Ecco un libro, a ricordare che certe fatiche si ripropongono ciclicamente uguali a sé stesse
di Marina Scalia
Docente di Filosofia e Storia
Settembre, lunedì dell’anno. E persino in un momento storico in cui ogni ripresa ha un che di inedito rispetto alla volta precedente, ecco un libro, a ricordare che certe fatiche si ripropongono ciclicamente uguali a sé stesse. Si tratta di “Nessuna scuola mi consola” di Chiara Valerio, ripubblicato da Einaudi con una nuova postfazione dell’autrice nel 2021. Dodici anni dopo la prima edizione, dunque. Eppure tutto il racconto ci sembra pienamente ‘classico’.
Protagonista è Alessandra Faggi, docente precaria di matematica, che si muove sullo sfondo chiaroscuro fatto di menti fresche da una parte, burocrazia stantia dall’altra. È con questo secondo lato del quadro che Alessandra non riesce a far pace. La sua vita a scuola è fatta di piccoli atti rivoluzionari: contro la prassi dei verbali letti da nessuno, in sordina scrive delle proprie avventure da adolescente; per rifuggire dalla rigidità dei programmi scolastici e delle linee guida, le sue lezioni sono sempre inframezzate da momenti leggeri e profani. E non mancano neanche degli spaccati sul Mondo dei pari. Conducendoci in un autentico safari tra un collegio docenti e un caffè nei corridoi, i colleghi – pur essendo tutti ricompresi sotto l’unica categoria di ‘docente’ – compongono un mondo vario e differenziato al pari di quello che vive fuori dall’aula. Si incontra, così, il collega più avanti negli anni e disilluso, così come qualcun altro che conosce ancora la complicità ed è disposto ad impegnarsi, insieme ad Alessandra, per ridisegnare la scuola che vorrebbe.
Un libro, dunque, “alla Attimo fuggente”? In qualche misura, sì. Come tante altre dimensioni romanzate, si fa fatica a immaginare il dissacratorio, quando è dichiaratamente tale, al di fuori dello spazio protetto del volumetto Einaudi che si stringe sottobraccio. Se nel corso della lettura si è portati a parteggiare per la Professoressa Faggi, si è anche consapevoli – più che in altri libri – che nella vita reale c’è uno squilibrio molto più forte tra chi simpatizza per il sabotaggio dei verbali e chi lo denuncia al Preside, tutto a vantaggio dei secondi. Bisogna tener presente, per apprezzarlo, che “Nessuna scuola mi consola” è esagerato in tutto, e lo è non incidentalmente: sono le gigantografie attraverso cui sono rappresentate le deformazioni della scuola pubblica e della burocrazia, o la rappresentazione di quel collega decisamente troppo antipatico per essere reale, a farci sorridere.
Grazie all’ironia di cui è imbevuta ogni frase del libro, ci scopriamo più pronti a ricominciare: è vero, sebbene il linguaggio sia oggi più smart – tra la Dad e le riunioni svolte su Google Meet piuttosto che su Teams – i problemi sono sempre più o meno gli stessi, e non abbiamo sentito di nessuna Alessandra Faggi che nella vita reale sia stata capace di far bastare i suoi piccoli atti rivoluzionari. Ma nel corso della lettura diventiamo sempre più bravi a riderci sopra, più disponibili a svestirci di ogni sguardo critico-conservatore. E questo è un valore, perché “pensare alla scuola – essendo stata la scuola italiana ‘liquida’ prima ancora che Bauman strutturasse la definizione – è complicato e faticoso, ma per restare nel tempo, nel presente, senza dimenticare il passato e riservandosi la possibilità di immaginare il futuro, è il primo pensiero che vale la pena fare”.