L’awake surgery è una novità per il nostro Paese, ma all’estero è un tipo di chirurgia già abbondantemente utilizzata; dove e quando ha appreso questa tecnica d’intervento?
“Sono stato molte volte all’estero e ho lavorato parecchi anni in Inghilterra, dove ho conseguito una Fellowship in chirurgia spinale e nel 2008 una in neuro-oncologia clinica; ed è proprio nel corso di quell’anno che ho appreso, dal Prof. Mitchel Berger, Direttore del Dipartimento di neurochirurgia dell’Università di San Francisco in California e noto esperto internazionale della metodica, i principi e la tecnica della chirurgia a paziente completamente sveglio”.
“È fondamentale scegliere il tipo di paziente su cui eseguirla, non solo in base alla patologia, ma anche testando le sue capacità di controllo dell’ansia e paura del dolore. L’intervento a paziente cosciente si è resa necessaria in questo caso, poiché la malformazione vascolare, chiamata angioma cavernoso, si trovava in una zona profonda del cervello, a sinistra, attraverso la quale transitano le fibre nervose deputate al controllo dei movimenti del lato destro del corpo e della faccia. Pertanto una lesione di quest’area avrebbe potuto arrecare alla paziente severi deficit motori e dell’articolazione della parola. La possibilità di un monitoraggio diretto delle funzioni nervose superiori ha consentito, diversamente, l’asportazione completa della malformazione senza conseguenze post-operatorie. La riduzione del rischio di deficit neurologici post-operatori è infatti il principale target di questo tipo di chirurgia; il perseguimento di tale obiettivo diventa imperativo per pazienti giovani, quindi con lunga aspettativa di vita, e con lesioni di natura benigna, la cui asportazione completa equivale alla guarigione, come per l’appunto nel caso della paziente operata presso il Policlinico Universitario di Catania”.
“La valutazione neuropsicologica è stata effettuata prima dell’intervento chirurgico e il supporto psicologico intraoperatorio è stato fornito da personale medico specificamente preparato per questo tipo di procedura. In particolare, è fondamentale un rapporto diretto e costante tra il paziente, l’anestesista e, nel nostro caso, un neurochirurgo non direttamente impegnato nell’effettuazione dell’intervento chirurgico ma perfettamente a conoscenza delle condizioni psicologiche della paziente. A questo, poi, si aggiunge il contatto verbale costante tra il chirurgo e il paziente durante l’intervento e la collaborazione del personale infermieristico nel far sentire a proprio agio il paziente e nell’assicurarsi che quest’ultimo rimanga comodo, nonostante la posizione obbligata, sul letto operatorio. In conclusione, come già detto sopra, è un lavoro di equipe”.
È richiesta una certa collaborazione del paziente attraverso attività mirate alla stimolazione cerebrale o è richiesta una semplice partecipazione spontanea?
“No. Non è sufficiente soltanto la partecipazione spontanea del paziente, ma è al contrario indispensabile che lo stesso esegua una batteria di test già a lui noti perché ripetutamente effettuati anche prima dell’intervento chirurgico, come riconoscere e denominare oggetti visualizzati su un computer portatile, riconoscere i colori mostrati al computer, contare, fare semplici operazioni matematiche, muovere gli arti sia spontaneamente che su richiesta del chirurgo. Il paziente, quindi, esegue tali test da cosciente mentre il chirurgo stimola elettricamente il suo cervello per verificare se le aree che si accinge a operare sono eloquenti, e quindi da “risparmiare”, o possono essere tranquillamente attraversate chirurgicamente e/o asportate”.
“Per ottenere un approccio diretto, sicuro e poco invasivo alla lesione incastrata tra le fibre nervose dell’area motoria del cervello, è stata impiegata una nuova apparecchiatura. Tale strumentazione, attualmente in uso in soli 10 centri di neurochirurgia in Italia, consente, in aggiunta al neuronavigatore, la localizzazione intra-operatoria dei fasci di fibre nervose del cervello che trasmettono i comandi per l’espletamento delle funzioni più importanti e lo studio dei rapporti tra le stesse fibre nervose “eloquenti” e il tumore o la malformazione vascolare. Infine, come di consueto dal 2009 presso la Clinica Neurochirurgica del Policlinico, anche in questo caso è stato utilizzato il monitoraggio neurofisiologico intraoperatorio mediante la stimolazione elettrica della corteccia cerebrale e delle fibre nervose della sostanza bianca sottocorticale. L’applicazione integrata di questi presidi tecnologici d’avanguardia, abbinata all’esperienza nel lavoro di equipe dei medici coinvolti, ha consentito il buon esito della procedura, che è stata portata a termine in due ore”.