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Dal vino bio al vegano, come orientarsi tra le etichette

redazione

Dal vino bio al vegano, come orientarsi tra le etichette

Salvo Ognibene  |
martedì 20 Settembre 2022

Dietro il variegato mondo delle certificazioni ci sono vere e proprie filosofie legate alle produzioni. L’export manager Cinzia Giunta: "Oggi le richieste dei consumatori sono sempre più specifiche"

PALERMO – Vini biologici, vegani, biodinamici, naturali, quante tipologie di vini esistono oggi oltre i classici bianchi, rosa, rossi, spumanti e dolci? Aggettivi che campeggiano come araldi nei ristoranti e nelle enoteche che dedicano attenzione al vino ma che sono sempre più utilizzati da wine lovers e consumatori attenti del nettare di bacco. Il variegato mondo delle certificazioni, a tutela del consumatore, comprende oggi anche le classiche denominazioni Igt, Doc e Docg: per chiarezza, è possibile, che in alcune etichette non si trovino queste tipologie ma venga utilizzata la nomenclatura europea e quindi Igp e Dop.

A cosa servono quindi tutte le sigle sulle etichette? “Certamente sono una tutela per il consumatore – racconta Cinzia Giunta, export manager – servono anche ad assecondare le richieste del mercato, oggi, così come in diversi campi dell’enogastronomia, le richieste degli acquirenti sono sempre più specifiche e normalmente rivolte ad una maggiore trasparenza sulla produzione e sul tracciamento completo della filiera che permette di ricostruire la storia del prodotto”.

Di cosa si tratta in sintesi? Cosa definisce quindi un vino biodinamico o biologico? Alcune di queste filosofie godono dei privilegi di una definizione a norma di legge, altri invece no. Vegano è un vino che nel suo processo di produzione non entra in contatto con sostanze di origine animale come per esempio l’albumina, i crostacei o perché no la colla dei pesci: un fenomeno sempre più crescente che oggi è certificato dall’Icea (Istituto per la certificazione etica e ambientale) di Bologna ma che il produttore potrebbe autocertificare indicando in etichetta che si tratta di un alimento idoneo al consumo per vegetariani e vegani.

Per quanto riguarda, invece, la certificazione del biologico (che è quella più utilizzata) il discrimine tra cosa sia e cosa non sia vino biologico è fissato, in Italia, da una apposita certificazione che da un lato disciplina le regole di una conduzione agronomica dei vigneti e, dall’altro, permette la produzione di uve da agricoltura biologica certificata.

Il vino biodinamico, invece, non gode di una legislazione ad hoc e muove dai principi formulati dall’austriaco Rudolf Steiner poco meno di un secolo fa: anche i vini, cosiddetti naturali o artigianali, non godono di specifiche leggi ma associazioni come Vini Veri e VinNatur fissano una serie di regole che gli associati devono seguire e che sicuramente trovano un punto d’accordo sulle fermentazioni spontanee e senza alcuna aggiunta di lieviti.

Le certificazioni oggi sono importanti non solo per informare il consumatore ma anche per l’ingresso e l’apertura di nuovi mercati per le aziende: “Un consumatore più informato richiede sempre di più prodotti maggiormente garantiti – continua Cinzia Giunta – soprattutto per le esportazioni all’estero avere oggi un vino certificato biologico, per esempio, costituisce certamente un richiesta preferenziale per allargare i propri mercati ed aumentare le vendite ma le certificazioni dei vini servono anche ad aprire mercati paralleli rispetto a quelli dei vini convenzionali, dando alla cantina un valore aggiunto ed una possibilità di penetrare nuovi mercati aggiuntiva”.

Le denominazioni Igt, Doc e Docg invece indicano non solo riferimenti territoriali ma anche di varietà delle uve e naturalmente dei metodi di produzione e di date per l’immissione del vino sul mercato.

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