Liquidazioni volontarie per 140 pmi siciliane - QdS

Liquidazioni volontarie per 140 pmi siciliane

Serena Giovanna Grasso

Liquidazioni volontarie per 140 pmi siciliane

mercoledì 07 Agosto 2019

Confindustria-Srm: “Segnali contenuti, ma che coincidono con la percezione di peggioramento dello scenario economico”. Nell’Isola situazione stabile rispetto al 2017

PALERMO – Le imprese siciliane non nutrono le migliori aspettative sul futuro economico dell’Isola. Secondo i dati contenuti all’interno del rapporto Check-Up Mezzogiorno, realizzato congiuntamente da Confindustria e Srm (Studi e ricerche per il Mezzogiorno), nel 2018 centoquaranta piccole e medie imprese sono andate incontro a liquidazione volontaria, costituendo quasi il 20% delle 761 liquidazioni disposte nelle otto regioni meridionali. Si tratta di Pmi in bonis, ovvero senza precedenti procedure concorsuali.

La messa in liquidazione volontaria dell’impresa nella maggior parte dei casi scaturisce dall’insufficienza dei mezzi finanziari disponibili e dalle previsioni future non promettenti. L’azienda entra, anche in modo reversibile, nella fase conclusiva della propria vita. A questo punto, l’impresa non viene più considerata come un complesso organico destinato a fini produttivi, ma vengono realizzate mediante la vendita le singole attività, “stralciandole” dal complesso aziendale o vendendole in complessi aziendali di grado inferiore. Parimenti vengono estinte le partite di natura debitoria.

L’eventuale attivo che residua dopo il compimento di queste operazioni rientra nel patrimonio privato dell’imprenditore nel caso di impresa individuale; in alternativa viene rimborsato ai soci, in proporzione al capitale conferito da ciascuno, in caso di società. La realizzazione dell’attivo, l’estinzione del passività e l’eventuale ripartizione del residuo è compito affidato al liquidatore, figura nominata nel momento in cui l’azienda viene messa in liquidazione.

Dal momento in cui si verifica la causa di scioglimento, l’amministratore non può più svolgere “nuove operazioni” e ha la responsabilità di conservare il patrimonio sociale sino alla nomina del liquidatore. Ad ogni modo, in tale lasso di tempo, all’amministratore spetta la conduzione di affari urgenti e il compimento di azioni necessarie per portare a termine gli impegni precedentemente assunti. La fase liquidatoria è necessaria per le società di capitali, ma risulta facoltativa per le società di persone dove i soci possono decidere di alienare l’intero patrimonio sociale durante l’esercizio dell’attività ordinaria e soddisfare i creditori.

Rispetto al 2017, la situazione siciliana resta invariata: in generale, si tratta del valore più basso dal 2007 (145), ma non per questo meno preoccupante; mentre nel 2013 è stato possibile osservare il valore più critico (310). In Campania si registra il valore più elevato per l’intero Mezzogiorno (259, quasi il doppio rispetto alla Sicilia), nonostante il lieve decremento registrato sul 2017 (-6,5%). Mentre Puglia (+28%, da 148 del 2017 a 189 del 2018), Abruzzo (+39,6%, da 50 a 70), Molise (+22,2%, da 7 a 9) e Basilicata (+13,9%, da 14 a 16) sono le regioni meridionali in cui è cresciuto rispetto al 2017 il numero di piccole e medie imprese che hanno scelto di liquidare volontariamente la propria attività.

Complessivamente, il numero di imprese in liquidazione nel Mezzogiorno è aumentato: infatti, rispetto alle 724 rilevate nel 2017, nel 2018 si sale a 761 (+5,1%), un incremento maggiore di quello osservato a livello nazionale (+3,4%, da 3.242 del 2017 a 3.352 del 2018). “Segnali ancora contenuti – si legge all’interno del rapporto Check-Up Mezzogiorno – ma che coincidono con la percezione di un diffuso peggioramento dello scenario economico, a livello internazionale, nazionale e locale”.

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