Dalla Sicilia quasi un quarto del petrolio prodotto in Italia - QdS

Dalla Sicilia quasi un quarto del petrolio prodotto in Italia

Rosario Battiato

Dalla Sicilia quasi un quarto del petrolio prodotto in Italia

venerdì 21 Luglio 2017

La fotografia della situazione nel report di Legambiente. Sfiorato il mln di tonnellate di greggio nel 2016. L’insostenibile leggerezza dell’oro nero nell’Isola, pesantemente ancorata al fossile

PALERMO – Quasi un quarto della produzione nazionale di petrolio, tra terra e mare, arriva dalla Sicilia, che si conferma, a distanza dall’inarrivabile Basilicata, una regione chiave nel settore energetico delle fonti fossili, anche se la sua produzione, sulla base degli attuali consumi, permetterebbe di coprire appena l’1,6% del fabbisogno nazionale.
 
Tutti i numeri si trovano nell’ultimo report di Legambiente, intitolato appunto “L’assalto all’oro nero in Sicilia” e presentato nei giorni scorsi nell’ambito della consueta campagna di Goletta Verde. Lo studio conferma una tendenza che avevamo già evidenziato nell’inchiesta di mercoledì (“La Sicilia è ancora all’età dei fossili preferisce il petrolio alle fonti pulite”), cioè l’insostenibile legame che ancora sussiste tra Isola e petrolio.
Una radiografia puntuale del sistema isolano di ricerca e produzione. L’associazione del Cigno ha presentato i numeri della corsa all’oro nero nell’Isola: nel 2016 poco meno di 1 milione di tonnellate di greggio estratte (868 mila l’estrazione nel 2015, dati Regione siciliana). Un dato che è destinato a crescere “sia a terra che a mare se proseguiranno nel loro iter amministrativo i 12 permessi di ricerca vigenti e le 16 istanze di permesso di ricerca attive (per un totale di circa 19.400 kmq) a cui vanno aggiunti anche i due permessi di prospezione a mare che andrebbero a coprire un’ulteriore area di 6.380 kmq”.
Andando in dettaglio, scopriamo che nel 2016 la produzione di greggio nel canale di Sicilia – 6 piattaforme e 35 pozzi, 3 concessioni (2 Eni e 1 Edison-Eni) – ha toccato quota 277.504 tonnellate (30 mila in più rispetto al 2015, 38% della produzione offshore nazionale), alle quali si aggiungono una concessione di coltivazione, un’istanza di concessione di coltivazione, 5 permessi di ricerca (2 della Northern Petroleum, 2 Eni Edison, 1 Audax Energy) e 6 istanze di permesso di ricerca (2 Eni Edison, 2 Northen Petroleum, 1 Audax Energy, 1 Nautical Petroleum-Transunion Italia) per un totale di 4.328 kmq. Non tutti i permessi sono attivi – sospesi da 7 anni i due della Northern di fronte la costa di Ragusa e Pachino e altri due dell’Eni Edison a largo delle coste di Licata – mentre lo stato delle istanze è abbastanza variegato: 5 in corso di decreto di Via (valutazione impatto ambientale) al ministero (costa Licata e Agrigento, largo di Gela, a largo tra Marsala e Mazara del Vallo), 1 in corso la conferenza dei servizi presso il ministero (tratto di mare a largo di Pozzallo).
La porzione a terra riguarda 679 mila tonnellate (18% del totale nazionale) e vede 5 concessioni di coltivazioni produttive per 113 pozzi. Quattro appartengono a Eni Mediterranea (Gela, Giaurone, Ragusa, S. Anna) e una alla società Irminio che possiede l’omonima concessione in provincia di Ragusa e compartecipa alla S. Anna col cane a sei zampe. Oltre al greggio (nel primo quadrimestre del 2017 estratte 186 mila tonnellate), ci sono anche 12 concessioni di gas per un totale, nel 2016, di 213 milioni di smc (standard metri cubi). In attesa ci sono altre 3 istanze di concessione di coltivazione presentate alla Regione siciliana di cui 2 di Eni e una della Petrex Italia. A questo blocco, si aggiungono 7 permessi di ricerca sulla terraferma (4.500 kmq) e 10 istanze di permesso di ricerca (4.200 kmq) che si trovano nelle varie fasi dell’iter autorizzativo.
In questo quadro color petrolio, Legambiente ha voluto sottolineare l’atteggiamento del governo che, con un decreto ministeriale, ha permesso una “deroga al divieto di nuovi pozzi e nuove piattaforme entro le 12 miglia”.
Si tratta di un provvedimento del Mise, pubblicato sulla Guri del 3 aprile, che autorizza le società già in possesso di concessioni di modificare il proprio programma di sviluppo originario per recuperare altre riserve. Il tema delle perforazioni entro le 12 miglia aveva riguardato il referendum abrogativo dell’aprile 2016, con l’85,5% dei votanti (quorum non raggiunto, 31,9% degli elettori) che si era espresso per l’abrogazione della norma che estende la durata delle concessioni per estrarre idrocarburi in zone di mare fino all’esaurimento dei giacimenti.

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