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Università di Catania, la nuova offerta formativa in Giurisprudenza

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Università di Catania, la nuova offerta formativa in Giurisprudenza

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martedì 01 Giugno 2021

Ne abbiamo parlato con Giuseppe Speciale, professore di Storia del Diritto Medievale e Moderno e Presidente del Corso di Laurea di Giurisprudenza dell'Università di Catania.

Tra i percorsi universitari e professionali più ostici c’è,
senza dubbio, quello di Giurisprudenza. Sono, infatti, molte le
difficoltà che sorgono a partire dai primi esami fino all’abilitazione
professionale. Numerose anche le critiche mosse all’intero sistema e le
richieste di riforma e modernizzazione. Ne abbiamo parlato con Giuseppe
Speciale
, professore di Storia del Diritto Medievale e Moderno e Presidente
del Corso di Laurea di Giurisprudenza dell’Università di Catania.

Secondo le più recenti statistiche gli  studenti di Giurisprudenza dell’Università di
Catania impiegano, in media, nove anni per laurearsi. Quali sono, a suo avviso,
le ragioni di tempistiche tanto lunghe?

“È giusto distinguere due responsabilità per questo ritardo,
che può essere imputato tanto agli studenti quanto all’istituzione
universitaria. La scelta degli studenti, talvolta, non è meditata e
consapevole. Giurisprudenza, in alcuni casi, è una scelta di ripiego, perché si
continua a pensare – ed in parte è vero – che questo percorso apra molte
strade. Poi, però, si impatta con una realtà alla quale non si è pronti e
sorgono difficoltà che spesso si rivelano insormontabili.

Un’altra causa può essere data dal fatto che gli studenti
talvolta immaginano che questo sia uno studio mnemonico, mentre lo
studio del diritto è fondato sulla logica, sulla capacità dialettica
e sull’affinamento delle armi del ragionamento. La responsabilità di questo
ritardo da parte nostra? Aver perseverato in un’offerta formativa rimasta
ancorata ad una visione tradizionale, secondo la quale lo studente doveva
appartenere ad una élite intellettuale, fondamentalmente proveniente dal liceo
classico o scientifico, ed essere fortemente interessato ad un percorso di tipo
tradizionale.

Da quest’anno, dopo una attenta analisi, abbiamo deciso di
cambiare radicalmente l’offerta formativa. Abbiamo, innanzitutto,
semestralizzato tutti gli insegnamenti, eccezion fatta per Procedura Civile
(prevista al terzo anno) e Procedura Penale (prevista al quinto).
Inoltre gli insegnamenti che comportavano più difficoltà per gli studenti sono
stati segmentati in due anni diversi, in modo da dare loro il tempo di
assimilare il contenuto e di abituarsi alla nuova impostazione metodologica
richiesta dalla materia. Abbiamo, inoltre, raddoppiato le materie
complementari
a disposizione della scelta degli studenti, inserendo tutta
una serie di discipline rispondenti a curiosità e interessi specifici.

Accanto alle materie a scelta, poi, abbiamo previsto le
cosiddette  ‘ulteriori attività formative’,
privilegiando discipline che, con una sperimentazione sul campo, avvicinano lo
studente a momenti dell’esperienza professionale. Senza dimenticare i dieci
insegnamenti impartiti in inglese, a favore sia degli studenti siciliani che di
quelli stranieri partecipanti al progetto Erasmus.

Abbiamo, inoltre, previsto un corso iniziale per gli
studenti di I anno (Laboratorio giuridico), in cui spiegheremo loro come
studiare con profitto il diritto e abbiamo anche intensificato le iniziative
per accogliere e accompagnare gli studenti con tutor didattici e tutor
disciplinari.  Così anche il nostro
dipartimento, che è uno dei dipartimenti di eccellenza italiani (secondo il
giudizio di una commissione ministeriale), si è allineato all’offerta formativa
degli altri dipartimenti d’eccellenza. Con l’offerta formativa valida a partire
dal prossimo anno accademico, cercheremo di ottenere risultati di eccellenza
anche sul piano della didattica”.

Quest’anno, dopo il rinvio per le restrizioni anti –
contagio, sono state introdotte significative modifiche nelle linee guida
dell’esame per l’abilitazione professionale, che hanno suscitato critiche e
perplessità. Ritiene che fosse questa l’unica strada percorribile?

“Ogni volta che ci sono situazioni emergenziali, come quella
in cui ci troviamo, le scelte fatte dalle autorità sono sempre opinabili. Non è
una risposta pilatesca, ma non mi sento di dare un giudizio su queste
soluzioni, anche perché la mia è un’esperienza professionale di docente di una
materia storico-giuridica e non esercito la professione”.

Tra le critiche mosse all’impianto stesso dell’esame ci
sono quelle relative alle materie oggetto delle due prove. In molti evidenziano
la loro scarsa attinenza con la professione, sottolineando allo stesso tempo l’assenza
di  approfondimento su tematiche ed
argomenti di primaria importanza, come ad esempio il GDPR. Qual è la sua
posizione in merito? Crede che sarebbe necessaria una corposa riforma?

“Il sistema di abilitazione alla professione forense
presenta indubbie criticità in periodi normali. La selezione, dopo circa due
anni dalla laurea, avviene con un sistema ormai superato, che non riflette più
la realtà dei nostri giorni. Un sistema che, allo stesso tempo, determina un
aumento indiscriminato dei ruoli degli avvocati, con un conseguente
abbassamento del livello della professione, riflesso di una concorrenza
spietata.

Questo comporta il fatto che ci siano professionisti
sottopagati e che i giovani avvocati vengano sfruttati negli studi legali. Il
sistema va rivisto e rivalutato, però bisogna anche considerare che una parte
degli abilitati utilizza il titolo per svolgere altre mansioni. Ho fatto parte,
per due volte, della commissione giudicatrice ed ho visto il livello non
entusiasmante della preparazione degli esaminandi. Ci sono, sicuramente,
ragazzi brillanti che scelgono convintamente di esercitare la professione e
fanno, quindi, esami brillanti. La stragrande maggioranza ha un rendimento
condizionato dal fatto che, nel frattempo, si sta occupando di altro. Nella
valutazione dell’esame si dovrebbe considerare anche questo”.

“Il problema dell’attinenza tra gli studi e la professione,
negli Stati Uniti, se lo sono posti circa venti anni fa. La domanda da
porsi è questa: gli studi universitari e quelli che precedono l’abilitazione,
devono avere un’impostazione professionalizzante oppure metodologica? La mia
risposta è che devono avere un’impostazione metodologica. A questa conclusione
sono arrivati anche negli Stati Uniti, dopo una fase in cui – su indicazione
dei grandi studi legali – alcune università 
formavano gli studenti con una impostazione professionalizzante.
L’obiettivo era quello di avere laureati pronti ad affrontare tematiche e
materie più urgenti nella prassi.

Il risultato è stato un disastro, perché professionalizzare
uno studente quando questi non ha ancora una preparazione di base, significa
insegnargli a fare un qualcosa di assai limitato senza spiegargli il contesto
in cui si inserisce. Si crea quindi un tecnico, non un sapiente. La professione
del giurista, invece, non è tecnica ma sapienziale.  Acquisendo il sapere giuridico si acquisisce
una preparazione duttile e con orizzonti ampi, che permette di abbracciare
tutte le novità e tutti i casi.

Noi, purtroppo, ci stiamo avviando verso la strada
sbagliata. Cercheremo di formare lo studente dal punto di vista tecnico,
creando un operaio del diritto – utilizzabile solo per determinati segmenti
della ‘catena di montaggio’ – che non saprà mai progettare o costruire
alcunché. Poi anche noi torneremo all’idea del giurista come cultore del sapere
giuridico. Certo, è chiaro che non possiamo ignorare aspetti come quello della
protezione dei dati, elemento fondamentale oggi e in futuro visto il continuo
progresso informatico. Il nostro compito, da questo punto di vista, è quello di
dare tutte le coordinate riguardanti i macro – concetti di sistema e
agganciarvi, successivamente, nozioni e soluzioni tecniche. Dobbiamo cambiare
il modo di ‘fare metodo’, non il metodo in sé”.

Vittorio Sangiorgi

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