La cena di Pesach, pane azimo, agnello ed erbe amare - QdS

La cena di Pesach, pane azimo, agnello ed erbe amare

redazione

La cena di Pesach, pane azimo, agnello ed erbe amare

venerdì 19 Aprile 2019

Nulla più della gioiosa cena che si consuma la sera di Pesach (Pasqua ebraica) può render meglio l’idea di ciò che rappresenta questa festa per gli Ebrei. Se con l’immaginazione potessimo osservare la colorata scena di allegri commensali e vivande, poste in bella mostra sulla tavola, potremmo scoprire che la sua celebrazione, tra canti, che si tramandano di generazione in generazione e letture del racconto dell’uscita dalla schiavitù d’Egitto, offre una complessiva coerenza d’insieme che ha un suo fondamentale valore pedagogico.

Innanzitutto coglieremmo nella forma un rilassamento della postura dei commensali, poco rispettoso dell’etichetta, specie tra i più giovani, a cui viene consentito poggiare i gomiti sul tavolo e lasciarsi scivolare sulla sedia. Ciò non è casuale, ma serve a sottolineare ed evidenziare la gioia per la riconquistata libertà. Ma il messaggio più significativo e più profondo viene dai cibi tradizionali, che non potranno mai mancare sulla tavola di Pesach, ciascuno con un preciso riferimento ai temi della ricorrenza.

I pani azimi, la zampa dell’agnello arrostita e le erbe amare sono i simboli centrali, in quanto hanno un profondo ed antico significato e sono menzionati anche nella narrazione biblica, nelle pagine dell’Esodo. Il pane fatto senza lievito e quindi non fermentato, per essere mangiato nel deserto, ricorda l’incalzare dei fatti che hanno preceduto la fuga dall’Egitto, che tra timori ed incertezze, non lasciavano il tempo necessario affinché il pane lievitasse.

A questa prima constatazione, deve aggiungersi la considerazione che, in quei tempi, la lievitazione avveniva esclusivamente per il tramite della pasta madre, che rappresenta l’antico ed il trascorso, con quanto anche di non rinnovato ed impuro essa conservi, mentre un passaggio che è una sostanziale progressione ha bisogno di un animo nuovo, non contaminato da vecchi pregiudizi e da risentimento. La zampa d’agnello è il simbolo del sacrificio pasquale compiuto dal popolo che si accingeva ad uscire della schiavitù. Mentre l’erba amara è il ricordo dell’amarezza patita dagli Ebrei sotto il dominio del faraone.

A questi cibi si aggiungono, sempre per tradizione, il charoseth un impasto dolce di datteri, noci, mandorle ed altro, che ricorda la malta che gli Ebrei schiavi erano costretti ad impastare per fabbricare i mattoni che servivano ad edificare le belle città egiziane, e l’uovo sodo, a cui il pensiero ebraico riconosce un significato del tutto particolare, in quanto simbolo della potenzialità della vita. Il perimetro dell’uovo è rappresentazione dell’eternità in quanto non ha né inizio, né fine, e simboleggia l’alternarsi delle generazioni, che in continuo si succedono e la trasmissione degli insegnamenti dai padri ai figli, che nella vita dell’uomo rappresenta la parte più nobile della continuità, in quanto costituisce il modo di cui la specie umana, a cui è data una breve vita, dispone per guadagnarsi l’eternità. Per altri motivi l’uovo sodo viene mangiato, sopratutto, dai maschi primogeniti, che in un momento tanto festoso, con questo cibo ricordano i primogeniti egiziani uccisi dall’angelo della morte per piegare la intransigenza del faraone e la sua ostinazione nel negare la libertà agli Ebrei. Un segno di lutto, quindi, in una tavola in festa, perché è bene ricordare, soprattutto nelle occasioni liete, quanto dolore sia stato necessario sopportare e quanto sia costato il loro conseguimento, riflessione che meglio e più consapevolmente ci consente di apprezzare il bene conseguito e quindi la ragione della festa.

Anche gli oggetti che sono posti sulla tavola hanno una loro funzione evocativa. Un calice è destinato al Kiddush, cioè alla santificazione della festa attraverso la benedizione del pane e del vino, mentre un altro bicchiere, d’argento, colmo di vino è destinato al profeta Elia, che secondo la tradizione viene a portare i propri auguri alle famiglie riunite intente a celebrare Pesach.

Del resto il profeta per entrare non dovrebbe neanche bussare giacché è conforme alla tradizione, durante la festa lasciare l’uscio di casa aperto, perché è scritto: “chi vuole, entri mangi e celebri Pesach”. E a notte inoltrata da questa stessa porta, rimasta aperta per chiunque la voglia attraversare, ci giungerebbe il canto, l’anno prossimo tutti a Gerusalemme, un sogno per percepire che per quella sera la festa volge alla sua fine.

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