La Svizzera taglia i compensi dei manager - QdS

La Svizzera taglia i compensi dei manager

Carlo Alberto Tregua

La Svizzera taglia i compensi dei manager

mercoledì 06 Marzo 2013

Referendum con grande maggioranza (67%)
 

La Svizzera è forse il Paese a maggiore democrazia diretta d’Europa. Infatti ogni legge confederale, cantonale o comunale è sottoposta a referendum, il quale non prevede il quorum costitutivo, come accade in Italia, risultando valido qualunque sia il numero dei partecipanti.
Domenica 3 marzo, è stata sottoposta a referendum la legge riguardante il forte taglio dei compensi ai manager privati, fino ad oggi determinati dai consigli di amministrazione e non dalle assemblee dei soci. Tale taglio è stato approvato dal popolo referendario con due terzi a favore. Cosicché, da oggi in avanti, non si potranno più verificare gli esagerati arbitri che hanno portato a compensare manager che avevano proposto perdite rilevanti, come nel caso dell’Ubs.
Situazioni similari si sono verificate (e si verificano) anche in Italia, ove ad amministratori di banche sono state liquidate decine di milioni di euro, anche quando i conti economici degli istituti di credito andavano male.

Citiamo per tutti il caso di Matteo Arpe (31 milioni) e di Cesare Geronzi (16 mln). Ma va citato anche il caso del Monte dei Paschi quando, nonostante il buco dei derivati di 730 mln di euro, il presidente Mussari e gli altri consiglieri hanno avuto compensi milionari.
Gli abusi vanno cassati. Non si vede perché nel nostro Paese non sia stata presa un’iniziativa legislativa per provvedervi.
In Svizzera, non c’è il parallelo problema dei compensi ai manager pubblici, perché essi sono remunerati in quantità estremamente moderata e comunque in base agli obiettivi che debbono raggiungere.
Opposto scenario vi è in Italia ove molti dirigenti pubblici, diretti della Pubblica amministrazione, o indiretti perché amministrano partecipate e controllate, percepiscono compensi da capogiro. Per tutti, citiamo Antonio Mastrapasqua, presidente dell’Inps, al quale viene erogato un compenso di 1,2 mln l’anno.
Ciò accade nonostante la legge (214/11), che prevede un tetto massimo per tutti i dirigenti pubblici, compresi quelli di partecipate e controllate, non superiore a quello del primo presidente della Corte di Cassazione (294 mila euro).

 
Questa legge ha bisogno di provvedimenti attuativi, che il governo Monti non ha fatto, con la conseguenza che tali dirigenti continuano a percepire compensi stellari.
Contro questa omissione, conseguente a decenni di comportamenti irresponsabili da parte della classe politica che ha consentito l’iniquità, si è registrata l’ondata di protesta dei cittadini, che ha travolto i partiti tradizionali, i quali – lo ricordiamo per l’ennesima volta – alle Politiche di febbraio hanno riportato tutti insieme solo il 46% di consenso. L’altro 54% è andato per metà al partito degli astenuti o votanti scheda bianca e nulla, e per l’altra metà al Movimento Cinque Stelle.
L’ondata di protesta non si fermerà se immediatamente, dopo l’affidamento dell’incarico al primo ministro, le Camere non voteranno i drastici tagli che devono essere fatti sugli abusi che hanno martoriato le casse pubbliche in questi ultimi trent’anni (dall’avvento del pluricondannato Bettino Craxi).

Il Comico genovese continuerà a picconare, in modo ben più profondo di come fece a suo tempo Francesco Cossiga, detto appunto il Picconatore. Sia perché i tempi sono mutati, con l’irradiazione in vastissimi tessuti sociali delle difficoltà economiche e sia perché l’ex presidente della Repubblica, al di là di un’azione di disturbo, non riuscì a cambiare gli equilibri politici.
È facile prevedere, se si andrà a nuove elezioni, che il consenso per il M5S aumenterà ulteriormente perché i cittadini hanno capito che solo questo movimento potrà scardinare i meccanismi incrostati di gente che non vuole rinunziare ai privilegi.
In Svizzera, la democrazia è matura perché in settecentoventidue anni (la Confederazione è stata fondata nel 1291, con appena 4 cantoni contro gli attuali 26) ha sempre avuto una linea di fondo dalla quale non ha mai deviato: il popolo ha sempre l’ultima parola.
Grillo fa bene a porre la modifica dell’articolo 67 della Costituzione: il parlamentare non dovrà avere più la possibilità di cambiare casacca com’è avvenuto fino ad oggi vergognosamente, seppur legittimamente, come le prostitute.

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