Comuni premiati per sprecare - QdS

Comuni premiati per sprecare

Francesco Torre

Comuni premiati per sprecare

mercoledì 15 Dicembre 2010

Enti locali. Risorse attribuite senza criteri di merito.
Finanziamenti. I contributi elargiti dai governi nazionale e regionale continuano a salvare i sindaci dal dissesto economico. Ma i primi cittadini non investono e chiedono sempre di più.
Conti bocciati. La magistratura contabile ha puntato il dito su alcune ottimistiche previsioni dei bilanci preventivi, chiedendo alle amministrazioni di adottare “necessarie misure correttive”.

PALERMO – Ben 18 milioni di euro dall’assessorato regionale alle Autonomie locali come quota di premialità da spalmare a pioggia su tutti i Comuni in proporzione al raggiungimento di alcuni obiettivi ritenuti strategici sul piano finanziario. Peccato che tra questi vi siano proprio quei Comuni che, come abbiamo dimostrato in precedenti inchieste, non brillano certo per efficienza dei servizi ai cittadini: ricevono da Stato e Regione più di quanto viene dato ai centri di pari dimensioni del Nord Italia, ma utilizzano queste somme solo per mantenere gli apparati e tappare continuamente i buchi nei bilanci, senza effettuare necessari investimenti. Un altro paradosso, insomma, nella Pa siciliana: anche gli impreparati qui, vengono promossi. A pieni voti.
 
Sei stato bocciato? Ecco un bel premio per te! Come abbiamo visto nelle precedenti inchieste sui trasferimenti pubblici ai Comuni siciliani, Regione e Stato sono una mamma e una nonna estremamente generose nei confronti dei loro figli e nipoti isolani, talmente generose che se la Corte dei Conti, passando al setaccio i rendiconti 2010 ed i bilanci preventivi 2011 degli enti locali nostrani, finisce per richiamare pubblicamente le amministrazioni dei tre comuni più grandi (Palermo, Catania e Messina) richiedendo urgentemente delle misure finanziarie correttive, l’assessorato regionale per le Autonomie locali e la Funzione pubblica cosa fa? Mette in pagamento tramite un decreto un contributo di 18 milioni di euro come quota di premialità da spalmare a pioggia su tutti i comuni in proporzione al raggiungimento di alcuni obiettivi ritenuti strategici sul piano finanziario. E tra questi Comuni, ovviamente, vi sono anche quei tre che la Corte dei Conti ha bocciato su tutta la linea. Insomma, il paradosso è servito.
I sindaci piangono ma non tagliano. 3 milioni 50 mila euro. Questa la spesa globale dei nove comuni siciliani secondo quanto dichiarato nei rendiconti 2009. Più di un terzo di questi soldi vengono dai trasferimenti statali e regionali i quali, al contrario di quanto lamentato dai sindaci, negli ultimi anni sono andati ad aumentare in modo anche considerevole.  Basti pensare che nel 2007 il Comune di Palermo a questa voce registrava la cifra di 490 mln €, nel giro di due anni salita poi a 560 mln.  Totalmente incapaci di recuperare risorse in autonomia, i Comuni siciliani si sostengono così quasi esclusivamente grazie ai trasferimenti, che comunque non bastano a coprire tutte le spese della macchina burocratica e a garantire i servizi minimi al cittadino. Con quali conseguenze? Tasse fino al limite consentito dalle leggi, ricorso al prestito, aumento del debito.
Sindrome di Calimero. Ovvero: come sentirsi piccoli e neri quando invece si percepiscono trasferimenti da record. I nove comuni capoluogo siciliani introitano annualmente da Stato e Regione 1 miliardo 150 milioni di euro, 300 milioni in più rispetto alle cosiddette “gemelle del Nord”. Ci si chiede legittimamente: se i Comuni siciliani ricevono 100 e sono perennemente costretti a ricorrere ai prestiti per garantire al cittadino i servizi essenziali, i comuni nel resto d’Italia che ricevono 60 come faranno mai ad avere bilanci in ordine, a garantire servizi che in Sicilia sono utopistici, ad arrivare primi nelle classifiche sulla qualità della vita, addirittura ad investire dieci volte quanto investono i nostri comuni in opere pubbliche e infrastrutture? Perché sanno amministrare, cosa che i nostri sindaci in linea generale – salvo qualche rara eccezione – ignorano del tutto. Mentre invece si rivelano maestri di propaganda, piagnistei e falsità. Il sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca, per esempio, in replica ad una nostra inchiesta, ha dichiarato che i 47 milioni di euro in più percepiti da Stato e Regione rispetto alla “gemella” Verona sono giustificati da una sostanziale differenza tra i due comuni nel numero dei dipendenti. In pratica, secondo Buzzanca, Messina avrebbe bisogno di maggiori risorse perché ha 2.300 dipendenti, mentre Verona non supera le 600 unità. Ma basta dare un’occhiata al sito internet del Comune di Verona e vedere la tabella dei tassi di assenza del personale del Comune aggiornati al mese di ottobre 2010 per apprendere che il totale complessivo dei dipendenti scaligeri sia di 2.463 unità. Insomma, come dimostra su scala planetaria la vicenda Wikileaks, l’era dei giochetti sottobanco, della propaganda, dei proclami e degli inciuci sembra essere fortemente in crisi quando parole e numeri diventano di libero accesso (è un caso che al Comune di Messina non si pubblichi il bilancio sul sito da anni?) e, dunque, inconfutabili.

La bocciatura della Corte dei Conti.
Il giudizio che avevamo espresso su carta nelle nostre inchieste è stato così totalmente confermato dalla Corte dei Conti. Debiti contratti in modo folle, pericolosi buchi economici delle società partecipate, sprechi nel settore delle risorse umane e, soprattutto, nessuna strategia di rientro dei capitali messa in campo. La sezione di controllo della Corte dei Conti, guidata da Rita Arrigoni, ha infatti puntato il dito su alcune ottimistiche previsioni contenute nei preventivi 2011 dei tre maggiori comuni siciliani che molto difficilmente troveranno riscontro nei fatti, e difatti annualmente vengono disattese. Trattasi di raggiri contabili ormai non più praticabili. Meglio rimboccarsi le maniche, suggerisce la Corte dei Conti, e adottare le «necessarie misure correttive».

I premi della Chinnici.
Una volta, quando si presentava un pagellino pieno di due e tre, a casa si rischiava di prendere scappellotti. Adesso, però, i tempi sono cambiati. E così può anche sembrare normale che l’assessore Caterina Chinnici distribuisca 18 milioni di euro e passa ai Comuni in base ad un principio di premialità che però, di fatto, finisce per premiare tutti, anche i somari. Sia ben chiaro, non si tratta di fondi aggiuntivi ma di una parte del Fondo per le autonomie locali del 2009, già previsto. E l’incentivo al raggiungimento di determinati obiettivi economici e sociali è una pratica condivisibile, soprattutto se applicata su quote più significative che tramutino una scelta di impatto simbolico e mediatico in una svolta concreta al fine di una gestione più pragmatica verso il mantenimento degli impegni finanziari.
«Sono stati premiati, in particolare – ha spiegato l’assessore – quegli enti locali che, in base a sette parametri di riferimento, hanno dimostrato una maggiore propensione per le capacità di riscossione, gli investimenti, lo sforzo tariffario e fiscali, il programma di riscossione dei tributi». Giusto. Ma come è possibile che questi premi non escludano quei comuni che, come rivelato dalla Corte dei Conti, hanno le finanze completamente in disordine, annunciano entrate che non potranno mai riscuotere e sprecano centinaia di migliaia di euro in consulenze inutili? Non c’è debito né falla contabile che tenga: per Mamma Regione evidentemente i Figli Comuni sono tutti “piezze e core”.
 

 
I sette parametri dell’assessore Caterina Chinnici e i veri servizi che mancano ai cittadini siciliani
 
PALERMO – Catania e Palermo virtuosi? Per la Regione questi due Comuni, i cui bilanci corrono costantemente sull’orlo del crack oramai da almeno un paio di anni, vanno premiati. Chi più, chi meno.
Sembra paradossale ma non è così: infatti anche il Governo nazionale dalla manovra finanziaria del 2008 premia proprio Palermo e Catania per il suo virtuosismo. Ma ci si chiede in che modo ci possano riuscire dal momento che le casse dei due enti sono in perenne rosso cronico. Provate a chiedere ai sindaci del Nord: loro si sentono “scippati” proprio dalla Sicilia. “Noi virtuosi come le due città siciliane? – dice il sindaco di Treviso Gian Paolo Gobbo – è una situazione kafkiana, da non crederci”.
Intanto la Regione Sicilia, rifacendosi proprio a questa “impalcatura statistica”, ha ancora una volta dato ragione a queste due città siciliane così come a tante altre realtà dell’Isola. Ha infatti elargito ben 18 milioni di euro tra i Comuni della Sicilia come quota di premialità del Fondo regionale per le autonomie locali del 2009.
Per i sindaci del Nord gli enti locali siciliani fanno i furbi: grazie a queste furbizie contabili legate alle modalità di introito dei trasferimenti statali compensativi della minor Ici prima casa, fra i “virtuosi” sono risultati anche i Comuni di Palermo e Catania che, sulla base di altri parametri, erano prossimi al dissesto finanziario.
Cosa sarebbero queste furbizie? I sindaci del Nord dicono che in Sicilia si pagano le imprese fornitrici con enorme ritardo e così ci si aiuta a nascondere i reali debiti.
Ne è convinto persino il capogruppo consiliare del Pd di Palermo, Davide Faraone: “Il governo nazionale guarda solo i conti che le amministrazioni gli presentano, senza alcun controllo. Non sono considerati i servizi offerti ai cittadini. E non sono calcolati i soldi persi dalle aziende controllate. Così le amministrazioni incassano, senza migliorare di un millimetro le loro virtù”.
L’assessore regionale agli Enti locali, Caterina Chinnici, è categorica: per lei le premialità concesse dalla Regione sono regolari: “Sono stati premiati, in particolare – spiega l’assessore – quegli enti locali che, in base a sette parametri di riferimento, hanno dimostrato una maggiore propensione per la capacità di riscossione, gli investimenti, lo sforzo tariffario e fiscale, il programma di riscossione dei tributi. E poi altre premialità hanno riguardato quei Comuni che hanno completato le pratiche di condono edilizio entro lo scorso 31 dicembre e chi ha avuto buoni riscontri sul piano delle presenze turistiche”.

Michele Giuliano

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