“Enel ha creato Enel Green Power a dicembre 2008 raggruppando in questa Società la diversificata produzione di energie rinnovabili da tutte le fonti disponibili. Nello stesso anno abbiamo pensato di quotare tale Società nel mercato, come poi è accaduto nell’ottobre 2010. Il piano di crescita di Enel Green Power è stato sin dall’inizio originale, si tratta infatti di un piano autofinanziato: nasciamo con flusso di cassa molto forte e cresciamo in base a quanto i nostri flussi di cassa ci permettono di crescere. Ad esempio nel periodo dei 5 anni di piano industriale 2012-2016, generiamo 8,4 miliardi di euro di flussi di cassa, reinvestiamo 6,1 miliardi di euro in crescita, distribuiamo dividendi per 1,3 miliardi, mentre altri 1,3 miliardi, li affidiamo alle banche che finanziano il transitorio. In tal modo il rapporto tra debito e margine operativo lordo che noi generiamo va a scendere, perché generiamo più cassa di quando cominciammo ad investire.
La decisione di autofinanziarci è stata dettata dalla condizione di crisi molto grave già nel 2010. Non era un momento buono per indebitarsi per crescere. Oggi continuiamo a seguire questa strada in maniera puntuale, continuando ad investire mediamente circa 1,3 – 1,4 miliardi di euro l’anno in crescita e, di conseguenza, in megawatt in più. Siamo partiti da 5.600 megawatt di base produttiva; adesso ne abbiamo poco meno di 8.000 megawatt, con un aumento medio di circa 900 megawatt annui”.
Si può crescere in due dimensioni: tecnologicamente, diversificando le modalità di produzione energetica; e diversificando i luoghi di produzione, puntando non solo sul mercato italiano ma anche sui Paesi in crescita. Già nel 2010 era chiaro infatti che in Europa in generale, e in Italia e Spagna in particolare, vi era, e continua ad esservi, una scarsa crescita della domanda di energia elettrica.
In Europa la crescita avviene a scapito di altre capacità preesistenti, ma in tante parti del mondo la crescita delle rinnovabili avviene colmando un buco, la domanda di energia infatti non è soddisfatta e i Governi si trovano in difficoltà. Noi abbiamo puntato sui Paesi in cui c’era una domanda forte”.
“Gli RSU no, perché non sono considerati rinnovabili ai sensi della legge. La biomassa invece sì”.
“La biomassa è un contenitore colossale che comprende anche il biogas o gli scarti delle lavorazioni agricole. È importante però che la produzione di biomassa sfrutti il ciclo agricolo preesistente senza alterare gli equilibri naturali. Negli anni passati troviamo invece un esempio negativo di produzione di biomassa consistente nell’utilizzo massiccio di piantagioni di jatropha, una pianta tipica dei climi aridi sub sahariani, da cui si estrae un olio che può essere utilizzato come biomassa. Tra il 2005 e 2010 abbiamo assistito a una proliferazione di questa pianta anche in Italia a causa di una politica di incentivazione assolutamente sbagliata”.
“In Italia quest’anno c’è un progetto di grandi investimenti in impianti di taglia media e molto piccola, sul quale stiamo lavorando in collaborazione con le due grandi associazioni in ambito agricolo: Coldiretti e Confagricoltura”.
“È un’idea che si sviluppa sostanzialmente su due filoni. Il primo riguarda la barbabietola da zucchero. L’Italia, così come altri Paesi europei, ha deciso di optare per la chiusura della filiera della barbabietola e di riconvertire, attraverso l’utilizzo dei fondi europei destinati proprio alla riconversione agricola, centinaia di ettari prima destinati alla produzione di questa pianta. In questi terreni verranno coltivati pioppi, alberi che crescono velocemente e hanno una buona resa, che verranno quindi utilizzati come biomassa.
Il secondo filone riguarda invece l’utilizzo degli scarti di lavorazione del ciclo agricolo (la sansa dell’olio, la paglia del grano) i boschi cedui. La nostra idea non è quella di costruire grandi centrali e far circolare la biomassa, ma quella di costruire tanti piccoli impianti, sotto il megawatt, a “filiera corta”, ossia da collocare nei punti in cui la biomassa viene reperita. Tra impianto e indotto ogni centro darà lavoro a circa venti persone ma, parliamo di centinaia di impianti distribuiti sul territorio”.
“Costruire impianti di questo tipo oggi costa circa due, tremila euro a KW, quindi, per un impianto di un megawatt siamo sui 3 milioni di euro circa. Credo sia un’iniziativa molto interessante che in Sicilia trova molta presa per due motivi. Primo perché, trattandosi di piccole strutture, si semplifica l’ottenimento dei permessi che, in questa terra forse più che in altre, sono difficili da ottenere. Secondo perché la carenza d’infrastrutture logistiche perde la sua criticità essendo impianti disseminati con una frequenza di circa uno ogni 50 Km. Proprio in Sicilia quindi vedrete esempi eclatanti di questo approccio”.
“Non è fondamentale un accordo con la Regione, perché per questo tipo d’impianti i permessi si ottengono a livello provinciale. Il problema semmai è l’autorizzazione locale. Ma la vera difficoltà è riuscire a trovare aree che garantiscano la costante produzione di biomassa. Ecco perché più che accordo con le Regioni abbiamo puntato su un accordo quadro a livello agricolo, con Confagricoltura e Coldiretti a livello nazionale e con i singoli produttori agricoli a livello locale”.
“La tecnologia e l’investimento. Noi realizziamo l’impianto, e lo gestiamo. Ci sono poi casi in cui l’imprenditore agricolo vuole anche avere una quota di partecipazione nell’impianto”.
“C’è una tariffazione che premia il kWh prodotto attraverso la biomassa”.
“In Sicilia abbiamo investito nella fabbrica di pannelli solari di Catania, la 3SUN. Una realtà molto interessante che, per il 2012 ha prodotto bene e ha anche venduto. Sempre a Catania abbiamo inoltre un programma di ricerca per il quale l’amministrazione regionale ci ha più volte detto che ci avrebbe messo i fondi ma, fino ad ora, non abbiamo visto nulla. Si tratta di un programma interessante poiché dalla ricerca c’è sempre una ricaduta positiva. In questo modo si crea non solo produzione e lavoro, ma anche e soprattutto know-how”.
“Sostanzialmente non vi è molta differenza, il progetto della biomassa per esempio non riguarda solo la Sicilia ma l’intero territorio nazionale. È chiaro che il potenziale siciliano, nel solare ma anche nella biomassa, non si trova altrove”.
“Stiamo lavorando da tanto tempo su questo fronte, in compartecipazione con le imprese locali. La nostra crescita all’estero d’altronde spesso transita dal portare le aziende italiane laddove da sole non riuscirebbero ad arrivare. Con noi lavorano per esempio aziende italiane in Sud America. Anche la 3sun è un esempio di questo tipo, poiché dei circa 170 megawatt che ha prodotto nel 2012, solo 20 megawatt sono stati piazzati in Italia, il resto è stato destinato all’esportazione (nell’area EMEA)”.
“A marzo presentiamo un nuovo piano quinquennale 2013-2017 che sarà il risultato dell’evoluzione dei piani precedenti. Ma non posso anticipare nulla in questo momento”.