Sostenere la ricerca per la cura del cancro - QdS

Sostenere la ricerca per la cura del cancro

Monica Basile

Sostenere la ricerca per la cura del cancro

sabato 10 Ottobre 2009

Forum con Niccolò Contucci, direttore generale dell’Associazione italiana ricerca sul cancro

Milano – Qual è la funzione dell’Airc e a chi vi rivolgete?   
“La missione dell’Associazione italiana ricerca sul cancro è ‘Sostenere con continuità, attraverso la raccolta fondi, il progresso della ricerca per la cura del cancro e diffondere una corretta informazione sui risultati ottenuti, sulla prevenzione e sulle prospettive terapeutiche’. Proprio di recente abbiamo avuto un buon esempio di come anche la ricerca accademica e non solo quella industriale ha prodotto un risultato che determinerà nei prossimi anni effetti terapeutici. Della ricerca di base solo il 7% va in fase clinica e di questo solo una parte arriva alla fase III e IV, che solo a livello industriale si affrontano. Un risultato della ricerca importante: un farmaco intelligente che identifica le cellule staminali del tumore che sono il vero problema della metastasi. Bisogna attaccare quelle e non tutto il tessuto.
“Non bisogna mai perdere di vista da una parte i beneficiari, il paziente e la sua famiglia,  ma dall’altra, seguire  i vari percorsi scientifici di tutte le linee di ricerca e analizzare quelle con maggiore probabilità di successo e decidere perché ha più senso investire in uno piuttosto che in un altro.
“Il nostro orientamento è come quello di una grande accademia americana, occorre comporre un piano strategico dell’investimento che deve avere una sua visione. L’industria si sa dove vuole andare perché non vuole speculare su nulla che non abbia altissima probabilità di successo, ed è coerente con il proprio obiettivo di profitto;  un’associazione come la nostra ha come obiettivo non la conoscenza ma la cura, un’università ha come obiettivo la crescita della conoscenza. Potrebbe sembrare che facciamo tutti lo stesso mestiere. In realtà non è così ed è mettendo insieme queste anime che si riesce a trovare un giusto equilibrio”.
Qual è il valore della professionalità nel no profit?
“Il no profit  è quell’ambito economico che viene chiamato terzo settore, rispetto al primo che è quello privato e al secondo che è quello pubblico. In quanto ambito economico deve rispettare anch’esso criteri di efficacia ed efficienza: 38 miliardi di euro, 750.000 addetti, rappresenta ben 3,5 punti di Pil.
“Chi è dentro a questo settore deve avere una consapevolezza del proprio ruolo e perseguire i propri obiettivi rispettando le regole dell’efficienza, se una cosa costa 1 non posso pagarla 2, e l’efficacia: se dichiaro di voler arrivare ad un obiettivo ci devo arrivare in tempi ragionevoli. In più il no profit deve imporsi la trasparenza, il privato può avere vincoli di privatezza, il no profit  no. Quindi non solo costare il giusto e fare quello che dico che farò, ma devo anche renderlo visibile.
“Per questo il valore della professionalità è importante, le competenze sono le stesse degli altri settori. La nostra storia di Italia a causa della presenza dello Stato Vaticano ha avuto un’impostazione forte in quanto tutti siamo stati educati ad un principio di carità in senso unilaterale: la carità è una virtù che richiede di essere anonimi. Invece la solidarietà non è necessariamente unilaterale, può essere sollecitata in quanto spesso può essere ignorata, il no profit rappresenta le istanze sociali che altrimenti sarebbero non conosciute.
“Il no profit rappresenta un obiettivo socialmente rilevante per la collettività anche se marginale dal punto di vista numerico e non conosciuto dalle masse. Un esempio per tutti: la glicogenosi colpisce 1 bambino ogni 100.000 ma né le industrie né i governi potranno mai dare priorità a questa malattia. Una volta che il pubblico riconosce questa funzionalità all’associazione, il terzo settore ha fatto il salto di qualità: è  la complementarietà che ha reso forte il no profit.
“La soggettività non è stata facilmente riconosciuta perché è stata da sempre vista da un lato come concorrente del parroco di zona e dall’altro come perseguitore di obiettivi che dovrebbero essere dello Stato ma che per forza di cose non sempre lo Stato può perseguire”.
 

 
Qual è l’importanza della struttura organizzativa?
“Il punto di partenza deve essere darsi un obiettivo raggiungibile, è un complesso processo organizzativo. Innanzitutto ci vuole un board, cioè un ordine di governo, composto da volontari che si impegnano con uno statuto al perseguimento di un obiettivo sociale, avendo anche altri obblighi lavorativi, e non si ripartiranno mai nulla. Sono volontari che non prendono nessuno stipendio, il denaro è un fattore di produzione, il concetto di utile è tradotto in utilità sociale. Sotto al board ci può stare un gruppo di volontari che si coordinano con le politiche del board .
“In Italia organizzazioni così ce ne sono 240.000. Molto volontariato in quanto il più delle volte il no profit ha scontato il debito morale di non dover essere pagato in quanto la religione cattolica ha impostato tutto su questo. Bisogna capire l’evoluzione storica di queste associazioni perché a differenza di quelle profit che falliscono, quelle no profit possono rimanere per sempre attive. Solo quelle che sono riuscite ad avere un nucleo di professionisti hanno creato una tecno-struttura che da garanzia di continuità nei risultati, non nell’esistere e basta. Solo così si è creato un valore importante che è il tempo dedicato dalle persone che ci lavorano e le competenze necessarie al perseguimento dell’obiettivo sociale. Questo ha  allontanato il vecchio concetto di debito morale per il quale non bisogna essere pagati”.

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