Auguri Monica Vitti, i 90 anni dell'attrice icona del cinema italiano - QdS

Auguri Monica Vitti, i 90 anni dell’attrice icona del cinema italiano

Auguri Monica Vitti, i 90 anni dell’attrice icona del cinema italiano

mercoledì 03 Novembre 2021

Da musa di Antonioni a 'Ninì Tirabusciò', ripercorriamola carriera dell'attrice fino all'ultima apparizione pubblica nel giorno dei suoi 90 anni

Consegnata alla storia del cinema come musa dei drammi borghesi di Michelangelo Antonioni, Monica Vitti, che oggi compie 90 anni, ha rappresentato nei primi anni Sessanta la risposta italiana alle bellezze antiretoriche e spigliate della Nouvelle vague francese. Dall’eroina incapace di comunicare dei film di Antonioni, rotto il sodalizio con il regista ferrarese a cui fu anche legata sentimentalmente, la Vitti ha ritrovato l’originaria verve comica grazie a una lunga serie di brillanti commedie che hanno segnato il suo successo popolare.

La carriera e i film

Premiata più volte nel corso della sua carriera, ha ricevuto sei David di Donatello, tre Nastri d’argento, un Orso d’argento nel 1984 al Festival di Berlino per “Flirt” (1983) di Roberto Russo, e un Leone d’oro alla carriera nel 1995 alla Mostra internazionale del cinema di Venezia. E l’ultima edizione della Festa di Roma l’ha omaggiata in occasione della presentazione del doc ‘Vitti d’arte, Vitti d’amore’ di Fabrizio Corallo, andato in onda su Rai3 in cui vengono ripercorse la vita, la carriera e i sentimenti dell’attrice romana attraverso materiali d’archivio e le voci di personaggi come Carlo Verdone, Paola Cortellesi, Enrico Lucherini.

Nata a Roma il 3 novembre 1931 come Maria Luisa Ceciarelli, trascorsa l’infanzia a Messina, ritorna con la famiglia a Roma dove frequentò i corsi del Pittman’s College e poi l’Accademia d’arte drammatica, diplomandosi nel 1953. Nello stesso anno debutta in teatro.

Al cinema Monica Vitti si avvicina come doppiatrice, nonostante la caratteristica voce roca. Come attrice si vide invece scartata in molti provini, a causa della lontananza dallo stereotipo delle ‘maggiorate fisiche’, allora imperante. Dopo una piccola parte in “Sulla spiaggia” (1954), episodio di “Ridere! Ridere! Ridere!” di Edoardo Anton, ne ottiene una di rilievo in “Una pelliccia di visone” (1956) di Glauco Pellegrini. A dare una svolta alla sua carriera è l’incontro con Antonioni (1957), che in teatro la fa diventare primattrice della Compagnia del Nuovo da lui diretta, mentre nel cinema, dopo averle affidato il doppiaggio di Dorian Gray in ‘Il grido’ (1957), costruisce su misura per lei “L’avventura” (1960), in cui la Vitti, al centro di un sottile gioco di misteri e di introspezione psicologica, fornisce una prova superba, fatta di silenzi e sguardi perduti.

Diviene quindi per Antonioni la musa del cinema dell’incomunicabilità, interpretando capolavori quali “La notte” (1961), per il quale ottiene nel 1962 un Nastro d’argento come miglior attrice non protagonista, “L’eclisse” (1962) e soprattutto “Deserto rosso” (1964), film-manifesto dell’esistenzialismo antonioniano.

Verso la fine del sodalizio artistico e sentimentale con il regista, ritorna alla commedia (ottenendo il suo primo David) con “La lepre e la tartaruga” (1962) di Alessandro Blasetti, episodio del film collettivo “Le quattro verità”. Grande rilievo ha nel 1964 il suo ritorno al teatro diretta da Franco Zeffirelli in “Dopo la caduta”, il dramma di Arthur Miller sulla vita di Marilyn Monroe, spettacolo ripreso da una troupe guidata da Antonioni.

Nel cinema la Vitti però si indirizza definitivamente verso il genere leggero: “La sospirosa” (1964) e “Fata Sabina” (1966) di Luciano Salce, episodi dei film collettivi “Alta infedeltà” e “Le fate”, “Il disco volante” (1964) di Tinto Brass, “Fai in fretta ad uccidermi… ho freddo!” di Francesco Maselli, “Ti ho sposato per allegria” di Salce, “La cintura di castità” di Pasquale Festa Campanile, tutti del 1967.

“La cintura di castità” segna l’inizio del suo sodalizio anche sentimentale con Carlo Di Palma, che avrebbe fotografato tutti i suoi film fino alla metà degli anni Settanta.

Il grande talento comico della Vitti, riconosciuto dal pubblico e dalla critica, risulta però sacrificato dalla struttura della commedia all’italiana, che relegava in ruoli marginali i personaggi femminili. A offrire una più interessante occasione sono Rodolfo Sonego e Luigi Magni, che scrivono per lei “La ragazza con la pistola” (1968) di Mario Monicelli. Il ruolo di una siciliana sedotta e abbandonata che insegue a Londra l’uomo che le ha tolto l’onore, rappresenta la sua consacrazione come attrice brillante (ottenne nel 1969 un Nastro d’argento e un David), e dà il via a una serie di film in cui interpreta personaggi svagati e stralunati, con uno stile di recitazione al limite del grottesco, insolito nel panorama delle attrici italiane di allora.

Può così confrontarsi da pari a pari con i grandi ‘mattatori’ del cinema, da Alberto Sordi a Vittorio Gassman, da Ugo Tognazzi a Marcello Mastroianni e a Giancarlo Giannini.

Dopo “Amore mio, aiutami” (1969) di Sordi, “Vedo nudo” (1969) di Dino Risi e “Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca)” (1970) di Ettore Scola, Risi costruisce su misura per le sue ambizioni di trasformismo “Noi donne siamo fatte così” (1971), un film a episodi che le dà la possibilità di interpretare dodici diversi ruoli.

Così come Antonioni, anche Di Palma ne fa la sua musa, e grazie a lei può affrontare il passaggio alla regia, confezionando tre commedie brillanti che rappresentano altrettanti omaggi al suo talento di interprete leggera: “Teresa la ladra” (1973), “Qui comincia l’avventura” (1975) e “Mimì Bluette… fiore del mio giardino” (1976).

In quel periodo ottiene altri quattro David: nel 1971 per “Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la mossa” diretto nel 1970 da Marcello Fondato, nel 1974 per “Polvere di stelle” (1973) di Sordi, nel 1976 per “L’anatra all’arancia” (1975) di Salce (per il quale riceve nello stesso anno anche un Nastro d’argento) e nel 1979 per “Amori miei” (1978) di Steno. E ancora: “La Tosca” (1973) di Magni, “Letti selvaggi” (1979) di Luigi Zampa, “Non ti conosco più amore” (1980) di Sergio Corbucci, “Tango della gelosia” (1981) di Steno, “Camera d’albergo” (1981) di Monicelli, “Io so che tu sai che io so” (1982) di Sordi.

Monica Vitti torna temporaneamente al cinema drammatico e alla collaborazione con Antonioni in “Il mistero di Oberwald” (1981). La fama conquistata in Italia le permetge inoltre, negli anni Sessanta e Settanta, di partecipare a coproduzioni internazionali, come “Il castello in Svezia” (1963) per la regia di Roger Vadim, “Modesty Blaise, la bellissima che uccide” (1966) di Joseph Losey, “La pacifista” (1971) di Miklós Jancsó, “Il fantasma della libertà” (1974) di Luis Buñuel, “Ragione di Stato” (1978) di André Cayatte.

La commedia “Scandalo segreto” (1990) resta la sua ultima prova come attrice e l’unica come regista; oltre alla sceneggiatura di questo film la Vitti firma quelle di “Flirt” e “Francesca è mia” (1986) del fotografo di scena e regista Roberto Russo, che ha sposato il 28 settembre 2000, in Campidoglio, dopo 27 anni di fidanzamento.

Nel 1986 Vitti tiene dei corsi di recitazione all’Accademia d’arte drammatica, riavvicinandosi al palcoscenico come attrice, sotto la guida di registi quali Giancarlo Sbragia ed Eduardo De Filippo. Attivissima in televisione fin a partire dal 1955, recita sul piccolo schermo in commedie, sceneggiati, spettacoli di varietà (uno dei quali, “La fuggidiva” del 1983, diretto e sceneggiato da lei stessa). Nel 1993 pubblica con Sperling & Kupfer l’autobiografia “Sette sottane” e nel ’95 con Mondadori il romanzo “Il letto è una rosa”.

L’ultima apparizione pubblica dell’indimenticabile attrice risale al 2002, in occasione della prima teatrale di ‘Notre-Dame de Paris’. In quell’anno rilascia anche l’ultima intervista, prima di ritirarsi a vita privata a causa dell’Alzheimer che l’ha colpita, curata dal marito Roberto Russo che spesso è intervenuto per difendere la privacy dell’attrice dalle varie false notizie su di lei apparse in rete. (ADNKRONOS).

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