure sulle 16 che riguardano l'Italia (63%). Per la mancata depurazione e per i rifiuti, sulla Regione pesano sanzioni per 38 milioni di euro ogni anno. Rispetto allo scorso anno non si è rilevata la procedura relativa all’aggiornamento del piano rifiuti ma se ne è aggiunta un’altra sul monitoraggio delle acque. La ricognizione è stata effettuata dal dipartimento Politiche europee

PALERMO – Depurazione, qualità delle acque, rifiuti, aria, rumore ambientale, conservazione degli habitat: sono questi gli ambiti che riguardano le dieci procedure d’infrazione di interesse per la Regione siciliana. L’Ue, insomma, continua a bacchettare duramente l’Isola che si mantiene protagonista nella maggior parte delle procedure ambientali che riguardano l’Italia (10 su 16, circa il 63% del totale). Rispetto allo scorso anno non si è rilevata la procedura relativa all’aggiornamento del piano rifiuti ma se ne è aggiunta un’altra sul monitoraggio delle acque. La ricognizione è stata effettuata dal dipartimento Politiche europee sulla base della Banca dati Eurinfra e in seguito a un confronto con gli assessorati e i dipartimenti di riferimento. L’aggiornamento è riportato nel documento “Procedure d’infrazione di interesse per la Regione siciliana” che è aggiornato al 20 giugno scorso.

Procedure d’interesse per la Sicilia (giugno 2019)

PROCEDURE NAZIONALI
Il dipartimento per le Politiche europee della Presidenza del Consiglio, sulla base degli aggiornamenti rilasciati dalla banca dati Eurinfra (6 giugno 2019), ha censito 71 procedure che riguardano direttamente l’Italia e che si trovano in differenti fasi di avanzamento. La distribuzione delle procedure per settore vede in cima alla lista proprio l’ambiente che ne vale 16.

SICILIA PROTAGONISTA
La Sicilia si prende 10 procedure d’infrazione delle 16, confermando tutte le criticità degli ultimi anni. Le segnalazioni comunitarie, che in alcuni casi si sono già trasformate in sanzioni, sono una vera e propria mappatura delle emergenze ambientali isolane che sono conseguenze dei ritardi nella spesa dei fondi per la depurazione delle acque, adesso affidata a un commissario nazionale, e anche dell’assenza delle bonifiche ambientali e delle misure di contrasto all’inquinamento atmosferico.

DEPURAZIONE DELLE ACQUE REFLUE
È il capitolo più corposo del gruppo. Tra vecchie e nuove, le procedure che riguardano la depurazione delle acque reflue sono ben quattro. Ci sono vecchie conoscenze come la 2004/2034 (1) e la 2009/2034 (2) per cattiva applicazione di una direttiva degli anni Novanta (1991/271/CEE) sul trattamento delle acque reflue in relazione alle aree normali con più di 15 mila abitanti e alle aree sensibili con più di 10 mila abitanti. E già fioccano le sanzioni. A queste due in stato avanzato si aggiungono la 2014/2059 (3), per gli agglomerati con più di 2 mila abitanti equivalenti in aree sensibili, e poi, nel luglio del 2018, l’ultima arrivata 2017/2181 (4).

Non è solo una questione di sanzioni, ma anche di agglomerati che scaricano a mare senza adeguata depurazione, provocando inquinamento. L’Arpa ha segnato il coinvolgimento di 175 siciliani su 883 agglomerati italiani con carico generato superiore a 2 mila abitanti (21% sul totale nazionale) per la 2014-2059, 5 su 110 relativa agli agglomerati con un carico maggiore di 10 mila abitanti per la 2004-2034 e 51 su circa 80, pari al 63% degli agglomerati italiani, per la 2009-2034.

PESSIMA ARIA E RIFIUTI
Anche la qualità dell’aria siciliana desta preoccupazioni. L’Ue, in particolare, ha messo nel mirino due inquinanti in relazione alla violazione della direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria ambiente e in particolare in relazione al superamento dei valori del limite di Pm10, 2014-2147 (5), e sull’obbligo di rispettare i livelli di biossido di azoto, 2015-2043 (6). Superata la procedura d’infrazione relativa all’aggiornamento dei piani dei rifiuti, che non risulta più nell’elenco, resta comunque la più vecchia delle procedure che riguardano ancora la Sicilia: la 2003/2077 (7) relativa alla non corretta applicazione delle 2003/2077 direttive 75/442/CE sui “rifiuti”, 91/689/CEE sui “rifiuti pericolosi” e 1999/31/CE sulle “discariche”.

LE ALTRE
Le ultime tre procedure cominciano con la 2013/2022 (8) che riguarda la non corretta attuazione della direttiva 2002/49/CE relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale (mappe acustiche strategiche) – in particolare si registrano violazioni relative alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale nell’agglomerato di Palermo e di Catania – e non è una novità considerando i ritardi dei comuni isolani nell’assenza dei piani di risanamento acustico e delle relazioni biennali sullo stato acustico. La 2015/2163 (9) fa riferimento alla mancata designazione delle Zone speciali di conservazione (Zsc) e alla mancata adozione delle misure di conservazione – Violazione Direttiva Habitat.

L’ULTIMA ARRIVATA
Si tratta della 2018/2249 (10) relativa al monitoraggio della qualità delle acque, designazione delle zone vulnerabili ai nitrati e contenuto dei programmi d’azione per la direttiva 91/676/CE che si trova ancora allo stato di messa in mora.

Il degrado ambientale dell’Isola costa oltre 100 mila euro al giorno

PALERMO – I tecnici dell’assessorato ai Servizi di Pubblica Utilità hanno realizzato una relazione, in allegato a una deliberazione per il finanziamento per l’adeguamento delle rete e per la depurazione, stimando le sanzioni comunitarie per la mancata depurazione. Queste ultime costano alle casse regionali, dato il diritto di rivalsa esercitato dallo Stato, 97 mila euro al giorno dal 2012: proiettando questo dato per tutti gli anni di ritardo, si avrebbe qualcosa come 247,8 milioni.
La Regione spiega che le sanzioni vengono determinate su “scala nazionale e vanno poi ripartite, ai fini della valutazione delle responsabilità connesse al diritto di rivalsa, in funzione della consistenza territoriale degli agglomerati fuori norma”. In questo senso, l’Amministrazione statale ha già “manifestato ufficialmente l’intenzione di esercitare il diritto di rivalsa nei confronti di Regioni o di altri Enti pubblici responsabili di tali infrazioni”.
Il percorso è molto semplice: le sanzioni andrebbero a incidere sul “bilancio regionale, ma dovrebbe essere poi ripartito pro-quota nei confronti degli altri enti le cui inadempienza hanno contribuito, e contribuiscono tuttora, a determinare le procedure di infrazione”.

Si pagano anche le sanzioni relative alle discariche non bonificate che valgono circa 1,6 milioni di euro a semestre, quasi 9 mila euro al giorno, considerando l’aggiornamento dell’aprile del 2018 dell’eurodeputato Pedicini (M5S), che ne aveva censite ancora 8 nell’Isola, due in meno rispetto allo scoccare della sentenza della Corte di Giustizia Ue del 2014. Per ogni sito la Corte comunitaria aveva fissato 400 mila euro di sanzione per i rifiuti pericolosi e 200 mila per tutti gli altri.

Dalla messa in mora alla multa. Come funzionano le infrazioni

BRUXELLES – Una procedura di infrazione viene avviata dalla Commissione europea in seguito a una segnalazione arrivata da una denuncia dei privati, da un’interrogazione parlamentare oppure di propria iniziativa. Il primo passo è la cosiddetta “lettera di messa in mora” che viene inviata dalla Commissione allo Stato membro, avviando di fatto la fase del pre-contenzioso.

Da questo momento ci sono due mesi di tempo per rispondere, in caso di mancata risposta, o di risposta non sufficiente, la Commissione può emettere parere motivato e quindi diffidare lo Stato a porre rimedio entro un termine preciso. In questa fase si conclude il 95% delle procedure.

Nel caso di mancata chiusura, allora la Commissione può presentare ricorso per inadempimento alla Corte di giustizia Ue che di fatto fa superare la fase del pre-contenzioso. A quel punto, accertata l’effettiva violazione dello Stato da parte della Corte comunitaria, quest’ultima può determinare una sentenza con la definizione dei termini ultimi entro cui superare la violazione.

Per gli Stati ancora inadempienti, la Commissione può inoltre chiedere alla Corte di “comminare allo Stato membro in questione il pagamento di una penalità fin dalla prima sentenza di inadempimento”. L’ultimo grado è raggiunto quando la Commissione, nei confronti di uno Stato che non ha rispettato la sentenza della Corte, avvia una seconda procedura di infrazione (articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) con un’unica lettera di messa in mora, prima di adire nuovamente la Corte. A questo punto possono prendere corpo le sanzioni con penalità modulate in rapporto allo Stato membro.

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