Non serve l’eroe, ma chi fa il proprio dovere - QdS

Non serve l’eroe, ma chi fa il proprio dovere

Carlo Alberto Tregua

Non serve l’eroe, ma chi fa il proprio dovere

giovedì 16 Settembre 2010
Se tutti noi facessimo il nostro dovere, lavorando con amore e passione per raggiungere gli obiettivi, avremmo realizzato il più semplice e straordinario programma: l’ordinaria amministrazione.
Se tutti noi avessimo una disponibilità a comprendere i problemi degli altri, dando anzichè pretendere, ci saremmo comportati in maniera normale. La normalità è il più semplice comportamento che noi possiamo tenere.
Da quanto precede, si evince che non c’è bisogno di eroi per fare funzionare una Comunità, ma solo dell’osservanza costante e continua di principi etici e di valori morali che debbono informare i nostri comportamenti senza discontinuità.
L’eroe o il genio serve per una volta. Alexander Graham Bell,  Guglielmo Marconi, Thomas Alva Edison, Albert Einstein, Alexander Fleming sono serviti per una volta: dare all’umanità un’invenzione che l’ha fatta progredire di secoli, di volta in volta. Poi, al suo progresso, hanno contribuito in modo determinante i milioni di ricercatori che con costanza e tenacia hanno sviluppato le grandi scoperte.

L’umanità progredisce più per l’ordinaria amministrazione, fatta con intelligenza ed abnegazione, che non con i colpi di genio, seppure indispensabili.
In Utòpia, Thomas Moore (1478 – 1535) immagina una Comunità senza problemi che vive e progredisce solo facendo l’ordinaria amministrazione. In quella Comunità non esistono ladri e approfittatori, non ci sono geni ed eroi, ma persone che non cercano di arricchirsi a spese di altri non esistendo, nell’immaginaria società descritta dall’autore, alcuna proprietà. Tutti attingono al fondo comune per i loro bisogni e tutti danno al fondo comune in base alle proprie possibilità.
È difficile riportare tale situazione alla nostra Comunità perchè noi siamo pieni di difetti e tendenzialmente peccatori, non tanto nel senso religioso della parola quanto in quello di violatori delle regole etiche. Proprio per questo anche la giustizia umana è fallace. Molto spesso colpisce gli innocenti e non punisce i colpevoli: un comportamento tipicamente umano, scusabile solo se fatto in buonafede.

 
Citiamo alcuni casi di pessimi cittadini: chi sfrutta i lavoratori, non pagandoli adeguatamente ed evadendo i relativi contributi previdenziali; chi evade le imposte, violando i principi di equità e concorrenza. Di equità, perchè le imposte che non sono pagate sono coperte da altri; di concorrenza perchè ci si avvantaggia indebitamente rispetto ad altri; la malavita organizzata e la deliquenza, che danneggiano giovani e cittadini con la droga; i Paesi deboli e non sviluppati con il traffico delle armi. Sono tutti elementi turbativi che infrangono l’ordinaria amministrazione fatta di atti positivi, mentre questi sono atti negativi che mangiano il tessuto economico e danneggiano fortemente quello sociale.
L’incapacità delle istituzioni (statale, regionali e locali) di somministrare adeguati servizi alla popolazione più debole è una palese violazione dell’ordinaria amministrazione.

Ma anche chi si finge debole e o bisognoso è un traditore della comunità e un violatore dell’ordinaria  amministrazione perchè succhia servizi indebitamente, sottraendoli a chi ne ha bisogno.
Vi è qualche ottimista che spera di vivere fino a centoventi anni e confida nell’eroe, capace di inventare la pillola della giovinezza: beninteso, una pillola per i ricchi perchè il servizio sanitario nazionale non la distribuirà mai gratis. Non sappiamo se si tratti di un’utopia, di una speranza o di una follia vera, non come quella di Erasmo da Rotterdam.
Ci soccorre Jonathan Swift (1667-1745), l’autore di Gulliver il quale, nella terza parte del suo viaggio, incontra un territorio abitato da persone vecchissime e cadenti, che si trascinano. Un mondo che non vorremmo mai vedere perchè non fisiologico e perché dopo la vita c’è la morte. Proprio pensando al momento in cui lo spirito abbandonerà il corpo si deve concentrare la nostra capacità di far sì che ognuno di noi faccia solo e semplicemente il proprio dovere, completamente, senza controindicazioni e senza attendersi onorificenze.

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